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Dizionario delle principali eresie nate nella Chiesa cattolica

INQUISIZIONE ERESIA

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Il Cattolico - pubblicato il 19/05/19

Adozianesimo– Secondo questa eresia, che ebbe come autore un ricco conciatore di pelli, Teodoto di Bisanzio, Cristo era soltanto un uomo, che Dio adottò nel momento del battesimo e al quale conferì potenza divina in ordine alla sua missione nel mondo. Scomunicato da papa Vittore verso il 190, Teodoto costituì una setta, la quale verso la metà del secolo III ebbe il suo ultimo rappresentante in Artèmone o Artema che insegnava a Roma. Una variazione dell’adozianismo di Teodoto di Bisanzio è l’errore di Paolo di Samosata, che fu vescovo di Antiochia tra il 260 e il 268; questi per conservare l’unità divina, sostenne che Gesù non era Dio ma un uomo come gli altri, al quale il Verbo di Dio s’era comunicato in maniera particolare, venendo a inabitare in lui. Ben diverso è l’adozianismo spagnolo di Elipando di Toledo e Felice di Urgel (secolo VIII), i quali ammettevano la Trinità e insegnavano una doppia adozione in Cristo: una divina e una umana; come uomo Cristo era soltanto figlio adottivo di Dio, ma come Dio era Figlio vero.

Agnoeti– Setta monofisita, che si rifaceva a Temistio, diacono di Alessandria (secolo VI), il quale sosteneva che Cristo aveva ignorato molte cose, anche quelle che appartenevano alla comune conoscenza degli uomini; in particolare poi ignorava il giorno del giudizio finale.

Albigesi– Vedi Catari.

Apollinaristi– Eretici del secolo IV, che presero il nome da Apollinare di Laodicea in Siria (c. 310-390), già amico di sant’Atanasio e suo sostenitore nella lotta contro l’arianesimo. Qualche anno dopo d’essere stato eletto vescovo della sua città, Apollinare, per mettere in rilievo la personalità divina del Cristo, affermò che Cristo non possedeva un’anima umana propria, in quanto il Verbo incarnato aveva preso il posto di quest’anima; di conseguenza, il Verbo aveva assunto un corpo umano ma senza anima, e quindi non si poteva più parlare di due nature ma di una unica natura e di un’unica persona in Cristo. Fu condannato da papa Damaso nel Sinodo romano del 377.

Arianesimo– Ario, prete di Alessandria, verso il 320, sostenne che Gesù Cristo non era propriamente Dio, ma la prima creatura che il Padre creò perché collaborasse all’opera della creazione e che per i suoi meriti elevò al grado di suo Figlio; come tale se rispetto a noi Gesù Cristo può essere considerato come un Dio, non è però Dio rispetto al Padre, perché la sua natura non è uguale e consostanziale a quella del Padre. Questa eresia si diffuse rapidamente e conquistò un prelato ambizioso della corte di Costantino, Eusebio di Nicodemia, che divenne quasi il capo militante del partito degli ariani; anche lo storico della Chiesa Eusebio di Cesarea simpatizzò per Ario. Questi nel 321 lasciò Alessandria e andò a propagare la sua eresia nell’Asia Minore e nella Siria. Nel 325, Costantino, preoccupato dalla diffusione dell’eresia e dalle lotte che dividevano i cattolici, radunò a Nicea il I Concilio ecumenico, il quale condannò Ario e i suoi seguaci e nel Simbolo detto niceno affermò: “Noi crediamo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore di tutte le cose, visibili e invisibili. E in un solo Signore Gesù Cristo, figlio di Dio, solo generato dal Padre, cioè della stessa sostanza del Padre, Dio da Dio, luce da luce, vero Dio da vero Dio, generato non creato consostanziale al Padre, per mezzo del quale sono state fatte tutte le cose nel cielo e sulla terra, il quale è disceso tra noi uomini per la nostra salvezza, e s’è fatto carne diventando uomo.” L’anatema contro Ario suonava così: “Quanto a quelli che dicono: ci fu un tempo in cui il Figlio non esisteva, oppure non esisteva allorquando non era stato ancora generato, oppure è stato fatto da nulla, oppure coloro che dicono del Figlio di Dio che Egli è di un’altra impostasi o sostanza, o creatura, o cangiante e mutevole, la Chiesa cattolica li anatematizza”. Costantino poi, all’anatema del Concilio, aggiunse l’interdizione per Ario di tornare ad Alessandria e alcuni mesi più tardi esiliò nella Gallia Eusebio di Nicomedia e Teognide di Nicea. Ma il partito di Ario cedette le armi; riconquistò le grazie dell’imperatore. Campione della fede nicena fu sant’Atanasio, vescovo di Alessandria, che sostenne lotte ed esili finché non vide debellato l’arianesimo, che si camuffò in vari modi e si diffuse tara i barbari germanici ai confini settentrionali dell’Impero: Ostrogoti, Vandali e Longobardi, tra i quali resistette molto a lungo. Gli ultimi ariani longobardi scomparvero verso il 670, grazie all’abilità di san Gregorio Magno.

Catari– Diffusisi con sorprendente rapidità nel Mezzogiorno della Francia, nella regione d’Albi  (dove furono abbastanza potenti e presero il nome di Albigesi) e nell’Italia settentrionale (dove ebbero anche il nome di Patarini), i Catari (dal greco=puri, perfetti) costituirono tra i secoli XII la più pericolosa eresia non solo per la Chiesa ma anche per la società civile.

Il catarismo era uno strano miscuglio, su un fondo decisamente manicheo, di tramontate eresie, come il docetismo e lo gnosticismo, e di religioni orientali. Secondo i catari più rigorosi, i due princìpi del bene e del male interna lotta nel mondo sono ugualmente eterni, onnipotenti; secondi i più mitigati, il principio del male è una creatura di Dio, un angelo decaduto, che vien chiamato Satana, Lucifero o Lucibello, e avrebbe creato il mondo visibile della materia in opposizione al mondo visibile della materia in opposizione al mondo invisibile degli spiriti buoni creato dal principio del bene. La creazione dell’uomo è opera del principio del male che riuscì a sedurre e a imprigionare nei corpi alcuni spiriti puri. Per salvare questi spiriti puri racchiusi nei corpi umani, Dio mandò la sua Parola, per mezzo di un messaggero, Gesù, che era un suo angelo fedele e che Dio, per questa accettazione redentrice, chiamò suo Figlio. Gesù discese sulla terra e per non avere alcun contatto con la materia prese un corpo apparente e visse e morì apparentemente come uomo. Gesù insegnò che la via della salvezza consiste nel rinunziare a tutto quello che ha sapore di carnale, se si vuole liberare lo spirito puro che è racchiuso o imprigionato dentro di noi. Perciò è peccato non solo il matrimonio ma anche l’uso dei cibi carnali, mentre l’ideale della santità sarebbe il suicidio come mezzo per sottrarsi volontariamente all’influenza del principio del male. Alla fine del mondo tutti gli spiriti saranno liberati e godranno la gioia eterna, e non ci sarà inferno per nessuno perché ognuno avrà raggiunto la salvezza attraverso le reincarnazioni purificatrici. I seguaci del catarismo si distinguevano in puri o perfetti e in credenti. I puri o perfetti vivevano nel distacco assoluto dai beni terreni, in rigorosa ascesi, e evitavano qualsiasi contatto carnale (“il matrimonio è un lupanare” e fare figli significa procreare diavoli. “Pregate Dio che vi liberi dal demonio che avete nel seno” diceva un puritano della setta a una donna incinta); i puri arrivavano a questo stato con una specie di sacramento, il consolamentum che consisteva nell’imposizione delle mani e del libro dei Vangeli. Un rituale cataro di Lione ci ha conservato i particolari di questo rito per i puri; la cerimonia iniziava col servitium, cioè con la confessione generale fatta da tutti i presenti; poi il candidato si metteva davanti  a una tavola ove stava poggiato il Vangelo e rispondeva alle domande che gli rivolgeva il decano dei perfetti o puri; poi si passava al melioramentum, che consisteva nella confessione del confidato, dopo  di che il decano gli consegnava il Vangelo. Decano e codnidato recitavano una sequela di Pater. Poi veniva il consolamentum, che era un impegno da parte del condidato a rinunziare agli alimenti carnali, alla menzogna, al giuramento, alla lussuria. All’iniziato veniva imposta la veste nera della setta, che egli poteva sostituire con un cordone nero, in tempi di persecuzione. I credenti invece dovevano venerare gli eletti e nutrirli; non avevano obblighi dalle astinenze carnali, anzi venivano esortati al concubinato, al posto del matrimonio, perché non avendo come fine la procreazione dei figli non prolungava l’opera di Satana; ai credenti, soltanto sul letto di morte, veniva dato il cosolamentum, che era come la loro rigenerazione. Il culto dei catari comprendeva: il pasto rituale, in cui un perfetto benediceva e spezzava il pane che veniva poi diviso tra i presenti; il melioramentum che si faceva ogni mese e consisteva in una confessione generale seguito da tre giorni di digiuno. Ogni cerimonia finiva col bacio di pace che i presenti si scambiavano sulle due guance. Il catarismo scomparve in seguito alla feroce repressione che andò sotto il nome di crociata contro gli Albigesi, guidata da Simone di Monfort e conclusasi con la battaglia di Muret del 12 settembre 1213. L’inquisizione, creata nel 1184, fece il resto. Ma non bisogna dimenticare che ugualmente fanatici e violenti erano diventati i catari. Tra gli apostoli evangelizzatori dei paesi contaminati dal catarismo ricordiamo San Bernardo, il vescovo spagnolo Diego de Azvedo e l’ordine dei frati predicatori fondato da San Domenico di Guzman.

