Per la prima volta ha visto la luce in italiano (per i tipi di Marcianum Press) una traduzione di “Zur Theologie der Ehe”, conferenza tenuta dal giovane Ratzinger in Germania pochi mesi prima della pubblicazione di Humanæ vitæ: ne risulta una temperie culturale effervescente, un acume teologico fatto per lasciare il segno, una prospettiva profetica che cala facilmente quel testo nei nostri giorni.
La possibilità di scelte irrevocabili, che la fede dischiude, appartiene ai tratti fondamentali dell’immagine dell’uomo che la fede stessa implica.
Allo stesso tempo si deve però ricordare senza esitazioni che dal puro diritto naturale non si può dedurre l’unità e l’indissolubilità del matrimonio. La “natura” del matrimonio è il suo essere nella storia e la sua naturalità si compie solo negli ordinamenti storici. Anche l’ordine della fede è un ordine storico, sebbene esso veda in Cristo la forma definitiva della storia e debba quindi attribuire alla pretesa della fede un carattere incondizionato. Inoltre, bisogna qui di nuovo ricordare che il richiamo di Gesù all’originario in contrapposizione all’antico trasgredisce la legge e non è esso stesso legge.
Per una teologia del matrimonio, 50
“L’unità e l’indissolubilità del matrimonio non si possono dedurre dalla sua natura”, anzi “la natura del matrimonio esiste solo nel darsi storico”, “anche la fede è condizionata dalla storia”, “quando Gesù oppone il progetto di Dio a Mosè trasgredisce la Legge e non ne fonda un’altra”… e chi sarà mai questo audace teologo, dalle tesi in odore di modernismo? È il giovane Joseph Ratzinger, che il 27 marzo 1968 tenne ad Heilsbronn una conferenza dal titolo Zur Theologie der Ehe: l’enciclica Humanæ vitæ – che come facilmente s’intuisce intercetta alcuni dei temi della conferenza – sarebbe stata pubblicata solo alcuni mesi dopo (25 luglio 1968), e dunque vanamente si cercherebbe nel testo ratzingeriano una conferma o una sconfessione del magistero montiniano.
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Ovviamente Ratzinger aveva presente il discorso di Paolo VI ai partecipanti al 52o Congresso nazionale della società italiana di ostetricia e ginecologia, del 29 ottobre 1966, nel quale il pontefice dichiarava di aver ricevuto i lavori della commissione preparatoria e di non essere tuttavia persuaso dalle loro conclusioni:
Con ciò la nuova parola, che si attende dalla Chiesa, sul problema della regolazione delle nascite, non è ancora pronunciata, per il fatto che Noi stessi, avendola promessa e a Noi riservata, abbiamo voluto prendere in attento esame le istanze dottrinali e pastorali, che su tale problema sono sorte in questi ultimi anni, studiandole al confronto dei dati della scienza e dell’esperienza, che da ogni campo Ci sono presentati, dal vostro campo medico specialmente e da quello demografico, per dare al problema la sua vera e buona soluzione, che non può non essere quella integralmente umana, quella cioè morale e cristiana. Abbiamo creduto assumere obbiettivamente lo studio di tali istanze e di elementi di giudizio. Ciò è parso essere Nostro dovere; e abbiamo cercato di compierlo nel modo migliore, incaricando una ampia, varia, versatissima Commissione internazionale; la quale, nelle sue diverse sezioni e con lunghe discussioni, ha compiuto un grande lavoro, ed ha a Noi rimesso le sue conclusioni. Le quali, tuttavia, a Noi sembra, non possono essere considerate definitive, per il fatto ch’esse presentano gravi implicazioni con altre non poche e non lievi questioni, sia d’ordine dottrinale, che pastorale e sociale, le quali non possono essere isolate e accantonate, ma esigono una logica considerazione nel contesto di quella posta allo studio. Questo fatto indica, ancora una volta, la enorme complessità e la tremenda gravità del tema relativo alla regolazione delle nascite, e impone alla Nostra responsabilità un supplemento di studio, al quale con grande riverenza per chi vi ha già dato tanta attenzione e fatica, ma con altrettanto senso degli obblighi del Nostro apostolico ufficio, stiamo risolutamente attendendo. È questo il motivo che ha ritardato il Nostro responso, e che lo dovrà differire ancora per qualche tempo.
