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Si fa peccato ad andare a messa dai lefebvriani?

SAINT PETER ALTAR

16 septembre 2017 : Messe pontificale solennelle célébrée selon le rite traditionnel en la basilique Saint Pierre au Vatican, Italie. September 16, 2017: Pontifical High Mass in an ancient rite to celebrate the 10th anniversary of motu proprio Summorum Pontificum. Saint Peter's basilica, Vatican, Italy.

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Giovanni Marcotullio - pubblicato il 06/09/18
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Alcuni cattolici affermano di trarre maggior profitto dalla celebrazione eucaristica nella forma straordinaria che da quella in forma ordinaria. Anche prima del motu proprio Summorum Pontificum, e fin dall’anno di fondazione della Commissione Ecclesia Dei, esisteva (tuttora esiste) la Fraternità Sacerdotale San Pietro, che a differenza di quella detta “di San Pio X” è in comunione con il Vescovo di Roma. Dunque la domanda potrebbe essere rovesciata: perché tanta attrazione per i sedevacantisti?

Con la riformulazione dell’articolo 2267 del Catechismo della Chiesa Cattolica molti fedeli che fino ad allora ne erano ignari hanno appreso che esistono i “rescritti”. La pratica dei rescritti esiste in realtà fin dall’alba dei tempi cristiani – si pensi anche solo alla Lettera di Clemente ai Corinzi, della fine del I secolo, la quale null’altro è se non un lungo rescritto.


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Il genere letterario del rescritto, però, ha subito sensibili e sostanziali variazioni nel corso dei secoli, fino a diventare – in epoca moderna – il preferito del Sant’Uffizio per produrre la propria letteratura. Cosa succedeva? Che in caso di materia dubbia, o per meglio formulare giudizi prudenziali su questo o quell’argomento, si scriveva al Sant’Uffizio ponendo una domanda, il cui predicato era normalmente “licet?” [si può, N.d.R.]. E al Sant’Uffizio era invalsa la consuetudine di rispondere lapidariamente: affirmative [] o negative [no], più qualche variante come “quoad…” [per quanto riguarda…], o qualche breve concessiva di circostanza – “licet” [sebbene…], “tamen” [tuttavia…]. Chiunque capisce bene che questa letteratura andava incontro a due punti critici:

  1. non a tutte le domande si può rispondere con un “sì” o con un “no”;
  2. non sempre le domande che si pongono per un singolo caso ricevono risposte che possono diventare esemplari.

Al primo problema il Sant’Uffizio rimediava rimaneggiando la domanda con grande libertà; al secondo… non rimediava, e difatti si apriva tutta una voragine di dibattiti se questo o quel caso potesse essere elevato a criterio universale (noto il caso dell’adagio “non si dà parvità di materia nel sesto comandamento”). Un paradosso dell’interminabile casuistica così prodotta – che spesso creava più problemi di quanti ne risolvesse – consiste nel fatto che storicamente essa deriva proprio da un’epoca dominata dall’etica probabilistica e probabilioristica: questo ricorda a tutti quanti s’interessano di etica e di morale che non solo il tuziorismo può diventare legge – la tendenza a vivere di norme è figlia di quell’inquietudine irredenta di chi non ce la fa ad attendere che Mosè scenda dal monte con la legge datagli dal suo Dio invisibile e immateriale… e allora colma l’ansia col feticcio di una divinità. Il vitello d’oro si porta male in società, da diversi secoli in qua, e quindi ognuno s’è fatto l’idolo che ha preferito: un rischio che corre anche oggi la categoria di “discernimento”, fatta appunto per evitare di ricadere in una ricettina… ma nient’affatto garantita in tal senso.

La domanda

Perché questa premessa? Perché nelle dialettiche interne alla Chiesa – al pari di quelle interne a ogni gruppo umano – non di rado le domande sono poste e le risposte ricevute per cercare scappatoie alle proprie (più o meno dichiarate) intenzioni previe.