Docetismo – Eresia cristologica che appare già verso la fine dell’età apostolica, si diffonde nei primi anni del secolo II e lascia la sua impronta nella maggior parte dei sistemi gnostici. Per i doceti l’umanità di Cristo era solo apparente; negavano quindi, come si esprime sant’Ignazio di Antiochia ai fedeli di Smirne, che “Gesù Cristo è veramente uscito dalla razza di David, secondo la carne… veramente nato da una Vergine… è stato veramente trapassato dai chiodi nella sua carne”; che “l’Eucarestia è la carne di Cristo, la carne che ha sofferto per i nostri peccati, la carne che il Padre, nella sua bontà, ha resuscitato”
(Ad Eph.).

Donatismo– Affermatosi dapprima come uno scisma nella Chiesa africana, il donatismo non tardò molto a diventare anche un’eresia. Sorse dall’opposizione di alcuni vescovi nella Numidia alla nomina di Ceciliano ad arcivescovo di Cartagine, accusato di essersi fatto consacrare da Felice di Aptonga, considerato come uno dei “traditores”, di coloro cioè che durante la persecuzione di Diocleziano avevano obbedito agli editti dell’imperatore del 303 consegnando i libri delle Sacre Scritture.

Un concilio di settanta vescovi della Numidia depose Ceciliano, sostituendolo con Maggiorino, trovò un capo e un organizzatore. Nonostante la sua buona volontà di far rientrare i dissidenti nella fila della Chiesa cattolica, Costantino imperatore non ci riuscì; i dissidenti divennero ancor più fanatici perseguitando i cattolici e distruggendo le loro chiese (circumcelliones). Parminiano successore di Donato dal 355 al 391, e il vescovo di Cirta Petiliano, il maggior esponente del donatismo, ai tempi di sant’Agostino, furono i più focosi sostenitori della setta con i loro scritti. Nonostante l’azione dottrinale di Ottavio di Milevi e di sant’Agostino l’intervento dell’imperatore Onorio nel 405 che li perseguitò come eretici e portò un po’ di pace nella Chiesa africana, i donastici sopravvissero fino alla conquista araba del 650. La loro dottrina era assai semplice: sostenevano che la Chiesa visibile è composta soltanto di giusti e di santi e che i sacramenti sono invalidi se amministrati da un ministro indegno.

Encratismo– Da encràteia, che significa astinenza, temperanza. Dottrina a sfondo ascetico, di cui il più noto rappresentante fu Taziano nel secolo II. Partendo dal principio gnostico della materia intrinsecamente cattiva, considerava come peccato l’unione matrimoniale, proibiva l’uso della carne del vino, pretendeva che il sacrificio eucaristico si facesse con la sola acqua, e rigettava le ricchezze come peccato. Nel secolo IV, l’encratismo rivisse nei discepoli dell’asceta cappadoce Eustazio di Sebaste; fu combattuto da sant’Anfilochio vescovo di Iconio e condannato in un sinodo del 390 a Sido in Panfilia.

Euchiti– Setta eretica diffusasi nell’Asia Minore verso la fine del secolo IV. Sosteneva l’unione personale del demonio col peccatore e di Dio col giusto, in una specie di panteismo. I suoi seguaci furono chiamati così perché facevano assegnamento solo sulla preghiera per scacciare il demonio e unirsi ipostaticamente a Dio. Furono condannati a più riprese; così nel sinodo di Sido del 390 e nel Concilio di Efeso del 431.

Febronianesimo– Dottrina che prende il nome da Febrionio, pseudonimo del vescovo ausiliare di Treviri Giovanni Nicola von Hontheim, autore del libro De statu Ecclesiae et legitima potestate Romani Pontificis, etc. stampato nel 1763. Per Febronio, giudici della fede per diritto divino sono soltanto i vescovi, i quali, con l’aiuto della potestà civile, possono deporre il Papa se esorbita dalle sue competenze, perché questi non è che un primus inter pares e l’esecutore dei canoni conciliari; nessuna legge pontificia ha valore se non è approvata dai vescovi. Il febronianesimo trovò favore presso il re-sacrestano, Giuseppe II, il quale pretese trattare come affari di Stato tutto quello che riguardava l’organizzazione esterna della Chiesa e proibì ai suoi vescovi ogni comunicazione con Roma (giuseppinismo). Le dottrine febroniane furono condannate nel 1764, e ancora nel 1766, 1771 e 1773.

Fideismo– In opposizione alla tendenza razionalista del secolo scorso, l’abate Bautain, professore a Strasburgo e poi a Parigi, sostenne l’incapacità della ragione a stabilire delle verità religiose, che non ci possono venire se non dalla fede tradizionale. Fu condannato nel 1831, e  nel Concilio Vaticano del 1870 furono denunziati i pericoli del fideismo.

Fratelli del libero spirito– Setta ereticale che si ricollegava, ma esasperandole, alle teorie di Amaury de Bène (m. 1207), maestro di teologia a Parigi, che insegnava un panteismo sostanzialistico: Dio è in tutto e in tutti è ognuno di noi, essendo un’incarnazione dello Spirito Santo, non può peccare e quindi non ha neanche bisogno di sacramenti. Condannato da Innocenzo III, Amaury si ritrattò, ma la sua eresia, ripresa e sviluppata da Ortlieb, professore a Strasburgo, col nome di Fratelli del libero Spirito, portò all’assoluta negazione dell’autorità, della legge morale e dei sacramenti, in base al principio che lo Spirito Santo in noi basta a tutto. Tra le sue varie aberrazioni morali c’erano anche quelle del libero amore, del nudismo e della magia. I Fratelli del libero spirito durarono fino al secolo XIV.

Fratelli apostolici– Furono fondati da un francescano, Gerardo Segarelli, che cacciato dal suo Ordine, si mise a predicare nel territorio di Parma contro la Chiesa “ricettacolo di Satana”, nel nome della povertà evangelica e di un misticismo panteistico. Arso vivo il fondatore, il movimento continuò nel territorio di Vercelli sotto la guida di Fra Docino finchè non fu soffocato nel 1307 dopo due anni di guerra.