A tal proposito Ratzinger premise alla pubblicazione del testo, che invece avvenne dopo quella dell’enciclica, queste righe:
Il presente manoscritto fu letto il 27 marzo 1968 a Heilsbronn durante il convegno del gruppo ecumenico di lavoro presieduto dal cardinale Jaeger e dal vescovo Stählin. Esso viene subito pubblicato in una miscellanea insieme alle altre relazioni tenute nella medesima occasione dai professori Greeven, Schnackenburg e Wendland. In tale pubblicazione come nella presente il testo viene riprodotto senza modifiche, così come è stato presentato a suo tempo. Ciò mi è sembrato l’unico modo per rispettare il suo carattere di introduzione alla discussione. Una rielaborazione che avesse considerato i problemi nel frattempo sollevati dall’enciclica Humanæ vitæ avrebbe completamente cambiato il carattere del testo. Il fatto che le questioni poste in quella circostanza continuino a sussistere legittima a mio avviso la scelta di sottoporre di nuovo, al di fuori del contesto di allora, all’attenzione di un pubblico più vasto.
Si tratta di una nota che Ratzinger appose all’edizione del 1972. Ora al nostro lettore, italiano, interesserà sapere altre due cose, prima di immergersi in questo poderoso documento (che a me fu segnalato a fine luglio dal professor Francesco D’Agostino):
- quella edita ora da Marcianum è in assoluto la prima edizione italiana;
- il testo è stato incluso da Benedetto XVI nel quarto volume del suo Gesamtwerk (opera omnia), tomo consultabile in tedesco ma che LEV (l’editrice pubblica 15+1 volumi) non ha ancora pubblicato in italiano.
La conferenza
Se la si legge tutta d’un fiato si termina l’ultima pagina col capogiro: l’uomo che scrisse queste parole sembrava aver visto già tutto, nella società e nella Chiesa. Pareva aver visto la dissoluzione sociale e morale che nei decenni a venire sarebbe deflagrata, con i gravi ed endemici fenomeni di isolamento e disintegrazione dell’individuo; aveva visto le tensioni fra le correnti teologiche e sembrava aver già letto sia Familiaris consortio sia Amoris lætitia (o davvero questi documenti sono frutti autentici del Concilio o il giovane Ratzinger era profeta… o entrambe le cose). I lunghi paragrafi di Deus caritas est su eros e agape mostrano qui che già cinquant’anni fa Ratzinger aveva le idee molto chiare:
L’artificiale contrapposizione fra eros e agape, come l’ha costruita Nygren [massimo teologo luterano svedese del XX secolo], deve essere completamente liquidata e superata perché errata. Sul piano puramente religioso De Lubac l’ha chiarito in modo grandioso nel suo libro sul significato spirituale della Scrittura.
J. Ratzinger, Per una teologia del matrimonio 36
Un paragrafo che da solo basta a indicare il metodo di lavoro di Ratzinger: studio della Scrittura, a scuola dai Padri della Chiesa, ricostruzione della storia del dogma e quindi momento sistematico. Il tutto in colloquio costante all’interno della Chiesa, anche con le comunità ecclesiali separate, e in franco confronto con la società e col mondo. Così si sviluppa anche il saggio recentemente donato da Marcianum al pubblico italofono, articolandosi in quattro questioni:
Per ciascuna delle quattro questioni presentate formulerò una tesi, che verrà poi sviluppata in una breve analisi.
Ivi, 12
Le quattro tesi, dunque, sono:
- La “sacramentalità” del matrimonio
- Il punto di partenza dell’etica matrimoniale cristiana
- I diversi piani della realtà del matrimonio
- Le norme per l’ethos del matrimonio
Cui si aggiungono alcune osservazioni conclusive su matrimonio e verginità.
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La “sacramentalità” del matrimonio
La prima cosa che Ratzinger fa, dopo un rapido richiamo al senso più comune in cui i cristiani intendono oggi il “sacramento”, è andare a interrogare il dato neotestamentario per individuare la posizione di Gesù sul matrimonio. E Gesù, nel ben noto dialogo riportato (fra gli altri) in Mt 19, risulta «contrapporre l’originario all’antico»:
Per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli, ma da principio non fu così. Perciò io vi dico…
Mt 19, 8-9
Commenta Ratzinger:
Alla volontà di Dio incanalata nelle forme storiche, annacquata, ma anche concretizzata, Gesù contrappone l’incondizionato appello di Dio nella sua interezza; egli libera l’uomo dall’ambiguità della casuistica, ma rende manifesto anche il suo peccato, perché la legge storica e, insieme, la sua interpretazione sono smascherate come fuga dalla totalità della volontà di Dio […].