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In tal senso la domanda che ci è stata posta può essere mossa da puro desiderio di comprendere le dinamiche ecclesiali, come sarà il caso del lettore che ci ha scritto; può essere posta per capire se ci si sta collocando ai margini della vita della Chiesa – e penso a una famiglia di amici che vanno a messa in una cappella della Fraternità Sacerdotale San Pio X –; o può essere spinta da intenzioni propagandistiche, quali sono quelle di certi gruppi che mentre approfittano delle disposizioni di Benedetto XVI storcono il naso di fronte alla Forma Ordinaria del rito romano della Messa.

I precedenti

Per esempio, una simile domanda era stata posta dal sito paralefebvriano unavox.it sedici anni fa, dunque quando Summorum Pontificum (il motu proprio di Benedetto XVI) era ancora di là da venire ma Ecclesia Dei (la commissione istituita da Giovanni Paolo II) aveva già una storia avviata. Il 27 settembre 2002 in Commissione pervenne la domanda, articolata in tre questioni:

  1. Posso adempiere il precetto domenicale assistendo a una messa della Fraternità San Pio X?

  2. Commetto un peccato nell’assistere a una messa della Fraternità San Pio X?

  3. Costituisce peccato da parte mia contribuire alla questua che avviene alla messa domenicale della San Pio X?

A tali domande aveva risposto mons. Camille Perl (deceduto quest’estate in Vaticano), allora segretario della Commissione:

  1. In senso stretto lei può adempiere il precetto domenicale assistendo a una messa celebrata da un sacerdote della Fraternità San Pio X.

  2. Abbiamo già detto come non possiamo raccomandarle di assistere a una simile messa, e ne abbiamo spiegato le ragioni. Se la ragione primaria della sua assistenza alla messa era quella di manifestare il suo desiderio di separarsi dalla comunione con il Romano Pontefice e da coloro che si trovano in comunione con lui, si tratterebbe di un peccato. Se la sua intenzione è semplicemente di partecipare a una messa celebrata secondo il messale del 1962 per devozione, non vi sarebbe peccato.

  3. Sembra che un modesto contributo alla questua della messa potrebbe essere giustificato.

La terza questione appare così strana che si fatica a comprenderla, ma bisogna ricordare che solo nella Chiesa Cattolica, e solo in Italia, esiste il geniale sistema che sostenta il clero mediante una tassa che non incide su chi la paga (sistema noto come “8‰”). La prima evoca la larghezza con cui nella Chiesa Cattolica si è sempre applicato una sorta di favor participationis: poiché i sacramenti sono la via ordinaria per cui la Grazia di Dio affluisce agli uomini, la Chiesa ha sempre cercato di farvi accedere tutti (a meno che non sussistano gravissime situazioni). La seconda è quella centrale, se si vuole: conta soprattutto l’intenzione, perché parte integrante della Messa è l’una cum – il punto della Preghiera Eucaristica in cui si afferma di essere «in comunione con tutta la Chiesa», a cominciare da chi presiede la Prima Sedes, cioè il Papa. Su questo punto la Fraternità tiene una posizione quanto mai contraddittoria: i sacerdoti membri della Fraternità Sacerdotale San Pio X, celebrando la messa, menzionano sì il Romano Pontefice, ma in pratica irridono in tutto la sua autorità. Non è neppure esatto dire che siano, stricto sensu, sedeprivazionisti (quelli sono gli aderenti all’Istituto Mater Boni Consilii), ma facendo mie le parole di un’amica ben più versata di me, nella materia, direi che i lefebvriani sono abitualmente e sostanzialmente disobbedienti a un’autorità che formalmente riconoscono. Tutt’altro discorso, come si sa, per la Fraternità Sacerdotale San Pietro, nata proprio dai sacerdoti che – secondo le disposizioni di Ecclesia Dei – hanno fondato già dal 1988 una comunità di rito antico in comunione con Roma: la questione è proprio… perché vuoi andare a messa da sacerdoti che non sono in comunione con il Papa?