Fratelli  moravi– Sorsero dagli elementi più moderati degli hussiti raccolti in confraternite in Boemia e in Moravia col nome di “Fratelli boemi” o “Fratelli della legge di Cristo”. Separatisi dalla Chiesa nel 1467, non riconobbero altra autorità che la Scrittura; in seguito si fusero con i riformati. Nel 1722 alcuni membri si trasferirono nella Sassonia e accolti dal conte N.L. von Zinzerdof stabilirono sulle sue terre una comunità politico-ecclesiastica indipendente con proprio culto e con propria costituzione, che prese il nome dal centro di Herrnhut: Confraternita di Herrnhut. Attualmente gruppi della Conferenza di Herrnhut estistono in Germania, Inghilterra, Danimarca, Olanda, Svezia, Svizzera, Stati Uniti e Canada.

Fraticelli– Furono così chiamati quegli Spirituali che non vollero rientrare nell’Ordine francescano e si ribellarono all’autorità della Chiesa cercando aiuto nel potere civile, prima dei Colonna contro Bonifacio VIII e poi dell’imperatore Ludovico di Baviera contro Giovanni XXII, e creando una loro Chiesa più “spirituale”.

Gallicanesimo – Il gallicanesimo non è né una setta né propriamente un’eresia ma un insieme di tendenze contrarie alle prerogative pontificie in Francia. La sua dottrina è compendiata nei quattro articoli della Declaratio cleri gallani votata il 19 marzo 1682 nell’Assemblea generale del clero a Parigi:

1) il Papa ha soltanto giurisdizione spirituale; i re e i principi negli affari temporali, sono assolutamente indipendenti dalla Chiesa;

2) il Concilio è superiore  al Papa;

3) l’autorità pontificia nelle cose spirituali deve essere moderata secondo i canoni e anche secondo le regole e le istituzioni e le costumanze del regno e della Chiesa di Francia;

4) al Papa spetta la preminenza nelle questioni di fede, però le sue sentenze e i suoi decreti non sono irreformabili senza il consenso di tutta la Chiesa.

La Declaratio cleri gallicani fu condannata da Innocenzo XI l’11 Aprile 1682 e di nuovo da Alessandro VIII il 4 agosto 1690; revocata da Luigi XIV nel 1693 fu poi, alla morte del re, rimessa in vigore dal Parlamento di  Parigi. La definizione del Concilio Vaticano del 1870 sulla potestà e sulla infallibilità del Papa diede il colpo di grazia al gallicanesimo.

Giansenismo – Cornelius Janssen (1585-1638), vescovo di Ypres in Olanda, lasciò alla sua morte un libro l’Augustinus che fu pubblicato due anni dopo nel 1640. Le dottrine in esso contenute erano state maturate fin dal 1620, quando già professore a Lovanio, Giansenio scrisse all’amico francese Duvergier de Hauranne, abate di Saint Cyran annunziandogli di aver scoperto la vera dottrina di sant’Agostino sulla grazia e sulla predestinazione. L’opera fu subito condannata dall’Inquisizione del 1641 e l’anno dopo da Urbano VIII; essa però trovò ardenti difensori a Parigi, in Duvergier De Hauranne e Antonio Aranuld, dietro i quali stava tutto il monastero di Port-Royal che ne divenne quasi una fortezza inespugnabile. Innocenzo X con la bolla Cum occasione del 31 maggio 1653 condannò cinque proposizioni estratte dal libro di Giansenio. Due anni dopo, Antonio Arnauld, con la Seconda lettera a un duca e pari, pur accettando la condanna delle cinque proposizioni sostenne che esse non si trovavano nel libro di Giansenio o che non corrispondevano al senso inteso da lui (questione di diritto e non di fatto). Alessandro VII, con la costituzione Ad sacram beati Petri sedem del 16 ottobre 1656 decise anche per la questione di fatto, dichiarando che le cinque proposizioni erano state estratte dal libro di Giansenio e condannate nel senso inteso da lui. La controversia tra giansenisti e cattolici divenne più accesa con l’uscita delle Provinciali di Pascal (1656-1657) e, poiché non accennava a smorzarsi, l’Assemblea del clero propose un formulario da firmarsi da tutti i membri del clero, dei monasteri e dei conventi del regno.

Le religiose di Port- Royal resistettero e furono scomunicate. La pace clementina sopì la controversia, ma pochi anni dopo, col Compendio della morale del Vangelo dell’oratoriano Pascasio Quesnel (1634-1719) ripreso e sviluppato nei quattro tomi di Il nuovo Testamento con riflessioni morali, il giansenismo riapparve ancor più forte e pericoloso. Clemente XI con la costituzione Vineam Domini del 16 luglio 1705 rinnovò le condanne precedenti e precisò che il silenzio ossequioso sostenuto dai giansenisti non bastava, ma ci voleva l’adesione interna. Con la costituzione dogmatica Unigenitus dell’8 settembre 1715 furono condannate cento-un proposizioni di Quesnel. I giansenisti insorsero a tutt’uomo e appellarono al concilio generale (donde il nome di appellanti). Da questo movimento degli appellanti sorse la Chiesa giansenista scismatica di Utrecht nel 1723, la quale attualmente conta circa diecimila fedeli, una trentina di sacerdoti e tre vescovi.

Nel Settecento il giansenismo trovò seguaci anche in Italia; tra essi il più famoso è Scipione de’ Ricci che tenne il Sinodo di Pistoia nel 1786 e fu condannato con la bolla Auctorem fidei del 28 agosto 1794. La dottrina giansenista  è riassunta nelle cinque proposizioni condannate nel 1653:

1) alcuni precetti divini sono impossibili a osservarsi da parte delle anime giuste, nonostante i loro desideri e i loro sforzi, e manca a queste anime la grazia che ne renderebbe possibile l’osservanza;

2) nello stato di natura decaduta non si resiste mai alla grazia interiore;

3) per meritare e demeritare nello stato di natura decaduta non si richiede la libertà interiore; è sufficiente la libertà esteriore o assenza di costrizione;

4) i semipelagiani ammettevano la necessità di una grazia interiore preveniente per tutti gli atti, anche per l’inizio della fede; la loro eresia consisteva nel credere che questa grazia fosse di natura tale che la volontà potesse a suo arbitrio resistervi o obbedirvi;

5) è semipelagiano affermare che Cristo è morto e ha versato il suo sangue per tutti gli uomini. Il giansenismo dunque affermava che l’uomo dopo il peccato originale è radicalmente corrotto nelle sue facoltà naturali, non è internamente libero di fare il bene, perché tiranneggiato dalla concupiscenza che lo induce necessariamente al peccato, e se, d’altro canto, opera il bene è perché non può resistere alla grazia, la quale quando è data è sempre necessitante, irresistibile, ed è concessa soltanto ai predestinati, a coloro cioè per i quali Cristo è morto sulla croce. Di conseguenza: “i pagani, i giudei, gli eretici e altri di questo genere non ricevono da Cristo alcun influsso”; ogni amore delle creature è sempre concupiscenza e perciò peccaminoso, e ogni atto che non è mosso dall’amore perfetto e diretto a Dio è un atto immorale: “tutto ciò che non proviene dalla fede soprannaturale che opera per l’amore è peccaminoso”.

Nella storia del giansenismo nota il Cayrè, devono distinguersi due fasi principali: nella prima, il giansenismo è innanzitutto un sistema teologico intorno alla grazia e alla predestinazione, nella seconda fase invece diventa un partito d’opposizione politica parlamentare, filosofico-religiosa durante un periodo di tempo che va dagli ultimi anni del secolo XVII e che dura, con alterne vicende, fino alla Rivoluzione francese.

