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Tafida Raqeeb, pollice recto dall’Alta Corte di Londra

TAFIDA RAQEEB

Tafida

Gabriele Marconi - La Croce - Quotidiano - pubblicato il 04/10/19

Nulla osta più all'espatrio della bimba britannica, che potrà raggiungere il Gaslini in condizioni di sicurezza.

Aggiornamento (4 ottobre 2019 h. 10:40:

Nella mattinata di oggi i legali del Barts Health trust hanno comunicato all’Alta Corte che i loro clienti non intendono ricorrere in appello, comunicazione poi inoltrata ai rappresentanti della famiglia. Nulla osta più all’espatrio di Tafida, che può così raggiungere l’ospedale Gaslini in condizioni di sicurezza.

La sentenza è arrivata prima dalle agenzie che dai cronisti in aula, sorpresi in contropiede. L’Alta Corte di Londra ha giudicato in favore della vita (prima che della famiglia) di Tafida Raqeeb. Per la prima volta in Regno Unito un giudice ha disposto il mantenimento del sostegno vitale di un paziente pediatrico in un caso di conflitto tra l’ospedale e la famiglia. La decisione è arrivata con una sentenza di non facile lettura – e per come vi è espresso il bilanciamento dei punti di vertenza e per l’estensione del testo (70 pagine, le prime 30 di sintesi delle posizioni delle parti) – e tuttavia estremamente netta a concludersi:

188, L’effetto di queste decisioni è che o il trust del NHS, o l’Ospedale Gaslini in Italia (ovvero un altro ospedale) proseguirà nel fornire a Tafida i trattamenti di sostegno vitale. In considerazione dei trattamenti [prospettati] dall’Ospedale Gaslini, come ho evidenziato, dalla mia decisione segue anche che non c’è alcuna chiara motivazione per intervenire sul diritto di Tafida sancito dall’art.56 [del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea] di ricevere [detti] trattamenti in un altro Stato Membro UE e si avvisa che ora questo trasferimento avverrà.

– Conclusioni della Sentenza dell’Alta Corte d’Inghilterra sul caso 2531 del tribunale amministrativo e 2530 della corte familiare.

Ci sarà tempo per analizzare nel dettaglio tutte le implicazioni contenute nel plico approvato dal giudice Alistar MacDonald a motivazione della propria sentenza. Nell’immediato va registrata – e posta su un podio – una pronuncia in apparente disambiguazione e in totale contraddizione con la giurisprudenza recente, la quale afferma che:

  • Tafida ha il pieno diritto di essere trasferita in un qualsiasi stato della comunità europea per ricevere l’assistenza e le cure che più sono ritenute idonee per lei,
  • questo diritto va esercitato in tempi rapidi
  • e include il mantenimento del sostegno vitale.

Scomponendo l’esito della decisione si nota subito il carattere perentorio della dichiarazione. Avevamo già raccontato che mai come nell’udienza dal 9 al 13 settembre i legali del Barts Health trust si erano mostrati deboli nella loro autoreferenzialità, contraddicendosi a più riprese sulle condizioni cliniche della bambina, scadendo in errori madornali come l’insistenza discriminatoria sull’appartenenza religiosa di Tafida, arrivando ad accusare il Gaslini (e l’Italia intera per estensione) di violare sistematicamente i diritti dei pazienti minorenni per soddisfare i desideri dei genitori. Per quanto grottesco fosse l’impianto difensivo o accusatorio (a seconda di quale vertenza si consideri del procedimento) del NHS, in questi anni siamo stati abituati a prove di così dubbia terzietà delle corti britanniche da non osar pronosticare una sentenza ampiamente già chiara in sede dibattimentale. La decisione stavolta ha invece restituito almeno in parte il quadro processuale e sbigottito tutta la classe giornalistica britannica, che in queste ore sta abbozzando sintesi interlocutorie e concilianti, ma tradisce la sensazione di un caso già inedito. Miglior fortuna non hanno le testate nostrane, che salvo poche eccezioni meritorie – Avvenire, Aleteia su tutte ed un contributo non scontato anche dai corrispondenti di corrispondenti di CorSera e SKYtg24 – si erano limitate a riportare le copie-carbone d’Oltremanica, tradotte con dubbia competenza, tal quale ad ora.