La scomunica

Il compianto e già menzionato mons. Perl, in quel medesimo rescritto del 2003, aveva ricordato le conseguenze canoniche date dalla gravità della posizione dei sedevacantisti/sedeprivazionisti di fronte alla Santa Sede:

  1. I sacerdoti della Fraternità San Pio X sono validamente ordinati, ma sono sospesi dall’esercizio delle loro funzioni sacerdotali. In quanto aderiscano allo scisma dell’ex arcivescovo Lefebvre, essi sono inoltre scomunicati.
  2. In concreto ciò significa che le messe offerte da questi sacerdoti sono valide, ma illecite, vale a dire contrarie al diritto della Chiesa.

Data una tale posizione, la domanda sull’intenzione è non solo spontanea, ma financo obbligatoria: essendo la messa valida, benché illecita, assistervi porta certamente ad assolvere il precetto festivo; data però la situazione di intrinseco disordine ecclesiale sussistente già nella sola esistenza della Fraternità Sacerdotale San Pio X, e massimamente evidente durante la celebrazione di un’eucaristia non in comunione con la Prima Sede… quale frutto spirituale si spera di lucrarvi?



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Tuttavia nel 2009 Benedetto XVI, che già da cardinale aveva auspicato provvedimenti meno rigidi di quelli poi attuati da Giovanni Paolo II, tentò di riavvicinare la Fraternità e il suo priore, mons. Bernard Fellay, rimettendo la scomunica. Un gesto di apertura che Papa Ratzinger sperava avrebbe innescato un riavvicinamento degli scismatici: il Concilio – precisava Benedetto XVI – resta una conditio sine qua non per il rientro nella comunione cattolica (anche, come è stato ipotizzato, nella forma canonica di una prelatura personale).



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Così non è stato: il riavvicinamento c’è stato ma non tanto da diventare fattivo. A quanto avrebbe successivamente comunicato Papa Francesco a mons. Fellay, Benedetto XVI era tentennante sul da farsi: tornare a comminare la scomunica, visto che la Fraternità non tornava sui suoi passi e non abbracciava il Magistero conciliare? Francesco avrebbe detto a Fellay (uso il condizionale perché la fonte è il superiore della FSSPX e non il Papa) che non aveva intenzione di firmare il decreto di scomunica (pur tuttavia già pronto!), e nel Giubileo della Misericordia rincarò la dose autorizzando i sacerdoti della Fraternità ad assolvere validamente nelle confessioni dei fedeli cattolici (al termine del giubileo, peraltro, tale permesso è stato indefinitamente protratto).

La situazione attuale

Insomma i Papi stanno facendo tutto quanto è in loro potere per avvicinare la Fraternità, anche se dall’altro lato non sembra (ancora) esservi una corrispondenza competente: dieci giorni prima che morisse mons. Perl, dunque sempre nel luglio appena trascorso, il sacerdote riminese Davide Pagliarani è stato eletto nuovo superiore della Fraternità. Attendiamo sviluppi.


POPE PAUL VI AND REVEREND MARCEL-FRANÇOIS LEFEBVRE
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Nel frattempo la cornice in cui si era dato il responso di Perl è significativamente mutata, come si vede, perché la scomunica è stata rimessa e non più inflitta: il problema è però che la scomunica non era mai stata una questione dirimente per rispondere alla domanda “faccio peccato ad andare a messa lì?”. La questione dirimente è ancora e sempre quella della comunione col Romano Pontefice, che al momento non sussiste… e non per volontà di Papa Francesco. Era stato Benedetto XVI a precisare, contestualmente alla remissione della censura maggiore:

La remissione della scomunica è stata un provvedimento nell’ambito della disciplina ecclesiastica per liberare le persone dal peso di coscienza rappresentato dalla censura ecclesiastica più grave. Ma le questioni dottrinali, ovviamente, rimangono e, fintanto che non saranno chiarite, la Fraternità non ha uno statuto canonico nella Chiesa e i suoi ministri non possono esercitare in modo legittimo alcun ministero.