Gioacchimiti– Seguaci dell’abate cistercense Gioacchino da Fiore, morto il 20 marzo 12020, autore di un commento all’Apocalisse, Apocalypis nova in cui annunziava come prossimo l’inizio della nuova era tutta spirituale dello Spirito Santo, dopo quella della Legge o del Padre nell’Antico Testamento e quella del Figlio nel Nuovo Testamento. L’inizio di questa era spirituale, nella quale avrebbe dominato il Vangelo eterno con la scomparsa nella Chiesa d’ogni contaminazione temporale, era fissato per il 1260. Le idee gioacchimite furono condannate nel IV Concilio del Laterano del 1215.

Gnosticismo– Sotto questo nome è compreso tutto un complesso di sistemi eretici del II e III secolo, i quali, mediante un sincretismo filosofico-religioso, cercarono di dare una spiegazione razionale dei misteri del cristianesimo.

Punto di partenza dello gnosticismo è il problema del male, che viene risolto con l’accettazione d’un dualismo radicale tra Dio e la materia. Dio, che è essere essenzialmente spirituale, capace di evolversi, generò degli esseri spirituali, eterni come lui (eoni). La prima coppia di eoni (sizigia), maschio e femmina, procedette direttamente da Dio, le altre invece procedono l’una dall’altra per successiva evoluzione. Se non che, nel processo evolutivo degli eoni che allontanandosi da Dio diventano sempre più imperfetti, un eone prevaricò e fu escluso dal pleroma cioè dalla società di tutti gli eoni. Questi a sua volta prolificò altri eoni malvagi a pari di lui e creò il mondo e l’uomo; fu dagli Ebrei adorato come Dio e si chiamò Jahvè, il Demiurgo. Nell’uomo però, di nascosto, un eone superiore depose un germe divino, il quale si trovò così prigioniero della materia e subì la persecuzione del Demiurgo. Come era possibile a questo germe divino la liberazione dal corpo? Uno dei primi eoni superiori si incarnò, prese il fantasma di Gesù di Nazaret e insegnò agli uomini, con la sua predicazione, il mezzo di salvarsi. Ma il Vangelo di Gesù di Nazaret se può bastare agli ingenui ai semplici non è sufficiente per gli altri, per i quali ci vuole la gnosi più profonda del Vangelo. Gli uomini perciò vengono divisi in tre gruppi: gli ilici (materiali) per i quali non c’è salvezza, gli psichiciche possono avere la salvezza con l’aiuto di Cristo e i pneumatici o gnostici perfetti i quali già hanno la salvezza nella gnosi e quindi non hanno bisogno di altra salvezza. Quando attraverso la gnosi sarà compiuta la liberazione del germe divino nell’uomo e il Demiurgo sarà sottomesso a Dio, allora il mondo materiale sarà distrutto e avverrà la restaurazione universale. I centri principali dello gnosticismo furono in Siria e ad Alessandria; e maestri principali furono Cerinto, Saturnino, Basilide e Valentino. Secondo sant’Ireneo, Cerinto avrebbe insegnato la distinzione tra il Dio supremo e il Demiurgo. Gesù figlio naturale di Maria era un uomo al pari degli altri; su lui, dopo il battesimo era discesa una virtù proveniente dal Dio supremo sotto forma di colomba; prima della sua passione questa virtù che era il Cristo abbandonò Gesù e questi soffrì e morì come tutti gli altri uomini, mentre il Cristo restò impassibile ed esiste spiritualmente. Secondo Caio invece, Cerinto esibiva un libro di rivelazioni che diceva aver avuto dagli angeli e secondo cui dopo la resurrezione la carne dovrà godere ogni genere di piaceri e di voluttà per mille anni. Saturnino ammise l’esistenza di Dio Padre, creatore delle potenze angeliche; queste a loro volta crearono il mondo e l’uomo; ma poiché l’uomo creato dagli angeli non poteva tenersi in piedi Dio immise in lui una scintilla di vita, per la quale questi si eresse, articolò le sue membra e cominciò a vivere. Nacque allora tra gli angeli creatori e il Dio Supremo una lotta che generò anche tra gli uomini i buoni e i cattivi: buoni quelli che credevano nel Dio supremo, cattivi quelli che serbavano fede e adoravano gli angeli creatori e in particolare Jahvè che era uno dei capi degli angeli. Per abbattere la potenza angelica e per strappare al dominio dell’angelo Jahvè tutta l’umanità, Dio mandò il Salvatore, Crisot, primo degli eoni, generato da Dio, increato come spirito, per strappare gli uomini alla schiavitù di Jahvè apparve sotto le sembianze di Simone di Cirene, il quale fu lui in realtà a portare la croce e ad essere crocifisso perché il Cristo increato non poteva morire.

Valentino, che fu un bel ingegno, diede un’altra impronta allo gnosticismo. Alla base del suo sistema c’è la dottrina degli eoni, i quali s’interpongono tra Dio e il mondo, il bene e il male, tentando di conciliarli. All’inizio degli eoni Valentino pone l’Abisso, il Padre non generato, con la sua compagna il Silenzio, dalla cui unione venne fuori la coppia mente-verità, e questa generò successivamente il verbo e la vita, l’uomo e la Chiesa. Dalla coppia verbo-vita nascono dieci eoni (cinque coppie di maschi e femmine); dalla coppia uomo-chiesa nascono dodici eoni cioè altre sei coppie. Tutti insieme i trenta eoni formano il pleroma che è “la società perfetta deli essere ineffabili”. L’ultimo degli eoni, la Sapienza (Sofia) fu presa dal desiderio di risalire alla sorgente del pleroma e conoscere il Padre Abisso, ma fu tanto il cruccio che la prese di non poter approdare a nulla che ruppe la felicità di tutti gli eoni inferiori. Da questo squilibrio nacquero tutti i mali, a coppie: timore e ignoranza, tristezza e pianto, ecc. e in ultimo anche le tre sostanze: la materia animata, la materia inanimata e la materia spirituale, sostanze che sono più o meno i componenti dell’uomo, il quale perciò si divide a seconda della sostanza che lo compone in uomo materiale, uomo psichico e uomo spirituale. Per ricomporre le cose, dalla coppia eonica mente-verità venne fuori la coppia Cristo-Spirito Santo. Il Cristo eone discese sotto forma di colomba in Gesù di Nazaret dal quale, dopo che ebbe insegnato agli uomini il modo di liberarsi dalle passioni risalì alla perfezione del pleroma al momento della sua presentazione a Pilato, lasciando che soffrisse e morisse l’elemento materiale rivestito della sua apparenza.

Lo gnosticismo fu combattuto da sant’Ireneo, sant’Ippolito romano, da Tertulliano e da Origene.

