La compatrona d’Italia nei suoi scritti ha riportato le parole che avrebbe ascoltato. In diverse occasioni ha parlato anche delle pene a cui sono sottoposte le anime purgantiCaterina nasce a Siena nel 1347. Ultima dei venticinque figli del tintore Jacopo Benincasa, a dodici anni è promessa a un giovane senese, ma la giovane rifiuta il matrimonio combinato dai genitori (secondo le consuetudini del tempo), e per apparire meno bella si taglia i capelli. La reazione dei genitori è molto dura: la obbligano ai lavori più umili e pesanti. La punizione familiare cessa quando il padre, vedendola pregare, si rende conto che non è come le altre figlie. Libera di seguire la sua strada, veste l’abito delle Mantellate del Terzo Ordine domenicano e per tre anni si ritira in silenzio quasi assoluto nella sua casa
A vent’anni le appare Gesù con Maria e altri santi, le pone l’anello nuziale al dito e, in una successiva visione, le chiede di dedicarsi al rinnovamento della Chiesa. Caterina inizia così il suo impegno nella vita pubblica, percorrendo le strade non solo della Torino e dell’Italia. Numerose personalità del tempo, uomini e donne, politici e cardinali, religiosi e laici, sono toccate dal suo carisma e si stringono attorno a lei, scegliendola come loro madre e maestra. Pur essendo semianalfabeta, detta un importante trattato di mistica, numerose lettere e poesie, indicando Gesù come guida e modello per tutti.
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La sua carità verso i poveri e i malati, l’assistenza ai condannati a morte e le conversioni che seguono, attirano l’attenzione e l’entusiasmo del popolo semplice che la ritiene una santa, ma le procurano alcune calunnie e persecuzioni. A Pisa, nella Chiesa di Santa Cristina, nel 1375, riceve le stimmate, quale segno della sua perfetta identificazione con il Crocifisso; cinque piaghe che rimangono invisibili per significare i dolori soprattutto morali che avrebbe sopportato per l’unità della Chiesa. Le sue lettere raggiungono anche il papa (lo chiama “il dolce Cristo in terra”) che risiede esule ad Avignone, chiedendogli di porre fine al lungo esilio e fare ritorno a Roma. Stremata dalla fatica di una vita intensa, Caterina si spegne a Roma il 29 aprile 1380 a soli trentatré anni.
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Canonizzata nel 1491, è proclamata dottore della Chiesa da Paolo VI nel 1970. Insieme a Francesco d’Assisi è patrona d’Italia e dal 1999 è anche compatrona d’Europa, insieme a Edith Stein e Brigida di Svezia, Benedetto di Norcia e Cirillo e Metodio. Protettrice delle infermiere italiane, è invocata dalle donne contro l’asportazione del seno, nonché contro la cefalea e le pestilenze.
Santa Caterina da Siena, compratrona d’Italia, riferisce la descrizione fatale da Gesù riguardo al Purgatorio: “E se ti volgi al Purgatorio troverai ivi la mia dolce e inestimabile Provvidenza verso quelle anime tapinelle che totalmente perderono in tempo, ed essendo orsa separate per poter meritare. A loro io ho provveduto per mezzo vostro, di voi che siete ancora nella vita mortale e avete il tempo per loro e, mediante le elemosine e l’ufficio divino che fate dire ai miei ministeri, insieme ai digiuni e alle orazioni fatte in stato di grazia, potete abbreviare loro il tempo della pena, confidando nella mia misericordia. O dolce Provvidenza!”.
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“Non abbiate a schifo la malattia – scrive Santa Caterina – Pensate quanto è grande la grazia divina che, nel tempo della malattia, pone freno a molti vizi, che si commetterebbero avendo la santità. Inoltre la malattia sconta e purga i peccati commessi; essi meritano pena infinita e Dio, per la sua misericordia, li punisce con pena finita. Quando l’anima considera di avere offeso il suo Creatore, Sommo ed Eterno bene, reputa grandissima grazia da parte di Dio che Egli la punisca in questa vita, e non abbia stabilito di punirla nell’altra, dove sono pene infinite. Se consideriamo i peccarti e i difetti nostri, e quanto abbiamo offeso Dio, bene infinito, per cui dovremmo subire una pena i finita non solo per le grandi colpe ma altre per una piccola, ci convinceremo che veramente siamo degni di mille inferni. Egli, con misericordia, ci punisce in questo tempo finito, nel quale, sopportando con pazienza, si sconta e si merita”.
“Non avviene così delle pene – riporta ancora la santa di Siena – che l’anima sostiene nell’altra vita. Perché, se essa si trova nelle pene del Purgatorio, sconto si, ma non merita. Sopportiamo, dunque, con buona volontà questa piccola pena. Piccola, in vero, si può dire, questa e ogni altre, per la brevità del tempo, poiché, in questa vita, tanto grande è la fatica quanto grande è il tempo. E quanto è il tempo nostro? E quanto una punta d’ago. E ben vero dunque che essa è piccola. Ogni fatica è piccola, perché la vita dell’uomo è un niente, tanto è poca. Infatti, la fatica che è passata non l’ho, essendo passato il tempo. Quella che ha da venire, ancora non l’ho, perché non sono sicura d’avere il tempo, poiché devo morire, ma non so quando“.
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