Evidentemente, il successivo provvedimento di Francesco interviene su quest’ultimo punto: ci si rivolge con piena legittimità a un sacerdote della FSSPX per ricevere l’assoluzione dal propri peccati. Un ulteriore segno di apertura, da parte della Chiesa Cattolica, può ravvisarsi nella decisione presa da Papa Francesco (su suggerimento della Congregazione per la Dottrina della Fede e della Commissione Ecclesia Dei) di permettere agli ordinari del luogo di autorizzare la benedizione delle nozze da parte dei sacerdoti della Fraternità:

Nella stessa linea pastorale mirata a contribuire a rasserenare la coscienza dei fedeli, malgrado l’oggettiva persistenza per ora della situazione canonica di illegittimità in cui versa la Fraternità di San Pio X, il Santo Padre, su proposta della Congregazione per la Dottrina della Fede e della Commissione Ecclesia Dei, ha deciso di autorizzare i Rev.mi Ordinari del luogo perché possano concedere anche licenze per la celebrazione di matrimoni dei fedeli che seguono l’attività pastorale della Fraternità, secondo le modalità seguenti.

Sempre che sia possibile, la delega dell’Ordinario per assistere al matrimonio verrà concessa ad un sacerdote della diocesi (o comunque ad un sacerdote pienamente regolare) perché accolga il consenso delle parti nel rito del Sacramento che, nella liturgia del Vetus ordo, avviene all’inizio della Santa Messa, seguendo poi la celebrazione della Santa Messa votiva da parte di un sacerdote della Fraternità.

Laddove ciò non sia possibile, o non vi siano sacerdoti della diocesi che possano ricevere il consenso delle parti, l’Ordinario può concedere di attribuire direttamente le facoltà necessarie al sacerdote della Fraternità che celebrerà anche la Santa Messa, ammonendolo del dovere di far pervenire alla Curia diocesana quanto prima la documentazione della celebrazione del Sacramento.

Permane un’ambiguità di fondo per il fatto che gli stessi membri della Fraternità Sacerdotale, nonché i loro simpatizzanti, protestano animosamente di non essere sedevacantisti: è facile comprendere l’imbarazzo nel dover postulare una vacanza della sede papale che perdurerebbe ormai da più di mezzo secolo… dunque i corpuscoli di questa galassia parascismatica hanno elaborato teorie bizantine (una su tutte quella nota col nome di “Tesi di Cassiciacum”) nelle quali in vari modi affermano che il Papa sarebbe sostanzialmente legittimo ma formalmente illegittimo, in quanto latore di dottrine eretiche [sic!] (quelle del Concilio Ecumenico Vaticano II).

Come si vede, dunque, il problema di una differente sensibilità liturgica (o di ciò che qualcuno chiama “estetismo liturgico” – chissà se si rendono conto del pericolo…) è tutto sommato marginale, quando si va al nodo della questione: la posizione de facto scismatica (che anche i cardinali Müller e Burke hanno ricordato) si deve a una divergenza dottrinale che non è ancora stata risolta. Sul loro sito, ad esempio, si trova un “elenco delle encicliche” che si ferma a Pio XII, ma i simpatizzanti affermano che questo non inficia la validità delle elezioni dei conclavi a partire da quello del 1958. Non si vede allora perché il magistero di Giovanni XXIII, il quale non ha firmato l’odiata dichiarazione Dignitatis Humanæ, non sia incluso nel computo: la costituzione apostolica Veterum sapientia, in fondo, raccomandava la cura dello studio del latino nelle case di formazione sacerdotale…

Insomma, tornando alla questione di partenza, del responso di mons. Perl resta tuttora validissimo il criterio, che ancora dev’essere rilanciato a chi pone la domanda sulla liceità: qual è l’intenzione che anima il desiderio di partecipare a quella messa?