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Valiamo più dei nostri fallimenti, ecco perché Gesù ci invita al «per sempre»

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don Luigi Maria Epicoco - pubblicato il 14/08/20

La cultura mondana c'illude di comprendere le nostre fatiche perché ratifica all'infinito il nostro diritto a fallire nelle relazioni. Cristo va oltre, non ci permette di essere schiavi della nostra volubilità.

In quel tempo, si avvicinarono a Gesù alcuni farisei per metterlo alla prova e gli chiesero: «E’ lecito ad un uomo ripudiare la propria moglie per qualsiasi motivo?».
Ed egli rispose: «Non avete letto che il Creatore da principio li creò maschio e femmina e disse:
Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola?
Così che non sono più due, ma una carne sola. Quello dunque che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi».
Gli obiettarono: «Perché allora Mosè ha ordinato di darle l’atto di ripudio e mandarla via?».
Rispose loro Gesù: «Per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli, ma da principio non fu così.
Perciò io vi dico: Chiunque ripudia la propria moglie, se non in caso di concubinato, e ne sposa un’altra commette adulterio».
Gli dissero i discepoli: «Se questa è la condizione dell’uomo rispetto alla donna, non conviene sposarsi».
Egli rispose loro: «Non tutti possono capirlo, ma solo coloro ai quali è stato concesso.
Vi sono infatti eunuchi che sono nati così dal ventre della madre; ve ne sono alcuni che sono stati resi eunuchi dagli uomini, e vi sono altri che si sono fatti eunuchi per il regno dei cieli. Chi può capire, capisca». (Mt 19,3-12)

È un Vangelo impopolare il Vangelo che ci viene offerto oggi, ma l’intento di questa pagina nasce proprio dal tentativo dei farisei di rendere impopolare la predicazione e il messaggio di Cristo. Troppe folle lo stanno seguendo nel suo ragionamento, troppi sono affascinati e attratti da Lui. C’è bisogno di un attacco mediatico (tanto caro a questi nostri giorni); così gli sferrano una domanda a trabocchetto, una domanda sul divorzio.

Cristo non si sottrae alla sfida, ma lui non è un sofista, un semplice mercante di parole. E’ uno che non segue l’audience ma la verità. E spiega a una folla silenziosa e confusa (anche i discepoli non ci capiscono molto) che lo stare insieme, l‘amore, la relazione tra le persone non è semplicemente un sottoprodotto dell’utile: “io sto con te perché altrimenti sono solo”, oppure “tu servi a soddisfare i miei bisogni e le mie esigenze”. La nostra vita relazionale, che non è solo quella matrimoniale, ma anche quella amicale, lavorativa, filiale, è la maniera che noi abbiamo di diventare noi stessi e di sentirci compresi, appagati, felici. L’amore è relazione non interesse. Ma questa relazione non è immune dalla fatica, dai fallimenti, dalle confusioni, dalla sofferenza. Ma ciascuna di queste cose non può far cambiare il sogno iniziale, il motivo profondo per cui vale la pena amare e rischiare un rapporto.

Le leggi, i sistemi politici, le culture possono ratificare all’infinito il diritto a fallire, ma Cristo va oltre e ricorda che noi non possiamo fermarci al semplice fallimento, valiamo di più. E’ la logica del “per sempre” che ci spaventa perché ci chiede qualcosa di definitivo a noi che siamo così volubili e instabili. Ma solo quando non manomettiamo il Vangelo ci accorgiamo che in fondo Gesù ci sta dicendo che le cose che contano nella vita devono essere per loro stessa natura affidabili. Ciò non ci mette al sicuro dai fallimenti, ma non possiamo pensare la nostra vita se non a partire da ciò che sappiamo essere il meglio. Il Vangelo però è sapere di non essere soli anche quando falliamo.


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