Ma la cosa davvero importante, dice nel video pubblicato su Lifenews, è aver aiutato questa giovane donna.Il dubbio sul mostrare o meno le immagini atroci che documentano gli aborti perché impressionanti si è completamente sciolto. Fanno male, malissimo; possono scioccare, è vero. (Ricordate per esempio le reazioni scandalizzate per quei ragazzi che sarebbero stati turbati da una truce volontaria del Movimento per la vita che avrebbe mostrato loro il documentario del 1984 L’urlo silenzioso? – cosa che non ha mai fatto, peraltro.)
Ma peggiore, e meno superabile del nostro trauma, è non mettere noi stessi e i nostri fratelli uomini davanti alla verità di questo atto atroce, ripetuto milioni di volte in tutto il mondo e ingnomignosamente coperto con nomi e apparenze false, melliflue, ingannevoli.
Tutela, salute, diritto, libertà, autodeterminazione. Ormai la solfeggiamo tutti con maestria questa scala e sappiamo comporre anche il repertorio sempre uguale a sé stesso dei brani eseguiti. Sta “solo” aumentando il volume, accelerando il ritmo ma il fraseggio è sempre quello. Vite interrotte, negate, buttate. Bambini uccisi e usati (come microscopiche miniere da cui estrarre tessuti e organi) per cui il buttarli davvero paradossalmente diverrebbe un male minore.
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Mi è passato questo dubbio pensando al lavoro di Don Fortunato di Noto e alla sua Meter. Sono anni, un giorno in fila all’altro, che cerca, insegue e stana materiale pedo pornografico, che denuncia, mostra alle autorità per contrastare questo crimine orrendo e vastissimo. Sono anni che grida, che fa di tutto per dare voce alle vittime che non la riescono a spingere fino a noi. E l’abuso sessuale non ha rivali come tipo di violenza perché è quasi uno strappare via la vita. Lo batte solo l’aborto che la vita la toglie definitivamente e come l’abuso avviene sui nostri fratelli più vulnerabili e dipendenti in assoluto.
E insiste, don Di Noto, che le vittime possano avere spazio di ascolto, vuole che si conosca cosa è successo loro, che è ora di smettere di tacere.
Mi è passato, questo dubbio, ricordando anche il grande e compianto Eugenio Corti, eccelso scrittore italiano, autore di un’epopea tradotta in tutto il mondo e non ancora abbastanza apprezzata e diffusa tra i nostri giovani, Il Cavallo rosso.
Nella battaglia contro la approvazione della legge 194 aveva insistito, se mi ricordo bene, che si usassero immagini di feti abortiti e non quelle di bimbi belli e paffuti, vestiti con deliziose tutine, con la testa pulita e profumata.
Non lo hanno ascoltato, e ora viene fatto di pensare che avrebbero dovuto. Che avremmo dovuto insistere con la verità truce e sanguinosa che l’aborto è.
Perché chi non avesse messo troppo spazio tra sé e l’altro, tra la propria umanità e quella che solo un idiota o un accecato non può riconoscere ad un bambino in via di sviluppo, avrebbe avuto viscere da contorcere davanti a feti smembrati e schiacciati. A corpi aspirati e tolti da dove sarebbero dovuti stare fino alla nascita. Avrebbe provato pietà per le madri e si sarebbe sentito in dovere di arrivare sempre prima che una donna trovasse davanti a sé solo la porta di una sala operatoria o un ambulatorio.
Invece chi ha tagliato il ponte razionale e affettivo con il bambino nell’utero della donna intorno alla quale e dentro la quale traffica con ferri e mani, non ha difficoltà a farlo.
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Un attimo non tutti, non per sempre. Quanti i medici obiettori e quanti che invece dopo anni di aborti crollano, non riuscendo più a mentirsi e vedono, finalmente, che quello è un bambino?
Ma fino a che a quel vivente non è considerato un uomo in tutto e per tutto come me l’empatia non si accende, la compassione non si innesca, nessun movimento di fratellanza mi spinge verso di lui costringendomi a fargli scudo.
Ah, i nomi quanto sono importanti! Se non ci chiamiamo più per nome tra noi, fratelli uomini, non riscopriremo la nostra sorprendente somiglianza e consanguineità.
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Siamo tutti esseri “natali” prima di essere mortali; tutti attirati nel mondo per mezzo dell’amore, quello di Dio. Noi tutti accomunati dalla scioccante chiamata alla vita, dalla venuta nel mondo così gratuita e in qualche modo inappropriata da dover passare tutti i nostri giorni a saltare di gioia, a volere esser seri.
E così, mi sono andata a cercare notizie sull’aborto. Spike mi ha segnalato questa: un medico abortista che armeggia con i pezzi del feto estratto dalla donna che ha di fianco, stesa sul lettino. E le cose che dice sono proprio quelle: la cosa importante è aiutare la donna, anzi è proprio felice di averlo fatto. Non vuole diventare genitore, deve finire la scuola e lui, altruista come nemmeno un parente stretto, le ha permesso di inseguire i propri sogni.
Guardate le immagini e sentite cosa dice. Il bambino ha già 20 settimane di storia alle sue piccole spalle. Venti settimane! La gravità del crimine non cambierebbe se fosse più piccino, poiché in ogni momento del suo sviluppo l’essere umano è nel pieno della sua dignità. Ma fa davvero impressione, grazie a Dio.
Testo:
mi assicuro che i tessuti del feto ci siano tutti …
dunque i media sono interessati al feto e se vogliamo alla parte sanguinosa della faccenda alla parte sanguinosa della procedura, mentre la cosa davvero importante è che abbiamo aiutato questa giovane donna ad andare avanti con la sua vita, a tornare a scuola e a non doversi prendere tutte le responsabilità di un genitore qui in davvero pochi minuti siamo riusciti a facilitare la sua decisione di non essere un genitore. Molte delle nostre pazienti sono nel primo trimestre e solo l’1% è a uno stadio successivo della gravidanza.
(Si rivolge a lei) Ciao, come va? tutto ok? Sei stata davvero brava. Non potevo desiderare paziente migliore tutto quello che c’era è fuori ed eri alla 20 settimana come avevamo supposto dall’ecografia. La procedura è andata bene.(La traduzione è della mia collega Annalisa Teggi, che piega la sua conoscenza della lingua inglese esercitata sulla letteratura americana e su Chesterton a questi dialoghi rubati alla lingua di Mordor)
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Continuiamo a scrivere della questione aborto, dite? Meglio correre il rischio di essere monotematici che sprecare anche una sola occasione per puntare riflettori e riflessioni su questa incomparabile vergogna planetaria.