Ivi, 14-15
Teologia e cristologia del matrimonio
Ratzinger non biasima la legge: riconosce anzi che per suo mezzo la Rivelazione ha cominciato a farsi strada nel mondo, ha preparato l’incarnazione. Afferma però che l’ordine posto da Gesù implica una trasgressione e un superamento della legge… tale da non costituire a sua volta una nuova legge, ossia qualcosa che si possa vivere “normativamente”, adempiendo esteriormente a dei qualsivoglia principî ma senza aderire con cuore profetico a un Evangelo. E questo è che
gli esseri umani nel matrimonio sono congiunti da Dio; in tal senso il matrimonio non è nell’annuncio di Gesù un ordinamento cristologico bensì teologico.
Ibid.
Poi Ratzinger passa alla prima ermeneutica di questo annuncio, che si trova nelle epistole deuteropaoline a Efesini e Colossesi. È lo
strato successivo dell’evoluzione, cioè [la] reinterpretazione del pensiero paolino in Ef 5, 21-33, dunque […] quel passo decisivo che, a motivo dell’utilizzo della parola μυστήριον-sacramentum, ha assunto un significato particolare per gli sviluppi posteriori.
Ivi, 17
Insomma, Ratzinger nota come già a partire da questo stadio il matrimonio sia diventato un istituto prettamente cristologico, poiché se Cristo è «primogenito di ogni creatura» (Col 1, 15), e se già si formavano gli embrioni di quella che sarebbe presto diventata la Logostheologie, Gesù stesso è non solo il profeta di quel Dio che “da principio” aveva destinato all’unione l’uomo e la donna, ma è quello stesso Dio, quel principio… e quell’Adamo a immagine del quale Adamo ed Eva furono fatti.
Si può quasi dire che, così come il primo racconto della creazione culmina nel giorno di sabato, e quindi nell’idea di Alleanza, il secondo racconto culmina nel mistero dell’“uomo e donna in una sola carne”, e dunque […] nell’auto-superamento della creazione nell’Alleanza.
Ivi, 17-18
L’effetto storico-sociale di questo kérygma teologico è deflagrante (e già ai tempi di Ignazio di Antiochia avrebbe portato i vescovi a presiedere ai matrimoni):
A cominciare da qui sono da comprendere il controllo dell’eros e la sua relativa desacralizzazione in Israele e nella Chiesa. Così come la de-divinizzazione del mondo non equivale alla sua demonizzazione, ma significa piuttosto la sua liberazione dal demonio, allo stesso modo alla de-divinizzazione dell’eros non corrisponde la sua demonizzazione, bensì la sua liberazione dalla componente demoniaca.
Ivi, 19
Proprio in quell’anno in Germania Johann Baptist Metz pubblicava il suo storico Zur Theologie der Welt (Sulla teologia del mondo), e in questo passaggio Ratzinger appare segnato dal dibattito accademico del momento. Tornano ancora alla mente pagine e pagine di Deus caritas est, mentre il giovane Ratzinger già mette in guardia i decenni di là da venire (cioè i nostri) su certi entusiasmi superficiali per la “teologia del corpo” (che ancora non esisteva): l’esperienza teo-cristo-logica nella vita coniugale avrebbe richiesto un’ascesi – che la santità esige mentre la sola sacralità (demoniaca) no. Vertigini profetiche…
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Agostino e Bonaventura
Secondo il Vescovo di Ippona (De bono coniugali 17, 19-19 22) fra l’Antico e il Nuovo testamento esistono due forme del sacramento matrimoniale (ossia quella poligamica e quella monogamica, con le rispettive allegorie):
Il matrimonio dei patriarchi che simbolizza la Chiesa futura costituita da molti popoli […]. La Poligamia costituisce dunque il “sacramentum” proprio di quel matrimonio, si tratta di un sacramento pluralium nuptiarum: reale rappresentazione simbolica dell’unità nella molteplicità verso cui tende la storia. L’unica Chiesa formata dai molti popoli è già realtà e ora non è più essa ad essere raffigurata simbolicamente, ma è l’escatologica «unica città dei molti, che ora [hanno] un’anima sola e un cuore solo rivolti a Dio». Al posto del sacramentum pluralium nuptiarum compare il sacramentum nuptiarum singularum, che rappresenta la radicale unità della polis escatologica.
