Il titolo dice quasi tutto, ma è bene rivedere un po’ cosa sta accadendo. Ci sono madri e padri che si sentono così incapaci di calmare i propri figli che ricorrono alla “caramella elettronica”: il cellulare. È un modo per dire al bambino: “Crediamo che tu non possa fare altro che prendere la caramella per stare tranquillo. In questo modo ci lasci in pace e ti dimostriamo che non riesci a intrattenerti o a calmarti da solo”.
Il bambino potrebbe rispondere: “Non me lo avete insegnato”. Immaginiamo che questo bambino si chiami Marco, abbia 4 anni e vada dal medico per un mal di pancia. Ricordiamo tutti – forse chi ha meno di 25 anni no – che un bambini di un paio di decenni fa prendeva due macchinine per giocarci mentre aspettava che il dottore lo chiamasse.
Sotto il controllo di mamma o papà
La madre, che non aveva il cellulare perché il suo uso era molto raro, lo guardava più o meno attentamente, ma sorrideva ogni volta che il bambino cercava la sua approvazione guardandola. La mamma lodava il gioco, e il bambino continuava a giocare contento. Poi entrava per la visita, e le macchinine finivano nella borsa della madre.
Quest’ultima credeva fermamente nel fatto che il bambino riuscisse a intrattenersi solo perché aveva ricevuto lezioni di “calmarsi da sé” a casa, e se le macchinine lo stancavano tirava fuori un foglio e qualche matita colorata dalla borsa (un po’ come Mary Poppins) e metteva il figlio a disegnare.
Mettere le ali all’immaginazione
Oggi in casa non si insegna ai bambini a fare una serie di cose fondamentali. Non si insegna a Marco a giocare, a raccontarsi delle storie. Il bambino di vent’anni fa era capace di raccontarsi un sacco di cose, e in quella conversazione interiore era in grado di darsi degli ordini: “Ora bisogna giocare, e mi piace molto”. E quella conversazione interiore serviva per disegnare delle storie su un foglio bianco.
La madre e il padre all’epoca avevano in casa costruzioni, bambole o libri illustrati che i bambini guardavano e leggevano innumerevoli volte per dare ogni volta una versione nuova al racconto.
Ora il bambino sta a casa e non sa giocare. Non ha imparato. Ma Marco sa che gli piacciono i fumetti di Spongebob e le canzoncine di Baby Shark. È questo che ci si aspetta da questo bambino? È questo che ci si aspetta da un bimbo tra i 2 e i 6 anni che costruisce la sua conoscenza del mondo, della realtà e dell’ambiente attraverso il gioco?
Questo bambino non gioca: è uno spettatore passivo che senza quelle “caramelle” non sa – permettetemi di essere un po’ crudo – quasi niente. Che faceva quella madre indolente – perdonatemi l’aggettivo – o stanca che aveva anche la televisione accesa a tutte le ore quando Marco giocava a due anni con dei pupazzetti che gli avevano regalato i nonni? Quello che faceva, senza cattive intenzioni, senza rendersene conto, era interrompere un gioco incipiente che con un po’ di sforzo familiare avrebbe potuto portare Marco ad amare il Lego.
I benefici del gioco
(Faccio consapevolmente pubblicità perché questa marca universale dimostra che ancora oggi è possibile giocare. Il lettore deve sapere che il Lego è un gioco che predice una grande conoscenza dello spazio, delle sue dimensioni, degli equilibri di forze e quindi del calcolo e della matematica).
Il bambino a due anni ancora giocava con quei pupazzetti, ma dopo tante ore di televisione accesa in casa ha abbandonato quelli che gli sembravano dei giochi sciocchi e si è piazzato sul divano davanti alla televisione vedendo che tutto ciò trasmettevano accanto alla madre o anche da solo. E così si è rinunciato ai primi passi del gioco.