Benjamin Griveaux, l’ex candidato sindaco di Parigi, si trova al centro di un caso di “revenge porn”, fenomeno in esplosione dai giorni della pervasività capillare del web 2.0 mediante i social e la facilissima portabilità di foto- e video-camere. Un fenomeno che non è nuovo e che prolifera tra i giovani, stando a quanto dice Thérèse argot, sessuologa e autrice di diversi saggi, tra cui Qu’est-ce qui pourrait sauver l’amour ? [Che cosa potrà salvare l’amore?, N.d.T.] (Albin Michel), in uscita in Francia il prossimo 2 marzo. L’abbiamo intervistata.
Aleteia: Scattare e condividere foto o video a carattere sessuale è una pratica frequente?
Thérèse Hargot: È frequentissima tra i giovani. Fa parte delle loro pratiche sessuali. Si mandano dei “nudes”, dei “dick pics”, si filmano mentre hanno rapporti sessuali. È una pratica che consiste, in fondo, nell’essere spettatori della propria sessualità, cosa perfettamente consona alla cultura pornografica dilagante, una cultura in cui il sesso si guarda prima e più di quanto si viva. Un fenomeno estremamente pervasivo che si trova molto sulle app per incontri. Molto facilmente e molto rapidamente, le persone si mandano foto di nudità prima di incontrarsi.
A.: A che bisogno dà risposta tutto ciò?
T. H.: Negli adolescenti, si tratta di una risposta a un bisogno di rassicurazione narcisistica. «Se mi ami accontentami e mandami una tua foto». Da una parte, mandare una foto di sé permette di sentirsi desiderabile, oltre che di soddisfare il desiderio altrui, e ricevere una foto rassicura anche il destinatario, che si sente amato. Ma la questione della rassicurazione narcisistica è tipicamente adolescenziale: è legittima quando si hanno 15 anni, patetica quando gli anni diventano 45. È normale chiedersi “sono amabile?” a 15 anni. Il problema è che queste foto, questi video, non sono un buon mezzo per rispondere a un vero bisogno. E poi – questo lo ripeto continuamente ai giovani – è estremamente facile far circolare quei contenuti. Quando c’è una crisi, un ricatto affettivo o una vendetta da prendersi, le foto e i video rischiano di essere condivisi senza il consenso della persona. Un delitto passibile in Francia di carcere fino a due anni e di 60mila euro di multa [in Italia si rischia la reclusione da uno a sei anni e una multa da 5.000 euro a 15.000, N.d.T.], indipendentemente dal fatto che si sia o meno i primi a diffondere i materiali.
A.: Che tipo di prevenzione dispone coi giovani?
T. H.: Invito incessantemente i giovani a domandarsi quale sia la loro intenzione, quando si dispongono a inviare o condividere una foto o un video compromettente. «Perché voglio inviare una foto?» «Che cosa cerco?» «Voglio rassicurarmi? Riguardo a cosa? Che sono amabile? Oppure ho paura di restare solo?». Dopo la questione dell’intenzione viene quella della libertà: «Sono davvero libero oppure faccio questo per una costrizione magari sottile, per paura o per la pressione sociale?». Cioè altrettanti sintomi della mancanza di una vera libertà.
[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]