Ivi, 21
Pur operando una distinzione qualitativa tra poligamia e poliandria – Agostino accetta la prima come “fase storica del sacramentum” ma respinge la seconda come “contro natura” (e Ratzinger non sottoscrive questa distinzione) – il giovane teologo tedesco è colpito da come
[…] Agostino, in base al suo concetto di sacramento, consideri il matrimonio in larga misura ancora dal punto di vista storico e adoperi l’idea di diritto naturale in modo molto più flessibile rispetto ai successivi tentativi di sistematizzazione teorica. […] Da ultimo, è importante rilevare come per il vescovo di Ippona l’unità e l’indissolubilità del matrimonio siano chiaramente funzioni della compiuta fede in Cristo: realizzazioni nella carne dell’uomo della fedeltà di Dio all’Alleanza divenuta carne in Cristo.
Ivi, 22
Bonaventura invece distingue (Commentaria in quattro libros Sententiarum IV, 23, a. 1, q. 2 c.) tra
- i sacramenti comuni all’Antico e al Nuovo Testamento (matrimonio e penitenza);
- quelli intermedi, già esistiti in abbozzo nell’Antico Testamento ma che appaiono nella loro forma piena nel Nuovo (battesimo, eucaristia e ordine sacro);
- quelli del tutto tipici del Nuovo Testamento (cresima e unzione degli infermi), perché Cristo li ha suggeriti ma solo lo Spirito li ha sviluppati.
Forte dell’appoggio dei due fidati compagni di viaggio, Ratzinger conclude rinforzando l’osservazione iniziale sulla mutua implicazione dell’ordine creaturale e di quello charitologico (della Grazia), e al contempo riaffermando la storicità del concetto di sacramento e – a maggior ragione – di quello di natura:
Più correttamente dovremmo precisare: solo la realtà dell’Alleanza rende possibile l’autentico ordine del “fenomeno di natura” secondo il piano della creazione, fenomeno di natura che come tale – come puro fenomeno di natura – non può sussistere affatto, ma unicamente ordinato storicamente e, perciò, anche storicamente alienato.
[…]
Ciò significa […] che il sacramento non sta sopra, vicino o accanto al matrimonio, bensì che il matrimonio stesso in quanto tale è, per chi lo vive nella fede, sacramento. Quanto più si riesce a vivere il matrimonio sulla base della fede, tanto più esso è “sacramento”.
Ivi, 25
Affermazioni che faranno venire la tachicardia a molti canonisti, che del giusnaturalismo canonico hanno fatto una struttura portante della loro forma mentis. E più oltre nella conferenza Ratzinger avrebbe rincarato la dose.
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Per la seconda questione il giovane teologo sarebbe ripartito dal riferimento ad Agostino e (non a Bonaventura) alla scolastica in generale.
Del primo affermò l’impostazione etica di stampo stoico-neoplatonica, dunque improntata a un forte dualismo:
[…] la concupiscenza come sopravvento delle forze animali su intelletto e volontà è la forma in cui si mostra come il peccato sia la condizione fondamentale di Adamo. Da qui per Agostino la soddisfazione delle pulsioni sessuali in sé non può che essere in ogni caso [corsivo dell’autore, N.d.R.] un “malum”, di cui però si può fare un uso buono, cioè conforme alla ragione. “Bene utitur malo” è una formula con cui Agostino descrive il rapporto sessuale legittimo all’interno del matrimonio.
Ivi, 29-30
Naturalmente Agostino non è solo questo, ma innegabilmente l’etica stoico-neoplatonica adottata da alcuni Padri della Chiesa avrebbe sostanziato l’adagio moderno “non lo fo per piacer mio / ma per dare figli a Dio”. Il dato invece teologico, che tante volte s’è perso nella striminzita formula “remedium concupiscentiæ” è un altro:
come matrimonio cristiano è piuttosto rappresentazione della salvezza, comunicata come guarigione dell’uomo. Il peccato agisce ancora in esso solo nella condizione della guarigione, del progressivo risanamento.