Hussiti– Giovanni Huss (1369-1415), professore e poi rettore dell’Università di Praga, era un asceta, animato da zelo riformista, un predicatore eloquente e un ardente patriota. Conquistato dalle dottrine di Wyclef importate in Cecoslovacchia da Girolamo da Praga, le fece sue e se ne servì per riaccendere maggiormente non solo la lotta per la riforma della Chiesa ma anche il nazionalismo ceco contro il dominio germanico (vedi: wycleffiti). Scomunicato da Alessandro V nel 1412, si ribellò appellandosi a Cristo e all’autorità della Bibbia, di cui si diceva infallibile interprete; dietro di lui stava anche il popolo che lui infiammava con le sue prediche contro il clero e contro il dominio germanico. “Bisogna obbedire al vero maestro Huss piuttosto che a una banda d’impostori, di adulteri e di simoniaci” diceva il popolo. Andato al Concilio di Costanza nel 1414 per difendere le sue teorie, si vide condannato come eretico e consegnato al braccio secolare. L’imperatore Sigismondo, che gli aveva dato un salvacondotto per Costanza, lo mandò al rogo appena lo ebbe tra le mani (6 luglio 1415). La stessa sorte toccò all’amico Girolamo da Praga pochi mesi dopo. Dopo la morte del loro capo, gli hussiti si divisero in utraquisti perché richiedevano la comunione sub utraque specie, e in taboristi, più fanatici, cosiddetti dal loro centro Tabor. Con Giovanni Zizka, capo dei taboriti, gli hussiti passarono all’azione politica, con “la defenestrazione di Praga” del 1418, l’invazione del Parlamento, e il massacro dei consiglieri cattolici. Nel dicembre del 1419 gli hussiti cercarono un accordo con l’imperatore Sigismondo, facendo quattro proposte; libertà di predicazione, comunione sotto le due specie, povertà apostolica del clero, punizione dei peccati mortali come la simonia. L’imperatore non accolse le proposte e ordinò una repressione degli eretici agitatori. Nel novembre del 1420 gli hussiti guidati da Giovanni Zizka sconfissereo le truppe imperiali; uguali successi militari ottennereo nel febbraio e nel novembre del 1421. Seguì un periodo di calma; poi nel 1424 morì Giovanni Zizka e gli successe Procopio il Calvo non meno intrepido di lui come militare; difatti sotto la sua guida gli hussiti arrivarono in Ungheria, nella Sassonia e nella Slesia. Al Concilio di Basilea convocato da Martino V, anche Procopio vi andò e difese le tesi hussite; riforma dei costumi del clero, soppressione dei benefici ecclesiastici, comunione sotto le due specie. Intanto in seno agli hussiti si moltiplicavano le sètte, come quella dei millenaristi e degli adamiti, che si abbandonavano a ogni sorta di immoralità, gli uni perché ritenevano vicina la fine del mondo, gli altri per arrivare alla perfezione col nudismo e con la promiscuità dei sessi. Nel 1434 Procopio fu ucciso in battaglia, e gli hussiti andarono man mano scomparendo.

Iconoclasti– La lotta contro il culto delle immagini ebbe in Oriente due fasi. La prima fu avviata, e con estrema violenza, dall’imperatore Leone III Isaurico nel 725 con una serie di editti che proscrivevano il culto e l’uso di immagini dei santi e degli angeli, di Cristo e della Madonna, e si concluse nel 780 con la morte dell’imperatore Leone IV. A una fanatica distruzione di tutto un patrimonio artistico e religioso, espressione viva della pietà popolare, corrispose una reazione non meno energica sia da parte di san Germano, patriarca di Costantinopoli, deposto dall’imperatore nel 730 e di san Giovanni Damasceno, i quali nei loro scritti non solo confutarono l’accusa di idolatria mossa contro la Chiesa ma spiegarono la legittimità e la natura del culto delle immagini; sia da parte degli altri vescovi orientali e di papa Gregorio III che condannarono l’iconoclastismo. Alla lotta contro le immagini seguì ben presto anche la persecuzione che fece non pochi martiri. Costantino V Copronimo (741-775) continuò l’opera del padre, e così pure Leone IV (775-780), sebbene quest’ultimo fosse meglio disposto a un ristabilimento della pace, grazie ai suggerimenti della moglie Irene, la quale diventata vedova e imperatrice, d’accordo con papa Adriano I e col patriarca di Costantinopoli san Tarasio, radunò il II Concilio di Nicea (VII Ecumenico) nel 787. In questo concilio fu definita la legittimità del culto delle immagini e fu condannato l’errore iconoclasta: “Noi decidiamo di ristabilire, accanto alla Croce preziosa e vivifica, le sante e venerabili immagini: cioè la immagine di Nostro Signore Gesù Cristo, Dio e Salvatore, quella di Nostra Signora Immacolata , la santa Madre di Dio, quelle degli angeli onorabili e di tutti i pii e santi personaggi, perché più si riguardano a lungo attraverso la immagine che li raffigura e più coloro che li contemplano si sentono eccitati al ricordo e al desiderio dei  prototipi; decidiamo di rendere loro omaggio e adorazione d’onore, non certo la latria vera e propria che proviene dalla fede e non compete che a Dio solo, ma l’onore che si presta alla Croce preziosa, ai santi Vangeli e agli oggetti sacri; decidiamo anche di arder loro l’incenso e di accendere loro dei lumi com’era pia costumanza degli antichi. Poiché l’onore testimoniato all’immagine venera la persona che l’immagine rappresenta”. La seconda fase iconoclasta durò circa trenta anni, dell’815 all’842 e fu avviata da Leone l’Armeno (813-820) e proseguita da Michele il Balbuziente (820-829) e da Teofilo (829-842). Vi mise fine l’imperatrice Teodora, vedova di Teofilo, e così la prima Domenica di Quaresima dell’843 fu solennemente celebrata in Santa Sofia di Costantinopoli la prima festa delle immagini o festa dell’Ortodossia, che è restata anche oggi nella Chiesa Orientale.

Marcionismo– E’ una variazione dello gnosticismo, che fa capo a Marcione, il quale espulso dalla comunità romana per le sue idee gnostiche, fondò una chiesa separata che si chiamò da lui e durò fino al secolo V.  Nella dottrina di Marcione l’Antico e il Nuovo Testamento sono opera di due diversi principi: l’Antico procede dal Dio della giustizia, creatore di questo mondo, mentre il Nuovo procede dal Dio della bontà. Sotto l’impero del primo l’umanità visse come oppressa dalla Legge e fu punita con severità; il Dio buono allora ebbe pietà dello stato dell’umanità e uscì dal suo silenzio inviando il Redentore. Gesù Cristo si mostrò sotto le sembianze di uomo per inaugurare il regno della misericordia e dell’amore; non nacque dalla Vergine e non soffrì né morì nella carne. Quel che accadde nella sua morte fu un atto di rabbia del Dio cattivo che per vendicarsi della sconfitta subita sconvolse il cielo e fece crocifiggere il redentore che aveva preso le sembianze d’uomo. Quanto all’etica, Marcione era intransigente; non ammetteva il matrimonio, proibiva la carne e il vino. Contro il marcionismo lottarono Teofilo d’Antiochia, Melitone di Sardi, Giustino e Ireneo, ma chi condusse più a fondo la lotta fu Tertulliano. Tra i discepoli di Marcione ebbe fama e fortuna Apelle, che da Alessandria si trasferì a Roma presentando come vergine e profetessa una bagascia che gli stava dietro. In compagnia di Filomena, Apelle si diede a far proseliti; scrisse le Rivelazioni nelle quali racconta le visioni profetiche della sua Filomena, e i Sillogismi. La sua dottrina si distingue da quella di Marcione in quanto nega il dualismo gnostico e ritorna al monismo. Esiste cioè un solo Dio eterno, necessario, onnipotente, buono, creatore degli angeli. A un angelo divenuto poi ribelle deve attribuirsi la creazione del mondo. Quanto alle anime, sostiene la dottrina platonica della preesistenza; esse sarebbero stata attirate dal cielo sulla terra e racchiuse nei corpi. Quanto a Cristo, Apelle sostiene che Cristo ebbe un vero corpo ma tratto dai cieli durante la sua discesa sulla terra.

Modalismo– Eresia del secolo III, secondo cui in Dio c’è una sola persona come c’è una sola e medesima natura: i nomi di Padre, di Figlio e di Spirito Santo non sono altro che aspetti diversi dell’unico Dio, cioè sono modi di considerare Dio nelle sue operazioni ad extra; come la creazione, l’incarnazione, l’effusione della grazia. Non esiste dunque Trinità in Dio ma “monarchia” (donde anche il nome di monarchismo); e quando diciamo che il Figlio di Dio s’è incarnato e ha sofferto ala passione con la morte, è un modo di dire, perché in realtà è stato lo stesso Padre a incarnarsi e a patire sulla croce (donde anche il nome di patripassiani). Primi autori dell’eresia pare siano stati Prassea e Noeto ai primi del secolo III, contro i quali scrissere Tertulliano (Adversus Praxeam) e Ippolito rimano (Contra Noetum); altri sostenitori a Roma dell’eresia furono Epigone, Cleomene e Sabellio; dal nome di quest’ultimo la setta modalista fu chiamata sabelliana e durò fino al secolo V combattuta da Eusebio di Cesarea (Contra Marcellum e De ecclesiastica theologia) e da sant’Ilario da Poitiers (De Trinitale).

