Nasconderci dietro i fallimenti, rimuginare sugli errori è vivere in un regno di nebbia, come Aragorn prima di accettare il suo destino di re. La speranza si conquista a suon di battaglie.
Mi cercano ogni giorno, bramano di conoscere le mie vie,
come un popolo che pratichi la giustiziae non abbia abbandonato il diritto del suo Dio;
mi chiedono giudizi giusti, bramano la vicinanza di Dio:
“Perché digiunare, se tu non lo vedi, mortificarci, se tu non lo sai?”.
Pochi sono coloro che li ricordano ancora», mormorò Tom, «eppure ve ne sono ancora che vanno errando, figli di re obliati che vagano in solitudine, e proteggono da cose maligne la gente inerme e sbadata». Gli Hobbit non capirono il significato delle sue parole, ma esse tracciarono nelle loro menti la visione di un immenso spazio di un tempo remoto, simile a una vasta pianura ombrosa sulla quale camminavano a gran passi figure di Uomini alti e foschi e con spade sfolgoranti: uno di essi aveva una stella in fronte.
Il Signore degli Anelli, libro I, cap. VIII, “Nebbia sui Tumulilande”
Tumulilande è una collina nebbiosa.
La collina dove in antichi tumuli funerari riposano i coraggiosi Edain della Prima Era, che lottarono eroicamente contro la malvagità che avanzava nel mondo, più forte di Sauron stesso, e i loro discendenti Dúnedain, da cui nacque la stirpe di Isildur e dello stesso Aragorn. È il luogo da dove provengono gli spettri che daranno la caccia all’anello e a Frodo e che riusciranno persino a chiuderli in un tumulo dove probabilmente sarebbero morti, se non ci fosse stato Tom Bombadil. Ma questa è un’altra storia.
C’è qualcun altro che prima degli hobbit rischia di restare intrappolato a Tumulilande: l’Aragorn ramingo.
Proprio queste colline piene di ricordi si frappongono tra lui e l’Aragorn re di Gondor. Il peso del passato, il peso della fragilità, della nullità, il peso del peccato da cui non riusciamo a staccarci, sotterra il cavaliere ed è lo stesso che spesso immobilizza anche noi nel buio, lontani dalla luce della verità e della misericordia. Ci intrappola, la nebbia non ci fa distinguere la realtà, non ci fa emergere dal pensiero del mondo, non ci lascia prendere il nostro posto di figli di Dio, di figli della Luce, di eredi del Suo regno.
Paura di dare frutto
Re obliati, li chiamano, discendenti di famiglie spezzate, eredi di dinastie che vorrebbero dimenticare ma che non possono rinnegare. Sono come piccoli chicchi nel terreno, che non possono strapparsi le radici, per non morire, ma non vogliono sbocciare e rivelarsi al mondo, per paura di non essere forti come le querce che li hanno generati o peggio, timorosi di celare la stessa malattia che ha portato alla morte l’intera foresta.
Questo è il cuore di un ramingo. Questo abita il cuore di Aragorn.