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Dacia Maraini paragona le Sardine a Gesù e offende cristiani ed ebrei

DACIA MARAINI

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Giovanni Marcotullio - Breviarium - pubblicato il 26/12/19

Santo Stefano non c’entra nulla, ma di fatto si ritrova spesso ad essere invocato come lenitore delle indigestioni. E noi ci sentivamo sommessamente disturbati, quest’anno, addirittura dall’antivigilia, quando ci è stato propinato quel tortino di banalità preparato da Dacia Maraini sulle colonne del Corriere:

[…] In nome di Cristo sono state fatte delle orribili nefandezze. La scissione fra etica e politica è accaduta nel momento in cui la Chiesa, da idealistica e innovativa forza rivoluzionaria si è trasformata in un impero che ha subito costruito il suo esercito, le sue prigioni, i suoi tribunali, la sua pena di morte. Ma molti, proprio dentro la Chiesa, hanno rifiutato i principi del vecchio Testamento, il suo concetto di giustizia come vendetta (occhio per occhio, dente per dente), la sua profonda misoginia, l’intolleranza e la passione per la guerra. Oggi la novità del movimento delle Sardine ricorda alla lontana le parole di un pastore povero che a piedi nudi portava a pascolare le pecore. […]

Tralasciamo la vile fucilata ad alzo zero che in giorni importanti per i cristiani questa signora ha schioppettato in faccia alla Chiesa (davvero solo una persona profondamente ignorante può pensare che “prima” la Chiesa fosse «idealistica e innovativa forza rivoluzionaria» e “dopo” si sia tramutata «in un impero»[1]): la presunta «scissione fra etica e politica» è ancora piú surreale, perfino incomprensibile. Ma poi quella sviolinata marcionita che segue ha dell’incredibile: se la signora avesse la cura di informarsi delle cose di cui scrive, saprebbe che l’epigono piú noto di un pensiero come quello da lei espresso fu condannato dalla Chiesa di Roma intorno al 144, ossia piú di 150 anni prima di Costantino e piú di 230 anni prima dell’Editto di Tessalonica – insomma quando (secondo il sussidiario che fonda le conoscenze della signora) la Chiesa era ancora «idealistica e innovativa forza rivoluzionaria».

I cristiani hanno imparato dal loro Maestro a porgere l’altra guancia perfino agli sgraziati insulti di una signora evidentemente ignorante. Un collega di Gesú, però, il rabbino Riccardo Di Segni (è sempre Roma a scagliarsi contro il marcionismo) ha esternato il 24 le proprie perplessità (chiaramente pro domo sua, sed etiam nostra) con un post su Facebook poi ripreso da shalom.it:

Capisco che in questi giorni festivi si esaltino i buoni sentimenti e la non violenza. Capisco che si cerchi di sottolineare che il nuovo movimento politico che riempie le piazze porti una ventata di freschezza. Quello che mi riesce più difficile da capire è che si debba per forza trovare nelle complesse anime di questo movimento un afflato religioso natalizio. E ancora di meno capisco che si debba trovare in tutto questo una opposizione religiosa. Da una parte il vecchio testamento violento e misogino, dall’altra la rivoluzione cristiana pacifica e le sardine. Perché se è innegabile la presenza di violenza e di un atteggiamento maschilista nelle antiche pagine della Bibbia, è anche vero che le stesse pagine parlano di pace, perdòno e amore, esaltando ruoli femminili. E che tutto questo si trascina e cresce nella tradizione successiva. E che la rivoluzione cristiana è tutt’altra cosa. Oggi un cristiano informato sa evitare le banalità e le menzogne di questa antica opposizione (che ha un nome preciso: marcionismo), che è rimasta però in mente e in bocca ai laici più o meno credenti ma quasi sempre ignoranti. Bisogna diffidare di chi predica una bontà stucchevole condita di false informazioni. È normale che un nuovo movimento politico cerchi di ispirarsi agli insegnamenti antichi, ma dovrebbe essere cauto nelle semplificazioni. Dopo il Gesù socialista, rivoluzionario più o meno armato, femminista ecc., oggi abbiamo anche, grazie a Dacia Maraini, il Gesù sardina. A me pare quasi una bestemmia, ma fate voi.

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Al che la Maraini si è resa conto di aver toccato la corda sbagliata e ha fatto inversione a U, il 25, ma solo per quanto riguarda il rischio di letture antisemite del suo pezzo [2] :

[…] Non intendevo affatto riferirmi alla religione ebraica o alla Torah, ma solo a una storia tutta italiana di scontri fra una Chiesa diventata impero e una Chiesa che nella sua base continuava a credere nelle parole di Cristo. Considero la Bibbia un meraviglioso testo, di grande profondità e di grande poeticità. Ma certamente non può essere presa alla lettera. Le religioni savie hanno sempre storicizzato. E credo che anche la religione ebraica lo abbia fatto con saggezza. […]

E per mettere il sigillo a un battibecco che non può vincere (tanta è la debolezza della sua posizione) ha aggiunto un’impertinente (in senso etimologico) allusione alla sua vicenda personale, da nessuno chiamata in causa e che non può certo servire da passe-partout:

Fra l’altro chiederei un poco di rispetto per una persona che, seppur bambina, ha subito due anni di campo di concentramento in Giappone per antifascismo e antirazzismo.