Va dunque evidenziato, come ha fatto l’avv. Filippo Martini – possa andare a lui e al team legale italiano e internazionale tutta la nostra gratitudine (e al contempo si perdoni il mio slancio)! – proprio nella sessione pomeridiana dell’all-news di SKY, mostrando che l’argomento del diritto di libera circolazione dei cittadini europei non ha trovato una considerazione dirimente in sé. La sentenza si basa più sulle lacune delle tesi dei rappresentanti del trust che non su quanto fossero stringenti le tesi dei legali della famiglia Raqeeb. Nella lunga analisi MacDonald analizza la gerarchia di tutele nell’ordinamento britannico, avendo cura di premettere fin da principio che quelle sancite dai trattati comunitari, in specie la libera circolazione di pazienti cittadini europei come da art.56 TFUE e connessi, sono sì vincolanti, a condizione di non trovare un’ipotesi derogatoria alla norma che sia fondata sulla dottrina nazionale e che la valutazione attenga ad una corte nazionale. Quindi la corte espone sei casi di deroghe alla libera circolazione per la richiesta di trattamenti in UE disposte in letteratura, compresi i casi Gard ed Evans ed il celebre caso Blood (già impiegato per il respingimento in appello dei due precedenti pediatrici e richiamato dai legali del trust) in cui ad una vedova fu impedito di portare all’estero lo sperma del marito defunto per farsi inseminare. Non si può perciò dire che MacDonald non abbia ricercato la giustificazione a suddetta deroga almeno quanto i colleghi. Eppure la corte ravvisa nella condotta del trust il non aver dato «alcuna considerazione» al diritto di Tafida quale cittadina europea, così nemmeno interrogandosi se così facendo lo stesse violando. La corte giudica per questo la condotta del trust illegale, ma al contempo non ritiene che, anche qualora il comportamento del trust fosse stato adeguato, la questione si sarebbe risolta diversamente: su questa motivazione nel migliore dei casi oscillatoria, se non propriamente funambolica, il giudice riesce sia ad esigere il rispetto dell’art. 56 del TFUE per Tafida, sia a confinare tale valutazione in un recinto di circostanze abbastanza specifiche da poterne limitare l’estensione a casi successivi. Infatti l’applicazione all’articolo, nei termini richiesti dalla famiglia, non trova accoglimento.

L’altro elemento decisivo, il più rilevante in assoluto, è stata la questione se Tafida patisse o meno dolore, che ad unanimità è stato escluso dal consenso diagnostico sulla bambina. È questo punto ad aver fatto la gran parte della differenza rispetto ai precedenti di Charlie ed Alfie, per cui l’argomento della sola possibilità di soffrire un trasferimento in aeroambulanza più di quanto non soffrissero a terra (per quanto quella possibilità fosse già molto inferiore alla posta del decesso certo, se non trascurabile) aveva escluso l’accoglimento della richiesta di essere anche solo valutata in appello. Il consenso unanime sulla condizione clinica di Tafida non solo non concede, ma nemmeno ammette che la bambina patisca dolore. Né si può sostenere che l’aerotrasporto eseguito nelle condizioni di perizia ultradecennale del Gaslini sia incapace di replicare le garanzie offerte dalla Terapia Intensiva a terra. Tutto ciò la corte non può che registrate e quindi recidere il cavo che dal detonatore del best interest preme sull’ordigno della deprivazione di responsabilità genitoriale:

La legge ch’io debbo applicare è chiara ed esige che una decisione sul best interest giunga ad una accurata ed equilibrata valutazione su tutti i fattori […]. Nell’impugnare quell’equilibrio, in circostanze in cui, pur di minima consapevolezza, moribonda e totalmente dipendente da terzi, Tafida non patisce dolore ed è stabile sul piano medico; laddove il carico del trattamento necessario a mantenerla in uno stato di minima coscienza è leggero, laddove c’è un fronte affidabile di pareri medici che ritiene che le possa e debba essere garantito il sostegno vitale nell’ottica di collocarla in una posizione dove possa essere curata come a casa, tramite la ventilazione, da una famiglia amorevole e dedita nello stesso modo in cui numerosi altri bambini in situazioni simili a quella di Tafida sono trattate in questa [stessa] giurisdizione; laddove c’è un piano di cura pienamente dettagliato e fondato a questo scopo; laddove Tafida possa essere trasportata in sicurezza in Italia con minimo o nessun impatto sul suo benessere; laddove nel predetto contesto, il trasferimento a fini del trattamento in Italia c’è la scelta dei suoi genitori nell’esercizio della parental responsibility e nel rispetto della sacralità della vita di Tafida assunta come della più alta importanza, constato, sulla base di un equo bilanciamento, che è nel best interest di Tafida che il mantenimento del trattamento di sostegno vitale prosegua. Consegue da questa conclusione che constato, avendo la corte risolto la disputa sul suo best interest in favore che a Tafida il trattamento venga offerto in Italia, non ci può essere alcuna giustificazione per ulteriori interferenze con il diritto europeo di Tafida di ricevere il suddetto servizio secondo l’art. 56. (p.186)

Una motivazione così chiara non sembra ammettere repliche. Il testo presenta diverse altre sorprese di favore delle istanze familiari. A tratti sembra perfino scusarsi delle accuse all’ospedale pediatrico genovese mosse dai legali del trust, oltre che tenere in grande conto la portata delle convinzioni morali e religiose della breve vita di Tafida nella valutazione della sua volontà, senza avanzare dubbi sulle dichiarazioni della famiglia per cui, per quanto bambina, la devozione di Tafida verso il credo musulmano la porterebbe ad opporsi al distacco dei presidi vitali se potesse esprimersi integralmente. Alla prima lettura della sentenza non sembra esserci nessun motivo di temere per le sorti di Tafida.

Eppure, per quanto instradate verso la destinazione più speranzosa, per quanto perentorie, queste motivazioni e decisioni non sono ancora definitive. Al termine della pronuncia il giudice MacDonald ha raccomandato ai legali del trust di prendere rapidamente una decisione sull’eventuale ricorso in appello. Questo avviso è parso in diretta continuità con le conclusioni della sentenza, difatti ponendo un limite al trasferimento di Tafida, appena prima disposto come subitaneo. Se Tafida fosse trasferita prima della decisione di ricorrere in appello, non è pensabile che il trasferimento sia reversibile, a prescindere da come procederebbe poi l’iter giudiziario. L’auspicio è proprio quello di portarla in Italia prima che il procedimento di 2o grado sia accolto, ma qualsiasi gesto rischia di produrre delle ordinanze della medesima corte, di carattere inibitorio rispetto alla sentenza. Il rischio è cioè che la famiglia Raqeeb si trovi ora in un limbo, in cui agire fornirebbe il pretesto per il riavvio della vicenda giudiziaria, non agire lascerebbe tutto nelle mani nel NHS. Non si può escludere che il giudice MacDonald abbia puntato esattamente su questa trappola procedurale, per far ricadere sulla parte familiare la responsabilità di un’eventuale e successiva istanza ai loro danni e permetterne un più facile accoglimento.

Ancora più indicativa è stata la risposta dei legali del trust, i cui rappresentanti hanno manifestato l’intenzione di valutare la questione non tanto sul caso specifico di Tafida, sul quale il giudice ha voluto circoscrivere la decisione minuziosamente, probabilmente per evitare che si consolidi come precedente (e soprattutto come precedente normativo di effetto a prelazione del diritto europeo). La parte ospedaliera ha precisato che le loro valutazioni saranno soppesate sulle ripercussioni per tutti gli altri pazienti e coinvolgeranno i vertici dell’ospedale e della fondazione. Ma se le preoccupazioni riguardano le ripercussioni su altri pazienti, c’è da credere che saranno altresì coinvolti anche i massimi vertici del NHS. Questi dovranno decidere se possono permettersi, con una sentenza così circoscritta, di lasciar andare la bambina, di fronte ad un caso che può scuotere le fondamenta stesse delle previsioni di spesa nazionale per i pazienti in condizioni come quelle di Tafida (sono almeno 16mila quelli in veglia aresponsiva dal report del 2015, si stimano poco meno di 50mila per pazienti in stato di minima coscienza).

Oggi non si può che incassare una vittoria insperata, da domani ci chiederemo come fare per difenderla e prolungarla il più possibile.

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