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San Donato Milanese: «Da qui non uscirà vivo nessuno» ma si sono salvati tutti

SAN DONATO MILANESE
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Annalisa Teggi - pubblicato il 21/03/19
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La paura della morte che arriva all’improvviso nella tranquilla giornata scolastica di 51 ragazzi: sappiamo accogliere ciò che ci racconta la loro paura nuda e intravedere i segni della Provvidenza in questo evento terribile ma senza vittime?«È stato un miracolo, poteva essere una strage» ha sintetizzato con lucidità il procuratore di Milano Francesco Greco. E in quella virgola che separa lo scenario migliore possibile da quello peggiore si gioca tutta la nostra libertà umana di guardare i fatti accaduti. Solo una perfetta sincronia di gesti di coraggio ha ordito la trama di un lieto fine? O s’intravedono le mani grandi della Provvidenza, la cui opera non adombra né svilisce tutto il coraggio umano dei protagonisti di spendersi per il bene?

Far uscire dal cassetto la parola “miracolo” non è spingere sull’acceleratore del sentimentalismo; miracolo non è un sinonimo di “che fortuna!”. Possiamo ancora considerare la cronaca come un grande campo di battaglia dove Cielo e Terra s’incontrano? Le grandi prove della libertà umana, nel bene e nel male, si stagliano sull’orizzonte del nulla o sono un dialogo aperto con il Creatore?


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Era una mattina come tante altre, ieri. Ma tra Crema e San Donato Milanese si è squarciato il velo suadente della routine, che c’inganna illudendoci che la realtà nel nostro ritaglio di vita di periferia sia un posto tutto sommato tranquillo.

La ricostruzione

“Stamattina, dopo l’ora di ginnastica, siamo tornati al pullman. Stranamente, non era girato verso la via, ma ancora dalla parte della colonia. Non ci abbiamo fatto caso. Ma una volta saliti sul pullman, abbiamo visto che c’era qualcosa di diverso”. (da Crema News)

All’indomani della sventata strage sulla Paullese, non risultano feriti, ma ci sono 14 intossicati in ospedale. Chi è stato trattenuto al Pronto Soccorso è in codice verde o giallo; incredibile visto il dipanarsi della vicenda. Tutto si è consumato in 40 minuti.


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Alle 11.20 di ieri mattina, 20 marzo, 51 studenti delle classi 2A e 2B della scuola media Vailati di Crema escono dalla palestra e salgono sull’autobus che li doveva riportare al loro plesso scolastico. Li accompagnano due professori e una bidella. Alle 12 l’autobus è in fiamme all’altezza di San Donato Milanese e i carabinieri hanno arrestato l’autista, il quasi 47enne Ousseynou Sy.

Cosa è accaduto in 40 minuti?

Ousseynou Sy ha cambiato il percorso dell’autobus, i professori se ne sono accorti subito e hanno chiesto spiegazioni. A quel punto è piovuta dal cielo, e dalle labbra dell’uomo, la frase: “Oggi da qui non uscirà vivo nessuno”. L’idea svelata è quella di fare una strage a Linate. A ciò segue il sequestro vero e proprio:

[…] mentre tutti lo guardano senza ancora capire, cosparge di benzina le superfici del bus, dice una frase che tanti bambini ripeteranno: “Da qui non uscirà vivo nessuno”. E’ ai professori che dà il compito di legare con le fascette i polsi dei bambini, dopo aver detto a tutti di consegnare i cellulari. I professori, come spiegheranno poi a pm e carabinieri, legano i polsi dei bambini, ma riescono a mettere in atto uno stratagemma che salva la vita a tutti: ai bambini seduti nelle prime file, sotto lo sguardo dell’autista – che pretende che uno degli studenti si sieda accanto a lui -, stringono le fascette, lasciandole invece più larghe ai bambini seduti in fondo. (da Repubblica)

La libertà di un uomo di pianificare e perpetrare una strage incontra un’altra libertà, quella delle vittime. Da subito professori e alunni – categorie che di solito fa comodo contrapporre – osano gesti di coraggio. Non è bigottismo spirituale sentire la mano del Cielo, l’intraprendenza dei messi celesti, che corrobora questa forza umana di osare rispondere al male a testa alta. Dopo la prontezza dell’insegnante, lucidissima nel trovare lo stratagemma, anche quei giovanissimi spaventati collaborano al rovesciamento del piano malvagio:

Ed è così che, mentre Sy riprende a guidare verso la sua meta, che entrano in gioco Riccardo e Rami, due piccoli protagonisti di questa storia: Rami ha nascosto il cellulare nella giacca, Riccardo si libera dalle fascette e chiama il 112: “Ci stanno portando via con il pullman, aiutateci”. Anche un terzo bambino, Adam, si libera e chiama i suoi genitori: che capiscono che quello del figlio non è uno scherzo. (Ibid)

L’ultimo attore di questa tragedia sventata sta per entrare in scena: le forze dell’ordine. Due pattuglie dei Carabinieri della stazione di San Donato in dieci minuti intercettano il bus in località Pantigliate; non hanno idee chiare su ciò che sta avvenendo, ma l’incalzare degli eventi richiede una reazione immediata.


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Si mette in atto un posto di blocco. L’autista lo forza. Intervengono altre tre pattuglie. Sy è costretto a fermarsi. Alcuni carabinieri intavolano un dialogo con lui che intima di bruciare tutto.

SAN DONATO MILANESE

HANDOUT / VIGILI DEL FUOCO / AFP

Grazie a questo diversivo che tiene occupato il sequestratore, altri colleghi dell’Arma riescono a forzare la porta posteriore del bus per far scendere i ragazzi. Escono di corsa, anche quando il mezzo riprende la marciare veloce. Sono tutti fuori quando Ousseynou Sy appicca l’incendio, dopo che il mezzo ha terminato la corsa su un new jersey.

Sono 40 minuti in cui, per le molte persone coinvolte, le tinte della vita hanno assunto i colori dell’inferno in terra … lì, tra un autobus, il volto dei compagni e una strada di provincia qualsiasi. Chi ha visto il video delle concitate fasi finali della vicenda non può non essere rimasto colpito da come tutto fili liscio in mezzo al caos. Davvero solo l’encomiabile coraggio umano ha tenuto le fila della storia?

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La riduzione: senegalese, italiano, i migranti, la patente

La lode sperticata alle forze dell’ordine, la politica sui migranti, le indagini su Ousseynou Sy. Sono i ritornelli con cui si cerca di tamponare l’impatto tremendo di questo evento, riducendolo a materiale di prima qualità per tirare l’acqua al proprio mulino politico – qualunque sia.

Cosa si sa dell’attentatore, al di là delle etichette che ciascuno vuole apporgli sulla giacca?

Ousseynou Sy è nato in Francia nel 1972, da genitori senegalesi, diventa cittadino italiano nel 2004, dopo aver sposato una donna bresciana di Orzinuovi da cui ha due figli (18 e 12 anni) e da cui si è separato più di dieci anni fa. E’ anche un pregiudicato, noto alle forze dell’ordine per due episodi: nel 2007 viene denunciato per guida in stato di ebbrezza a Brescia, patente sospesa e poi riavuta; nel 2011 viene condannato per molestie sessuali su una minorenne. Alcune voci hanno tentato di screditare questa seconda accusa, ma anche per le molestie sessuali c’è nei suoi confronti una condanna diventata definitiva l’anno scorso: un anno con pena sospesa.


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Tutti a Crema lo conoscono come “Paolo”. Dal 2002 fu assunto dalla società Autoguidovie (azienda di trasporti per cui faceva l’autista), non li mise al corrente della denuncia per guida in stato di ebbrezza e del ritiro della patente, scegliendo l’escamotage di mettersi in malattia. Una grande domanda su cui la magistratura dovrà indagare è come mai un uomo con un profilo giudiziario così pesante potesse essere alla guida di un autobus scolastico.

Quanto alla tentata strage, due sembrano gli elementi incontestabili: nessuna affiliazione con l’Islam e la premeditazione. Secondo l’Antiterrorismo della Digos, del Nucleo informativo e del Ros dei carabinieri, non era considerato un islamico praticante. Il tratto rilevante della sua figura è una storia di un forte abuso di alcol. Il giorno prima di sequestrare l’autobus Sy ha acquistato una tanica di benzina da 10 litri e un mazzo di fascette di plastica da elettricisti.

L’elemento che sta facendo scatenare l’opinione pubblica, gli intellettuali e i politici è il supposto movente della strage: vendicare i migranti morti nel Mediterraneo. Il pubblico ministero incaricato del caso ha dichiarato che esisterebbe un video-manifesto in cui Sy fa propaganda contro le politiche europee nei confronti dell’Africa.