L’attitudine a instillare nell’interlocutore senso di colpa a mezzo di vittimismo è un mero sotterfugio, che nulla ha da condividere con la tutela dell’identità personale e nazionale. Non lo dico io, lo scrisse Yehuda Elkana, sopravvissuto anch’egli ai Lager nazisti:

Per noi stessi non vedo un compito educativo piú grande che impegnarci a costruire il nostro futuro in questa terra senza sbandierare ogni giorno i simboli orrendi, le cerimonie strazianti e le lezioni deprimenti della Shoah. L’elemento politico e sociale piú profondo che motiva la maggior parte della società israeliana nel suo rapporto con i palestinesi è un’angoscia esistenziale, alimentata da un’interpretazione particolare della lezione della Shoah e dalla predisposizione a ritenere che tutto il mondo sia contro di noi, che siamo le vittime eterne, la vittoria tragica e paradossale di Hitler. Due nazioni, parlando metaforicamente, sono emerse dalle ceneri di Auschwitz: una minoranza che dice che ciò non deve accadere mai piú e una maggioranza spaventata e ossessionata che dice “questo non deve accadere mai piú a noi”. Se queste sono le due uniche possibili lezioni, io sono molto piú vicino alla prima. Vedo la seconda come catastrofica. La storia, la memoria collettiva, sono certamente una parte inseparabile di ogni cultura, ma il passato non deve diventare l’elemento determinante del futuro di una società e del destino di un popolo. Yehudi Elkana, HaAretz, 16 marzo 1988

Le due nazioni di Elkana assomigliano un poco alle due città di Agostino, fondate l’una nell’amore di Dio e del prossimo, l’altra nell’egocentrismo: la posizione politica del sopravvissuto è tanto ispirata da intuire come non ci si possa fidare di un midrash che non sbocca in una liberazione, perché lo stesso diventa un racconto monotono e alienante.

Frattanto da parte cristiana risuonava il silenzio quanto alle offese subite, ma pure la genuina proposta dell’Evangelo, profeticamente annunciata da Papa Francesco la notte di Natale:

Prima di andare in cerca di Dio, lasciamoci cercare da Lui, che ci cerca per primo. Non partiamo dalle nostre capacità, ma dalla sua grazia, perché è Lui, Gesù, il Salvatore. Posiamo lo sguardo sul Bambino e lasciamoci avvolgere dalla sua tenerezza. Non avremo più scuse per non lasciarci amare da Lui: quello che nella vita va storto, quello che nella Chiesa non funziona, quello che nel mondo non va non sarà più una giustificazione. Passerà in secondo piano, perché di fronte all’amore folle di Gesù, a un amore tutto mitezza e vicinanza, non ci sono scuse. La questione a Natale è: “Mi lascio amare da Dio? Mi abbandono al suo amore che viene a salvarmi?”. Un dono così grande merita tanta gratitudine. Accogliere la grazia è saper ringraziare. Ma le nostre vite trascorrono spesso lontane dalla gratitudine. Oggi è il giorno giusto per avvicinarci al tabernacolo, al presepe, alla mangiatoia, per dire grazie. Accogliamo il dono che è Gesù, per poi diventare dono come Gesù. Diventare dono è dare senso alla vita. Ed è il modo migliore per cambiare il mondo: noi cambiamo, la Chiesa cambia, la storia cambia quando cominciamo non a voler cambiare gli altri, ma noi stessi, facendo della nostra vita un dono. Gesù ce lo mostra stanotte: non ha cambiato la storia forzando qualcuno o a forza di parole, ma col dono della sua vita. Non ha aspettato che diventassimo buoni per amarci, ma si è donato gratuitamente a noi. Anche noi, non aspettiamo che il prossimo diventi bravo per fargli del bene, che la Chiesa sia perfetta per amarla, che gli altri ci considerino per servirli. Cominciamo noi. Questo è accogliere il dono della grazia. E la santità non è altro che custodire questa gratuità. Papa Francesco, Omelia nella Vigilia di Natale 2019

Porgiamo l’altra guancia, come è giusto (Lc 6,29), ma chiediamo pure: “Perché mi colpisci?”, come sta scritto (Gv 18,23). «Quanti ci fanno oggetto del loro odio – riporta infatti l’antica epistola A Diogneto – non saprebbero dirne la ragione».

Qui l’articolo originale su Breviarium

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