Ivi, 31
Sembra Amoris lætitia. Alla fase successiva dell’elaborazione dogmatica Ratzinger fa derivare una sterilità di pensiero
i cui esiti drammatici si possono scorgere nella moderna disputa sul problema del controllo delle nascite: la teoria sul matrimonio procede sempre meno dall’idea agostiniana fondata sulla storia della Salvezza e sempre più dai concetti filosofici di natura e genus (o generatio). In tal modo una concezione teologica pur sempre ancorata alla storia viene sostituita da una concezione la cui razionalità astorica è caratterizzata da una singolare mescolanza di astrazione e naturalismo. Il punto di vista dominante afferma ora che la sessualità è una questione di “natura”; ma naturale viene definito con Ulpiano come ciò che la natura detta a tutti gli esseri viventi (animalia). Tale natura – si dice – appartiene all’uomo non come individuo ma come esemplare di una specie; il matrimonio risulta conseguentemente una funzione della specie e trova nella conservazione della stessa il suo significato essenziale.
Ivi, 31-32
Sembra che nel 1968 Ratzinger avesse ascoltato The Bad Touch (2009) dei Bloodhoud Gang: se «non siamo altro che mammiferi» tanto vale «farlo come sul Discovery Channel». Donde la crisi del matrimonio, cui la Chiesa fatica a opporre una parola realmente convincente sul piano della ragione… perché è quello il piano su cui secoli fa essa stessa ha imboccato una strada infeconda. E tuttavia ci teniamo stretto quel modello, perché – si dice – almeno tutela il matrimonio. Ratzinger storce il naso:
Ora, non si capisce più per quale motivo sia necessario il matrimonio per dare forma morale alla sessualità; il matrimonio viene presentato come la miglior tutela per la crescita dei figli, ma in verità non può essere giustificato sulla base del criterio naturalistico cui ci si è affidati.
Ivi, 32-33
Difatti nel video di The Bad Touch che sopra ricordavamo gli scenografi hanno scelto di giustapporre la pulsione sessuale a quella erotica omofila… ed entrambe a quella dell’appetito da cibo. Insomma, tutto ridotto semplicemente a pulsione: da una parte ci si chiede “perché il matrimonio?” e dall’altra si domanda “perché no (per esempio) al [c.d.] matrimonio gay?”.
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Da dove partire per il rinnovamento?
Ratzinger non è un profeta di sventure: vede arrivare il male e la sua recta ratio fide inlustrata gli suggerisce anche delle vie di sviluppo.
- Mettere in chiaro che «la castità non è una virtù fisiologica, ma sociale» («la moralizzazione della sfera sessuale risiede nella sua umanizzazione, non nella sua naturalizzazione»);
- «l’intreccio tra creazione e alleanza […] mostra la caratteristica autentica del matrimonio cristiano» («l’eros appartiene all’integrità del matrimonio cristiano, il quale non può esser fatto solo di agape» e «può anche realizzarsi come eros mistico nella verginità»);
- «nella costituzione effettiva dell’uomo il sesso e l’eros hanno […] bisogno di essere inseriti nel mistero della croce e della risurrezione» («l’amore coniugale è possibile solo come amore che perdona, che sopporta e si lascia mettere in croce. Questo amore […] può venire solo dalla fede mediante la “grazia”»).
I diversi piani della realtà del matrimonio
Ratzinger osserva quindi che nel XX secolo il pensiero sul matrimonio è stato marcato da una filosofia marcatamente personalistica, la quale però ha – insieme con il merito di aver accentuato la dimensione della relazione interpersonale – anche il demerito di aver offerto una sponda pericolosa alla deriva individualistica (e nichilistica). Insomma prima il matrimonio si fondava sul comando “siate fecondi e moltiplicatevi”, poi s’è retto tutto (o quasi) sulla creazione di Eva e sull’adiuturium simile sibi che Dio in lei ha dato all’uomo.
Se precedentemente l’eros, come aspetto che va al di là del compito della maternità e della paternità, era stato quasi del tutto dimenticato (in Tommaso entra in scena solo come amicizia che cresce fra i due successivamente al compito procreativo), diviene ora il punto di vista preponderante.