Modernismo– Fu tra la fine del secolo XIX e i primi del secolo XX un tentativo di adattare la immutabilità del dogma cattolico allo spirito razionalista dei tempi. I suoi maggiori rappresentanti furono l’abate Alfredo Loisy in Francia, l’ex gesuita Tyrrell in Inghilterra, H. Schell in Germania, Romolo Murri ed Ernesto Buonaiuti in Italia. Alla condanna tempestiva delle sessantacinque proposizioni modernistiche col decreto Lamentabili Pascendi (8 settembre) la quale prendeva di fronte il modernismo con una così chiara e sistematica esposizione dei suoi errori che meravigliò gli stessi modernisti. Senza fare alcun nome, l’enciclica dava il ritratto tipo del modernista considerato come filosofo, come credente, come teologo, come critico, come apologista e come riformatore. Come filosofo, il modernista parte dall’agnosticismo kantiano e positivistico; non sappiamo nulla di Dio, della sua esistenza e dei suoi attributi, e quel qualcosa che ne conosciamo lo sappiamo attraverso la religione che è rivelazione di Dio nell’intimo del cuore, sentimento istintivo dell’anima che ha bisogno di u ideale per vivere. Come credente, il modernista si attacca al Dio che gli si rivela nella coscienza e di cui ha una esperienza interiore (immanentismo); la religione perciò è un fatto puramente soggettivo. Come teologo, il modernista descrive la propria fede, la fede soggettiva, ricorrendo alle idee del suo tempo, inventando formule che si trasmettono e diventano tradizionali (dogmi) ma che non corrispondono ad alcunché di oggettivo e sono quindi mutevoli come sono mutevoli le idee del tempo. Come storico, il modernista per dando valore ai testi, li interpreta e manipola secondo i suoi concetti filosofici e teologici; quindi dichiara impossibile il miracolo e purga it estid e tutto ciò che appare come soprannaturale; fa cioè una storia critica e scientifica. Con questa storia critica e scientifica il modernista crede di fare l’apologista della religione, conciliando il cristianesimo con lo spirito razionalista moderno, e tenta una riforma della Chiesa nei suoi dogmi senza uscire dalla Chiesa. A parte alcune sporadiche resistenze all’Enciclica di san Pio X, la condanna romana troncò una “somma di eresie” che si dimostrava una delle più pericolose della storia della Chiesa.

Monofisismo – Il monofisismo o dottrina dell’unità fisica tra la natura umana e la natura divina in Cristo, ebbe come primo assertore Eutiche, archimandrita d’un grande monastero di Costantinopoli. Era stato un deciso avversario di Nestorio, ma intestardito a voler prendere alla lettera ma senza capirle alcune formule poco felici e imprecise di san Cirillo Allessandrino sull’unità di persona in Cristo, sostenne che prima dell’Incarnazione c’erano due nature in Gesù Cristo ma che nell’Incarnazione la natura umana era stata assorbita dalla natura divina. Denunciato da Eusebio di Dorilea al patriarca di Costantinopoli Flaviano, questi lo invitò a scolparsi davanti a un sinodo che nel 448 lo scomunicò e lo depose. Eutiche fece appello al Papa e continuò a propagandare la sua eresia, forte dell’appoggio di Dioscoro, vescovo di Alessandria, e dell’imperatore Teodosio II, che radunò un Concilio a Efeso nel 449. Il papa san Leone Magno inviò al Concilio tre legati con una Instructio dogmatica, nota col nome di Tomo a Flaviano, nella quale si affermava con precisa chiarezza l’unità di persona e la duplice natura di Cristo. Ma il Concilio presieduto da Dioscoro e sorvegliato da bande armate di monaci fedeli a Eutiche non tenne conto delle direttive di papa Leone, riabilitò Eutiche e depose i vescovi che gli erano contrari. Il Papa radunò subito un sinodo a Roma, che condannò la procedura di Efeso come un atto di brigantaggio (latricinium ephesinum). L’anno dopo, morto Teodosio II, Marciiano suo successore, d’accordo col Papa, convocò un Concilio a Calcedonia che si tenne nel 451 sotto la presidenza dei legati del Papa; fu definito il dogma controverso con questi termini: “Uno solo e medesimo Cristo, figliuolo unico, in due nature senza mescolanza, senza trasformazione, senza divisione”. I monofisisti però non disarmarono e continuarono a tener desto il campo cattolico per parecchi secoli; alcuni si costituirono in chiese separate non solo da Roma ma dalla stessa “ortodossia”, nella Siria, nella Mesopotamia, nell’Egitto e nell’Armenia.

Monotelismo –  Agli inizi del secolo VII, per conciliare eretici monofisiti e cattolici ortodossi, Sergio patriarca di Costantinopoli (610-638), propose la dottrina che afferma una sola volontà o attività in Cristo.

I monofisiti dell’Egitto, con a capo Ciro patriarca di Alessandria, e quelli dell’Armenia accettarono, gli uni nel 633 e gli altri nel 634, la dottrina di Sergio. Immediatamente san Sofronio, vescovo di Gerusalemme, denunziò l’eresia con la Lettere asinodale di intronizzazione del 634, diretta a papa Onorio; ma Sergio riuscì a guadagnare il Papa alla sua causa e, forte di questo appoggio, fece pubblicare dall’imperatore Eraclio l’Ectesi, una professione di fede di tendenza monotelita (638). Contro l’Ectesi si levarono proteste in Occidente e in Oriente, sicchè Costante II (641-668) successore di Eraclio, fu costretto (648) a ritirare l’Ectesi e a sostituirla con un nuovo decreto, il Tipo, col quale si imponeva il silenzio sulla questione della unica o duplice volontà di Cristo. Nel 649 papa Martino I riunì un Concilio nel Laterano, condannò tanto l’Ectesi che il Tipo e impose la dottrina delle due volontà e della duplice operazione in Cristo; l’imperatore fece allora arrestare il Papa e lo mandò in esilio nel Chersoneso dove morì nel 655. La lotta però contro il monotelismo non cessò, e san Massimo il Confessore (580-662) ne divenne il campione. Con Costantino IV Pogonato (668-686) si ebbe una distensione. L’imperatore d’accordo con papa Agatone (678-681) convocò un concilio a Costantinopoli (VI ecumenico, 680-681), nel quale venne definitivamente liquidata la questione del monotelismo: “Conveniva, dice il Concilio, che la volontà della carne fosse mossa della volontà divina e che le fosse sottomessa. Come infatti la carne è veramente la carne del Verbo divino così la volontà naturale della carne è la volontà propria del Verbo divino”.

