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Trovare la carità nell’arte: la sfida del Festival vincenziano

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Rocco Manuel Spezio / Aleteia

Painting from Adamson University ad Finding Vince 400 Festival

Lucandrea Massaro - pubblicato il 19/10/18

Secondo giorno della kermesse "Finding Vince 400"

Secondo giorno di proiezioni e dibattito al “Finding Vince 400” a Castel Gandolfo, molti i corti proiettati, sia animati che tradizionali, e soprattutto il bellissimo “Red de libertad” del giovane regista spagnolo Pablo Moreno con la bravissima e Assumpta Serna nel ruolo di Helena Studler, una suora delle Figlie della Carità che durante l’occupazione nazista della Francia, nella Seconda Guerra Mondiale, creò un network di che permise di salvare duemila persone dalla persecuzione. Una storia di libertà e solidarietà, una storia di carità dove al centro c’è la fede e il coraggio di una donna consacrata che si batte per chi non può farlo.




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La carità incontra il cinema

Tramite questa pellicola arte, carità e famiglia vincenziana – che organizza questo Festival – si possono riabbracciare e dare un segno di unità. Una domanda che abbiamo posto più volte durante la giornata: come può l’arte, il cinema in particolare, trasmettere e contagiare il prossimo con lo spirito di carità, con l’amore?

A risponderci tra i primi è Pablo Moreno «Il cinema è uno strumento fantastico per poter diffondere questi messaggi. Il cinema è la cosiddetta “settima arte”, quando arte e talento si incontrano, si rispettano e possono coinvolgere tantissime persone. Il cinema può raggiungere tante persone: la carità e l’umiltà sono difficili, non si vedono, l’unico modo che si ha per mostrarle è raccontare delle storie» spiega «la gente può empatizzare, lo spettatore può immedesimarsi e provare quel che il personaggio prova». Un attore, che deve sapersi immedesimare nell’altro da sé, è favorito nel comprendere le difficoltà delle persone che si trova di fronte? Risponde Assumpta Serna «un attore deve saper ascoltare, deve trovare ispirazione dalle persone che incontra» e prosegue «io credo nella gente, mio marito dice che sono un’atea cristiana (ride), credo che il mondo possa essere migliore e che noi possiamo lottare ed impegnarci per questo: dobbiamo essere onesti e specchiati, come è la stessa tradizione cristiana, nella quale sono cresciuta, ci insegna».

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Giovani artisti al Festival

Dalle filippine, una delle classi di giovani promettenti artisti che ha accompagnato le proiezioni con i propri lavori di pittura. Giovanissimi tra i 15 e i 20 anni che si cimentano con le arti plastiche e hanno cercato di rendere ragione dei loro sentimenti, della loro fede, e delle loro speranze per il mondo.

«Tutti noi abbiamo il potere di influenzare il prossimo. L’importante è cosa abbiamo nel nostro cuore» ci dice Ludgard. Nella sua opera ha cercato di entrare in contatto con la povertà e i poveri chiedendosi: «chi sono e di cosa hanno bisogno, posso aprire le mie braccia e il mio cuore?» l’ispirazione le viene proprio da San Vincenzo de Paoli e dal suo carisma: aiutare i poveri, stare con loro, dare loro dignità «non solo denaro ma comprensione, rispetto ecco di cosa hanno bisogno i poveri». Richmond che si immagina un amore di Dio grande e profondo come solo il cielo e il mare possono essere, e una chiamata «l’ho lasciato incompleto – ammette – non so perché, forse perché tutto nella Creazione va completato da noi, e questa è la nostra vocazione, completare quello che è a metà». Sorrisi e risate, scherzi e molta allegria per questi ragazzi venuti da lontano per conoscere e far conoscere le proprie capacità, interrogarsi sulla carità e su come comunicarla con il proprio talento.

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