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Ora, dal carcere, sminuisce tutto e punta il dito contro le forze dell’ordine: «Senza l’intervento dei carabinieri, nessuno si sarebbe fatto male». Rincara la dose, invece, sulla causa dei migranti, cavalcando in questo l’onda dei media e di molti commentatori politici che stanno nutrendo a piene mani la bestia della suggestione per accaparrarsi un posto al sole tra le fila degli anti-Salvini o dei talebani dei porti chiusi.

Su questa nostra adulta grettezza mentale e innata tendenza alla riduzione ideologica, ci dà una sonora lezione uno dei ragazzi a bordo del pullman. Il video a cui mi riferisco è una testimonianza forte. Volto oscurato per la sua minore età, il giovane risponde sicuro alle domande della giornalista. Racconta di quando il sequestratore dichiara di volerli uccidere per vendicare le morti dei migranti; a quel punto la giornalista si esalta – sospetta di essere a un passo dallo scoop da sbattere in faccia al politico anti-immigrazioni – e chiede: “E tu cosa hai pensato?”. Risposta: “Che era il mio ultimo giorno di vita”.

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Sappiamo anche noi spostare lo sguardo dai nostri tarli mentali, dal commento pregiudizievole, inoltrandoci invece sul terreno più scomodo dove c’è “paura, solo paura, la paura di morire”?


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L’apertura: il grido “Mamma, aiutami”

Un balcone di Verona. Quanti farebbero caso a un balcone di Verona? Quanti sarebbero disposti a sceglierlo come cornice di eventi grandiosi? Nessuno di noi, tranne Shakespeare … che ne fece l’altare dell’amore immortale di Romeo e Giulietta. La verità è che cose tremende e bellissime capitano nei luoghi più triviali, perché siamo noi, soltanto noi, a giudicarli triviali.

E’ comune ma non è insignificante il tragitto da scuola a casa, dalla palestra alla scuola, è accaduto che sia diventato teatro di una tragedia potente. Alla periferia di Milano c’è stata una battaglia epocale tra il bene e il male; improvvisamente, sullo sfondo neutro di una giornata qualunque è comparsa lei, Signora Morte, l’unica capace di destare l’uomo dal torpore del suo quieto vivere. La psicologa Ginette Paris ha osato affermare “finché c’è morte c’è speranza” per descrivere quale sorgente vitale possa essere la coscienza della morte:

Una grande sofferenza, fisica o psicologica, ha il potere di aprire una scatola a sorpresa d’infinita ricchezza: il nostro inconscio. […] Questo stato di apertura al mondo, provocato dalla prossimità della morte è talmente assoluto e talmente bello che prendiamo finalmente la misura della piccolezza del nostro essere, e nello stesso tempo della grandezza della vita. (da Vita interiore)



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Non c’è da scandalizzarsi, semmai c’è da riconoscere quanto poco umana sia una società che vuole scacciare a tutti i costi il nostro limite incancellabile, la coscienza della morte. Per gli antichi non c’era contraddizione nell’accostare lo stupore (e anche la meraviglia) al pensiero della morte, in molti ci hanno lasciato testimonianza del fatto che per compiere grandi imprese occorreva prima scendere agli inferi. Dante uscì a veder le stelle, dopo aver attraversato l’inferno. E Chesterton afferma che l’uomo messo alla prova dal confronto con la tenebra ne esce consapevole che il suo essere è stato strappato al nulla. La Morte, anche solo il pensiero sfiorato da vicino, porta misteriosamente in dote l’abisso che separa l’asettico “io sono” dal meravigliato “io sono stato strappato al nulla“.

Ci hanno rassicurato che questi giovani ragazzi di Crema saranno seguiti da psicologi per affrontare il trauma vissuto. Oso dire che quel loro terrore vissuto dovrebbe educare tutti noi, le loro vertigini e lacrime non sono dolore inutile, ingiusto. Insomma, mi auguro che non venga inculcata loro l’idea che debbano superare il trauma. Non lo supereranno, possiamo pregare che lo custodiscano come dono che darà frutti nel tempo. Avranno da donarlo a noi addormentati questo trauma che è stata una paura nuda. In 40 minuti ci hanno dimostrato quanto falsa sia l’ombra del nichilismo: piccoli e inesperti si sono aiutati a vicenda in mezzo al fuoco, hanno corso il pericolo di essere uccisi per poter sentire la voce della mamma e chiedere aiuto. Non devono dimenticarlo, devono spalancare questo ricordo in una domanda aperta al nostro tempo pigro e malato di astrazione.

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