Montanismo– Eresia a sfondo morale ascetico, nella quale si trovò invischiato anche Tertulliano. Montano, nativo della Frigia, da poco convertito al cristianesimo dal culto di Cibele, si spacciava come l’organo dello Spirito Santo, dal quale diceva di aver visioni e rivelazioni. Non insegnava una gnosi; accettava tutta quanta la Rivelazione come un fatto incontestabile, non s’abbandonava a speculazioni come era uso degli gnostici. Il suo ideale era pratico, esclusivamente etico. In attesa della imminente parusia del Signore e dell’apparizione della Gerusalemme celeste, ai cristiani non era lecito sedersi in comode poltrone; bisognava prepararsi al grande evento con una condotta austera, con una ascesi in cui dominasse lo Spirito e le funzioni della carne fossero ridotte all’indispensabile. Perciò niente matrimonio, niente compiacenze carnali, niente ricercatezza, niente cariche, ma un sacrificio pieno e cosciente in attesa della grande ora. Durante questo tempo d’attesa i cristiani dovevano raddoppiare il digiuno, non cadere mai nella colpa perché dopo il battesimo, secondo Montano, nessuna colpa può essere rimessa. Era dunque quello di Montano un movimento spirituale, una riforma morale; e tutto questo sarebbe stato bello se non avesse valicato i limiti del giusto e del conveniente e se non avesse preteso completare la rivelazione cristiana e di ricevere per rivelazione dall’alto quello che era soltanto parto della sua fantasia. La predicazione di Montano  non cadde nel vuoto. Attorno a lui cominciò a stringersi un piccolo gruppo di fedeli; due donne, Massimilla e Prisca che si dicevano profetesse, piantarono in asso i loro mariti e si diedero al servizio dell’asceta frigio; poi il piccolo gruppo crebbe, si allargò in Asia, come un’epidemia. Dall’Asia il moto di sparse anche in Occidente. I martiri lionesi dalle loro prigioni scrissero a papa Eleuterio per ottenere una condanna dei nuovo eretici. Comunità montaniste si stabilirono a Roma e a Cartagine, dove Tertulliano fu capo e vittima insieme. Il montanismo s’andò spegnendo da sé nella prima metà del secolo III.

Nestorianesimo– Nestorio, patriarca di Costantinopoli, fu piuttosto il propagatore e il sostenitore dell’eresia che va sotto il suo nome e che si era già manifestata negli scritti di Diodoro di Tarso fin dal 378 (m.394) e di Teodoro  di Mopsuestia, suo discepolo (m.428), della scuola di Antiochia. Diventato patriarca di Costantinopoli nel 428 e imbevuto delle idee di Teodoro, per combattere l’eresia apollinarista (vedi) usò tutta la sua eloquenza e l’autorità della cattedra, ma negò alla Vergine il titolo di Madre di Dio che già da tempo le veniva attribuito. Maria, diceva in sostanza Nestorio, non è madre di Dio ma madre di Cristo, perché la persona di Cristo, nata da Maria non è identica alla persona del Verbo generato del Padre; cioè le due nature in Cristo non si sono unite ipostaticamente (secundum hypostasim o secundum essentiam) ma in una nuova persona ceh non è né la persona del Verbo né la persona dell’uomo, ma la persona del composto.  Di conseguenza, in Cristo non si possono in concreto attribuire le proprietà della natura divina all’uomo e le proprietà della natura umana a Dio (comunicatio idiomatum).

Contro la dottrina di Nestorio si levò un teologo di primissimo ordine, san Cirillo vescovo di Alessandria. Nestorio chiese nel 429 a papa Celestino la convocazione di un concilio generale che lo giustificasse. Il Papa domandò informazioni anche a Cirillo e nell’agosto 430 in un sinodo romano fece condannare la dottrina di Nestorio; poi spedì quattro lettere: una a Nestorio perché si ritrattasse, un’altra alla chiesa di Costantinopoli, una terza a Giovanni di Antiochia che sosteneva Nestorio e una quarta a Cirillo che lo incaricava di rendere esecutoria la sentenza del sinodo romano. Poichè Nestorio tergiversava accusando Cirillo di apollinarismo, Teodosio II, d’accordo con Celestino I, convocò il Concilio di Efeso che condannò la dottrina nestoriana (II luglio 431). L’eresia di Nestorio sopravvisse nelle scuole teologiche di Nisibi e di Edessa e più tardi si propagò nell’Arabia, nelle Indie e perfino nella Cina. Nel secolo XVI, la maggior parte dei nestoriani ancora esistenti tornarono all’unità cattolica, e gruppi sparuti vivono ancora oggi nell’Iraq, nella Siria, nella Persia, nell’Iran e nell’India.

Nicolaiti– A questi eretici san Giovanni l’Evangelista attribuisce una dottrina che è “profondità di Satana” (Apoc.,III), la quale, con lo specioso pretesto che bisogna maltrattare la carne, incoraggiava l’immoralità e toglieva ogni carattere d’impurità alla fornicazione. Secondo sant’Ireneo e san Clemente Alessandrino, maestro e capo dei nicolaiti era stato Nicola, uno dei sette diaconi ordinati dagli Apostoli; perdutamente innamorato di una donna e ripreso dagli Apostoli, Nicola s’era in seguito dedicato a una vita ascetica di espiazione.

Pelagianesimo– Sostenuta dal monaco bretone Pelagio, da cui prese il nome, diffusa da Celesio in Siclia, in Africa e in Palestina, e sistematizzata poi dal vescovo campano Giuliano d’Eclano, quest’eresia sorta nei primi anni del secolo V minò il cristianesimo alla base. Essa sosteneva la naturale capacità dell’uomo a ottenere la salvezza col suo uso della ragione e della libertà e senza l’intervento soprannaturale di Dio, e negava insieme alla sostanza e alle conseguenze del peccato originale la assoluta necessità  della grazia per le opere soprannaturali. Il peccato originale, nel senso inteso dalla Chies, per Pelagio non esisteva; l’uomo infatti nasce senza alcuna macchia, con una perfetta integrità di natura simile a quella con cui Adamo uscì dalle mani del Creatore; il peccato del primo uomo non portò alcun nocumento né alcuna conseguenza nella posterità, fu però un cattivo esempio, e intanto si potrebbe parlare di peccato originale in quanto glu uomini peccanno a somiglianza di Adamo. Di conseguenza: né il battesimo è di assoluta necessità per la vita eterna- è però richiesto per far parte della Chiesa -, né è necessaria la grazia per le opere soprannaturali, e neppure la Redenzione deve essere considerata come un riscatto. La grazia è soltanto una illuminazione interiore; non agisce sulla nsotra volontà e non trasforma la nostra anima; la Redenzione è semmai un richiamo, un invito a una vita superiore, ma comunque rimane sempre steriore, non crea cioà nulla dentro di noi. Cià alle prime avvisaglie dell’eresia, portata in Africa nel 310 da Celesio, il Concilio cartaginese del 311 scomunicò  Celestio e lo costrinse a riparare in Palestina, dove già si trovava Pelagio suo amico. Se in Palestina l’eresia trovò dei vescovi compiacenti, in Africa invece la lotta, condotta da sant’Agostino, si fece serrata e portò alla condanna dell’eresia nel Concilio milevitano del 316 e nel Concilio cartaginese del 318, e infine all’Epistola tractoria di papa Zosimo che, riprendendo il meglio delle definizioni dei due citati Concilia fricani, condannò solennemente l’eresia: tale condanna fu poi confermata nel Concilio ecumenico di Efeso del 431. Alcune espressioni di sant’Agostino nella polemica pelagiana sulla necessità della grazia fecero credere che si volesse togliere al libero arbitrio ogni parte nell’opera della salvezza, e fu così che alcuni monaci del monastero di S. Vittore a Marsiglia credettero di proporre la seguente dottrina:

1) è in potere dell’uomo volgersi per primo verso Dio, così come è in potere del malato andare per primo dal medico;

2) allo stesso modo la predestinazione eterna dipende in ultima analisi dalla volontà umana giacché spetta a questa perseverare fino alla fine.

Un discepolo di sant’Agostino, san Prospero d’Aquitania, denunziò subito questo errore, che in seguito fu chiamato semipelagianesimo e fu al centro di varie polemiche teologiche per circa un secolo fino a che il Concilio di Oragne del 529, approvato solennemente da Bonifacio II nel 532 non lo condannò stabilendo che l’uomo decaduto non può ottenere la fede né desiderarla senza una grazia preveniente; tanto meno può perseverare nel bene senza una sequela di grazie adiuvanti, né perseverare fino alla fine senza un dono speciale collegato alla sua predestinazione.

Petrobrussiani– Seguaci di Pietro di Bruys, un prete ribelle che nei primi anni del secolo XII, dichiarandosi autentico rappresentante  del cristianesimo e forte di una vigorosa eloquenza, si mise a predicare contro il battesimo dei bambini, contro la transustanziazione, contro le immagini, le croci e le chiese, perché Dio si prega in ispirito, contro le preghiere per i defunti e contro l’obbedienza all’autorità ecclesiastica.