Ivi, 40
Così Ratzinger trova «senza dubbio ambiguo» che da un lato si condanni come immorale «qualunque intervento meccanico [che] comprometterebbe la totalità dell’incontro amoroso» e che dall’altro si ammetta «la regolazione dei rapporti in base ai periodi di fertilità della donna». Ma attenzione: Ratzinger non contesta la dottrina morale della Chiesa (anzi afferma che «il passo in avanti è innegabile»); si limita a rilevare la fragilità del suo sostegno.
Esso mostra con evidenza che l’idea dell’amore reciproco come norma in sé da sola non bassa.
[…] oggi bisogna dire che anche l’interpretazione del matrimonio a partire dall’amore di coppia non sfugge a una certa unilateralità.
Ivi, 41
Dopo il naturalismo dell’epoca moderna Ratzinger attacca l’individualismo dell’evo contemporaneo, il cui seme sta spesso – denuncia il teologo – anche in certe teologie sentimentali. A ben leggerle, le due critiche sono sovrapponibili (e in effetti una ingenuità, quella dell’amore fra due cuori, ricalca l’altra, quella della natura pura):
[…] Io e tu ci sono sulla base del presupposto del Noi, [e] quindi la persona nel puri significato di incontro Io-Tu non esiste affatto. Tale concezione è un’astrazione favorita dalla temperie culturale dell’individualismo, che ha trascurato l’intreccio profondo di ciascuno nel tutto avvolgente della società, che rende possibile e dà forma all’essere persona.
Ivi, 42
Ed ecco il grande affondo teoretico che ogni giusnaturalista “puro” risentirà da Ratzinger come una pugnalata alle spalle:
Qui si dimostra come l’esistenza umana abbia necessariamente un carattere pubblico e porti in sé, per così dire, un collegamento con il diritto e l’ordine giuridico: la natura dell’uomo è tale da non essere pura natura, ma di avere storia e diritto – e li deve appunto avere per poter essere “naturale”.
Ivi, 43
Dunque «il matrimonio non è costituito esclusivamente dall’amore personale, e ogni tentativo di spiegare solo a partire da esso il matrimonio o magari le sue fondamentali caratteristiche cristiane – l’unità e l’indissolubilità – è condannato al fallimento».
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Quanti hanno una qualche confidenza con la letteratura personalista del XX secolo ricorderanno il ben noto “tripode etico” di Ricœur: l’azione dell’uomo è rivolta a «una vita buona con e per gli altri all’interno di istituzioni giuste». Qualcosa del genere osserva Ratzinger, colmando il vuoto erosivo che l’impostazione individualistica lascia attorno al matrimonio:
Ciò che costituisce il matrimonio è […] il “sì” dei coniugi (quanto più personale, tanto meglio) come realtà ricevuta e ordinata dalla comunità. Il diritto matrimoniale non è un’aggiunta esterna rispetto ad un amore in sé autosufficiente: esso appartiene all’essenza del matrimonio umano, perché l’essere umano per sua natura è legato al diritto.
Ivi, 44
Le norme per l’ethos del matrimonio
Ormai volando alto sulla dissoluzione che il mondo avrebbe vissuto nei decenni che sarebbero seguiti a quella conferenza, Ratzinger profetizzava nitidamente lo scricchiolio della crisi demografica continentale:
Dove allora i partner volessero vedere solo de stessi, significherebbe che essi elevano arbitrariamente il proprio tempo a tempo ultimo: cercano di rendere eterno il presente e, volendo eludere così il mistero della morte, in realtà abbandonano il futuro alla morte.
Ivi, 48
Erano gli anni in cui si invocava “al potere la fantasia”, certo non quelli in cui osserviamo preoccupati da un lato i nostri borghi disabitati e dall’altro la pressione ingestibile dei migranti dal Sud (e se c’è chi ritiene a cuor leggero che un problema possa risolvere l’altro non manca chi non vuole illudersi che una leggerezza possa colmare gli effetti di altre leggerezze). Ratzinger vedeva.
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Riguardo al controllo delle nascite, però, il giovane teologo non si pronunciava né sul sì né sul no, e non per disobbedire al comando evangelico, né per non precorrere in alcun senso l’ormai imminente pronunciamento papale: era una rinnovata scuola del discernimento quella di cui il mondo aveva bisogno, non di un’altra ricettina da applicare (male, come tutte le altre).
