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Eluana: la dolcezza era nella cura non nella morte imposta

Eluana Englaro

© Public Domain

Paola Belletti - pubblicato il 11/02/20

Nell'undicesimo anniversario dell'agonia imposta ad Eluana Englaro, insieme al ricordo, la tristezza per chi la volle - e ancora la vorrebbe - paladina di una battaglia di morte.

La delicatezza che si doveva riservare a lei, il pudore con il quale si doveva circondare lei, il mistero della sua sofferenza, almeno l’ipotesi di una coscienza presente anche se poco accessibile agli altri, l’amore e la prudenza che si dovevano a lei, alla sua persona anche “ridotta” nella sua espressività dai traumi dell’incidente, l’hanno tutto dirottato sulle parole. Quelle per dire che “si è spenta”, che ha ottenuto finalmente la morte, dolce.

E invece ce lo ricordiamo, quel triduo quasi pasquale vestito da diritto ottenuto, durante il quale, lei prima accudita e amata, persino dal papà che ha voluto morisse poiché era morta già da 17 anni. Eluana diventa sola, inizia a patire e infine va a morire da sola. Ce lo ricordiamo. Mi ricordo, anche, il senso di sciagura che tutto questo suscitava. Uomini che provano a difenderla, uomini che non firmano. Guardie giurate che piantonano la porta.

Era il governo Berlusconi, il presidente della Repubblica Napolitano. La sfida tra le due cariche la vince il Capo dello Stato. Brutta medaglia da appuntarsi ad un petto così vecchio.

Sì, perché Eluana non si è spenta ma è stata spenta come si spegne una brace, soffocandola, togliendole il respiro, l’acqua e il cibo.

Le notizie che si rincorrono ora, a 11 anni dalla morte procurata per volontà di un padre che non oso giudicare (se non nell’esteriorità degli atti che ha voluto compiere) parlano di tempi adesso finalmente maturi, di diritto che è stato a lungo negato nel nostro paese, di opinione pubblica che si è nel frattempo fatta più coraggiosa. Abbiamo alle spalle già il decreto legge sulle disposizioni anticipate di trattamento, “comunemente definite “testamento biologico” o “biotestamento”, (…) e regolamentate dall’art. 4 della Legge 219 del 22 dicembre 2017, entrata in vigore il 31 gennaio 2018.” (salute.gov). L’eutanasia, di fatto, è già praticabile.

Eluana per qualcuno doveva ridursi ulteriormente a macabro cavaliere lancia in resta a sfondare linee nemiche.

Nell’intervista che Caterina Giojelli fece ad Eugenia Roccella in occasione del decimo anniversario dalla morte procurata e consumatasi alla clinica La Quiete di Udine (era proprio il 9 febbraio del 2009) la senatrice dice che almeno questa sorte le è stata risparmiata.

Non siamo riusciti a salvarle la vita, ma il nome di Eluana non è diventato una bandiera da sventolare, come qualcuno aveva immaginato e progettato, come è avvenuto, per esempio, nel caso di Piergiorgio Welby. Sono state cercate altre parole, altre strade, altri slogan per far entrare in Italia il diritto a morire, e purtroppo negli anni sono stati trovati, complice l’indebolimento di quella stessa politica che era stata capace di risolutezza e protagonismo nella battaglia per Eluana. (Tempi)

Ora siamo a questo punto, di una opinione pubblica addestrata al tema, desensbilizzata per certi versi, stanca forse per altri. Non tutta, ancora.

Con i toni trionfalistici di una polisportiva che ha vinto due anni di fila il campionato provinciale leggiamo sul sito dell’associazione Luca Coscioni che il punto sull’eutanasia in Italia è questo:

Attualmente in Italia l’eutanasia costituisce reato e rientra nelle ipotesi previste e punite dall’articolo 579 (Omicidio del consenziente) o dall’articolo 580 (Istigazione o aiuto al suicidio) del Codice Penale. Al contrario, il suicidio medicalmente assistito in determinati casi e la sospensione delle cure – intesa come eutanasia passiva – costituisce un diritto inviolabile in base all’articolo 32 della Costituzione e alla legge 219/2017. (Associazione Coscioni)

Eluana, che era accudita, nutrita, lavata, amata dalla suore di Lecco era contesa da chi la vedeva già morta e la sentiva comunque sua (ed era il suo papà. C’è parecchio amore ormai esausto in tanta disperazione) e chi, semplicemente, la sapeva viva.

Contrattaccarono così, le Suore Misericordine:

Se c’è chi la considera morta, lasci che Eluana resti con noi che la sentiamo viva.

Invece vinse chi la considerava morta e per avere ragione dovette farla agonizzare una settimana, dal 3 al 9 febbraio. Prelevata a forza nel cuore della notte con un’ambulanza dalla clinica di Lecco e dalle suore che la curavano da 15 anni, osservata morire, annotando tutte le reazioni, dai suoni, come gemiti, ai sospiri, fino alle unghie conficcate nelle mani delle ultime ore.

Per lei, ora, solo la preghiera e la speranza fondata che sia per sempre consolata e capace di perdono per chi le ha inflitto tanta ingiustizia.

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