Riuscì ad ottenere un certo successo nella Provenza e nella Guascogna, nonostante avesse di fronte sa Bernardo. Ucciso a Saint-Gilles du Gard, il Venerdì santo del 1124 da una folla inferocita, fu bruciato sullo stesso rogo di croci e crocifissi che lui aveva approntato sulla piazza del paese per cuocervi della carne, a disprezzo dei cattolici. Il movimento dei petrobrussiani continuò ancora per un’altra ventina d’anni sotto la guida di un ex benedettino Enrico di  Losanna che fu condannato dal Concilio di Pisa del 1135 e morì in prigione nel 1145.

Quietismo– Teorico del quietismo fu il sacerdote spagnolo Miguel de Molinos (1628-1696), autore di  La guida spirituale, pubblicata a Roma nel 1675, nella quale sosteneva che la perfezione cristiana consiste in un completo, passivo abbandono in Dio, sopprimendo ogni atto esplicito di virtù e finanche ogni desiderio di santità, senza opporre alcuna resistenza alle tentazioni o alle azioni immorali ma accenttandole passivamente come vengono, perché per l’anima annientata in Dio non c’è nulla che possa essere peccato. Nelle quasi ventimila lettere di direzione scritte dal Molinos, queste idee vengono esposte in maniera più particolareggiata e ne mettono in rilievo l’ambiguità e le conseguenze malefiche.

Condannato da Innocenzo XI nel 1687 Molinos ritrattò i propri errori. Però in Francia il quietismo, se pure in maniera mitigata, ebbe due bizzarri rappresentanti nel barnabita Francesco Lacombe e in Madame Guyon: quest’ultima poi riuscì a ingarbugliare lo stesso Fènelon, col quale entrò in polemica il Bossuet. Nel 1699 Innocenzo XII condannò ventitrè proposizioni estratte dal libro di Fènelon: Spiegazione delle massime dei santi, e così pose termine a quella che fu chiamata “controversia del puro amore” e che si condensava nella prima proposizione condannata: “Esiste uno stato abituale di amor di Dio, che è carità pura e scevra di qualunque interesse proprio. Né il timor delle pene, né il desiderio della ricompensa vi hanno parte. Non si ama Dio con l’idea di meritare di raggiungere la perfezione, né per ottenere  la felicità che si trova nell’amarlo”.

Spirituali. Gruppo abbastanza nutrito di francescani esaltati, che riprendendo le idee di Gioacchino da Fiore (vedi: Gioacchimiti) e predicando la povertà evangelica, pretendevano riformare la Chiesa invischiatasi nel temporale. Francesco d’Assisi, “l’angelo del sesto sigillo dell’Apocalisse” secondo questi Spirituali, era già venuto a inaugurare la terza età dello Spirito Santo, in cui i francescani spirituali avrebbero istaurato il regno di Dio. Il movimento ebbe i suoi principali focolari in Toscana con Ubertino da Casale, autore di un Arbor vitae crufixae Jesu e nella Linguadoca con Pietro di Giovanni Olivi, di cui alcune proposizioni ereticali furono condannate, e con Gerardo da Borgo san Donnino, che scrisse un Liber introductionis in Evangelium aeternum, e infine nella Marca d’Ancona con Angelo Clareno.

Valdesi– Pietro di Vaux o Valdo o Valdès era un mercante di Lione, nativo del Delfinato, che dallo studio della Scrittura fu portato a vivere una vita più perfetta secondo l’ideale evangelico. Desideroso di far conoscere la Bibbio al poplo, con l’aiuto di due sacerdoti suoi amici, iniziò la traduzione in volgare, ma nel 1170 essendo morto improvvisamente uno dei due sacerdoti, credette di vedere in questo una chiamata del Signore, e dopo d’aver distribuito tutto ai poveri e abbandonata la moglie, si mise a predicare la povertà e la penitenza per le piazze di Lione dei dintorni, attaccando anche le eccessive ricchezze della Chiesa e la cattiva condotta del clero. Attorno a lui  si costituirono dei gruppi che si diedero il nome di “poveri di Lione” e che il popolo chiamò valdesi. La predicazione di pietro e di altri laici accodatisi a lui e che senza alcuna preparazione intedevano piegare la Scritture, preoccupò l’arcivescovo di Lione, che proibì loro di predicare. Pietro appellò a Roma e papa Alessandro III pur approvando il modo di vivere di seguaci di Valdi li sottopose per la predicazione all’autorità episcopale del uogo. Pietro non volle sottostare e seguitò a predicare senza alcuna autorizzazione, sicchè l’arcivescovo fu costretto a condannarlo. Papa Lucio III nel 1184 approvò la sentenza del prelato lionese, e fu allora che Pietro con i suoi passò all’eresia: negò il sacerdozio nella Chiesa, dissero che l’uomo si salva da  solo senza l’appartenenza a una Chiesa qualunque e che ogni fedele è depositario dello Spirito Santo; poi negò la presenza reale eucaristica, si attribuì il diritto di conferire i sacramenti da semplice laico, non ammise altre preghiere oltre il Pater nostrer ritenne il giuramento una bestemmia e negò alla società il diritto di punire e alla Chiesa il diritto di possedere. I movimento valdese s’organizzò in setta, con capi propri che vivevano di elemosina e in perfetta castità; si diffuse nel Delfinato, nella Provenza, nella Linguadoca, in Germania, nella Spagna, nella Boemia, nella Polonia e si attestò solidamente in alcune vallate delle Alpi piemaontesi dove in seguito Pinerolo e Torre Pellice costituirono il centro preferito dei valdesi. Nel 1533, nel sinodo di Cinforan, i valdesi aderirono alla dottrina calvinista, e perciò oggi vengono considerati come una setta protestante. Attualmente il loro numero non supera i cinquantamila, di cui trentamila in Italia.

Wycleffiti– Giovanni Wyclef (1324-1384), parroco di Fillingan, elemosiniere del re, accumulatore di benefici ecclesiastici e maestro di teologia a Oxford, scrisse una serie di opere (Il dominio divino, nel 1375, Il Dominio civile, ancore nel 1375, La Chiesa nel 1378, L’ordine cristianoL’apostasia e L’Eucarestia  nel 1379, e la più importante opera, il Trialogus, nel 1382) in cui si atteggiava a riformatore e rivoluzionario. La sua dottrina è sintetizzata nelle quarantacinque proposizioni condannate dal Concilio di Costanza, il 4 maggio 1415. Scagliandosi contro la Chiesa romana, diventata sinagoga di Satan e corpo dell’anticristo, sosteneva che la Chiesa deve essere puramente spirituale, senza gerarchia, quasi senza sacramenti e senza sacerdozio, costituita invisibilmente dai predestinati. Poiché la sovranità appartiene soltanto a Dio, e il potere viene esercitato sotto l’autorità di Dio e quasi per delegazione divina, non ha diritto alla  sovranità sia temporale che spirituale che non si trova nello stato di grazia; di conseguenza, il papato, il clero, i monaci, accusati tutti di peccato, non rappresentano nessuna autorità. La Bibbia è l’unica regola di salvezza e perciò Wyclef ne favorì la traduzione nella lingua nazionale. Inoltre negava la transustanziazione e la libertà umana, sostenendo la predestinazione degli eletti e dei reprobi. Queste teorie trovarono fautori nella corte inglese, avida di beni ecclesiastici, e propagandisti popolari che si chiamavamo “i poveri preti” ma che il popolo chiamò lollardi. Condannato nel sinodo di Canterbury del maggio 1382, Wyclef morì due anni dopo. I suoi seguaci furono dispersi da Enrico IV di Lancaster nei primi anni del secolo XV.

Per altri studi: Fonti di studio per Eresie

Qui l’articolo originale apparso su Il Cattolico

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