Gli “ingredienti segreti” della Disney: sesso e monachesimo
Viene da sorridere a pensare a quanti temevano Frozen II come il preludio a una regina “gender friendly”: in realtà Disney ha reso il racconto della Regina delle Nevi molto più sessuato di quanto non fosse in Andersen (dove i due amici Kay e Gerda sono bambini e il loro affetto non ha immediate ricadute coniugali), ma se c’è una cosa che davvero è stata sdoganata da Il segreto di Arendelle si tratta della vocazione di speciale consacrazione, perché l’algida solitudine del personaggio anderseniano non è causata da una delusione amorosa, nel film Disney, ed è stata riempita dal colloquio con un Tu assoluto che «è buono» anche se le apparenze possono dire il contrario («Guarda Arendelle!», dicono alla Regina dopo lo sconvolgimento degli Elementi). Sì, l’inquieta Elsa sboccia e trova pace in una sublime vocazione monastica, che anzi trasvola perfino oltre, carezzando il limite dell’essere umano consustanziale (non lo dico a caso) alla Quintessenza – ciò che tiene insieme gli Elementi pur trascendendoli tutti –, e quando Elsa la Bianca (ah, gli echi tolkieniani!), di ritorno da Ahtohallan, va a farsi riconoscere dalla sorella chiamandola per nome si respira aria di Gv 20,16 (Anna le aveva già fatto la sua brava professione di fede: «Io credo in te, Elsa, in nessuno come in te» – cf. Gv 11,27). Elsa è personaggio monastico e messianico, sì, e dopo la pacificazione cosmica deve necessariamente ascendere a un diverso tipo di esistenza: se nel secondo episodio (che è un sequel e un prequel al contempo) si trova una cornice ancora più fiabesca e “canonica” alla vicenda del primo, anche i personaggi acquistano in questa pellicola una profondità e un dinamismo che nel primo sembrava esigere un complemento (lo si pensa soprattutto, ma non solo, per la figura della madre delle due).
Per comprendere Il segreto di Arendelle (che è la semplice verità dell’umanità ferita che non può salvarsi da sé), bisogna anzitutto ricordare che Frozen è stato, nel 2013, una rilettura disneyana (nel senso più alto e più nobile del termine) di un racconto popolare europeo stabilito nelle sue forme letterarie canoniche nel 1844 da Hans Christian Andersen: l’inserimento del tema della sorellanza aveva già mutato il destino della Regina, che in Andersen è glaciale perché sola, mentre in Disney al contrario si isola perché misteriosamente gelida. Seguendo la vicenda di Elsa ed Anna attraverso i due film del 2013 e del 2019 si ripercorre la storia dell’uomo e di ogni uomo, che nella multiforme diversità dei carismi di natura e di grazia trovano dapprima occasione di scandalo e di conflitto, provano allora a regolarne l’uso tramite la legge e fanno quindi esperienza della necessità di una grazia che tutto superi, tutto raccolga, tutto perdoni e redima.