Sì, le responsabilità connesse alla vita e alla morte, alla comunità e alla storia,
possono anche esigere una limitazione della prole, tanto che questa diventa una scelta etica e il suo contrario una scelta immorale. Ciò significa d’altra parte che in futuro, qui come in tutti gli altri ambiti dell’etica, l’individuazione della cosa giusta sarà questione di sensibilità morale, la quale peraltro non è mai completamente certa della sua giustizia e che riceve la sua giustizia proprio dal fatto che essa rimanda al perdono.
Ivi 49
Altezze vertiginose: capisco a stento di cosa Ratzinger parlasse. Mi pare che stesse rileggendo Humanæ vitæ con Amoris lætitia e confermando Amoris lætitia con Humanæ vitæ. Forse se questo scritto non comparirà negli Opera omnia passaggi come questi ne saranno la causa? Chissà. Eppure qui non si parla di mezzi, ma solo di paternità responsabile. Ciò che anche Paolo VI avrebbe indicato, assieme coi mezzi…
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In ultimo Ratzinger provava a rispondere alla questione dell’indissolubilità del matrimonio, che a quanto aveva detto (e cose analoghe le avrebbe dette ancora nei secoli a venire) non sarebbe connaturale al “matrimonio”, ma proporzionale alla personalità dei “sì” dei coniugi accolti dalla comunità, che precede, sostiene e accompagna la nuova famiglia.
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Negli ultimi anni qualche opinionista ha indebitamente schiacciato le posizioni del Cardinal Müller su quelle del Cardinal Ratzinger, affermando che alla guida della Congregazione per la Dottrina della Fede i due sarebbero stati in perfetta continuità. Non è affatto vero. Ricordo nitidamente una pagina dell’Osservatore Romano in cui il prefetto Ratzinger affermava che «forse non abbiamo ancora considerato a fondo la pratica del matrimonio di economia degli Orientali»: anni dopo, nella medesima pagina del medesimo quotidiano leggevo un testo del prefetto Müller nel quale si leggeva che «il matrimonio di economia non è un’opzione, anzi costituisce una difficoltà ecumenica». E neanche nel 1968, del resto, Ratzinger concludeva «che anche la Chiesa di occidente dovrebbe rendere il divorzio una possibilità del proprio diritto canonico», ma produceva invece un passaggio di altezza mirabile che a posteriori mi pare di poter leggere come un commento ai punti più dibattuti di Amoris lætitia:
Ma allora la pastorale deve lasciarsi determinare più fortemente dai limiti di ogni giustizia e dalla realtà del perdono; essa non può considerare in modo unilaterale l’uomo macchiatosi di questa colpa [il divorzio, N.d.R.] peggiore rispetto a chi è caduto nelle altre forme di peccato. Essa deve diventare consapevole con maggiore chiarezza delle peculiarità proprie del diritto della fede e della giustificazione per fede e trovare nuove strade, per lasciare aperta la comunità dei fedeli anche a coloro che non sono stati in grado di mantenere il segno dell’Alleanza nella pienezza della sua pretesa.
Ivi, 52
Osservazioni conclusive: matrimonio e verginità
“Un Ratzinger lassista”, diranno alcuni… “un Ratzinger modernista”, tuoneranno altri. Tutt’altro, poiché il giovane teologo scelse di chiudere quella conferenza sul matrimonio parlando della verginità: l’annuncio del Regno ha elevato il matrimonio a sacramento della salvezza, sì, ma l’ha pure “declassato” da comandamento a possibilità. Parimenti ha creato ex nihilo la possibilità di consacrare escatologicamente la propria verginità – anzi questo stato è, secondo la paradossale espressione del Concilio di Trento, beatius – “più felice” – vivendo un’oblazione “irragionevole e meravigliosa” come è quella del martire.
Neppure della verginità, in fondo, l’uomo può innamorarsi come se potesse essere un fine e non piuttosto un mezzo:
Né la verginità né il matrimonio producono per l’uomo la sua giustizia: entrambe lo obbligano, ciascuna a suo modo, ad abbandonarsi completamente alla giustizia di Colui che per noi si è fatto peccato e attraverso il quale noi siamo diventati giustizia davanti a Dio per la vita eterna.
Ivi, 55
Non so ancora se certi teologi mi diano i brividi più quando li capisco o quando non li capisco…