Ci sono traumi che marcano così a fondo l’infanzia da richiedere un prudente e sapiente accompagnamento, che nella migliore delle ipotesi condurrà comunque a una “consapevolezza adulta” precoce, nel bambino. Uno di questi traumi è scoprire che il mistero nel male, nel mondo, è tanto radicato che non solo i criminali, ma anche i medici, i poliziotti e i giudici possono voler uccidere un bambino innocente. Tutto questo è avvenuto nel caso di Alfie Evans, e a più di due mesi dalla sua morte pubblichiamo i disegni che per il piccolo inglese hanno fatto alcuni suoi coetanei e connazionali italiani.
Tre giorni fa mia moglie e mia figlia erano al mare e hanno assistito a un fatto che tutti certamente riteniamo possibile, teoricamente, ma che nessuno mai pensa di poter realmente vedere mentre raccoglie paletta e secchiello per i figli e li porta in spiaggia: un ragazzo è morto annegato.
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Era uno straniero, stava con un amico e due amiche, tutto in loro dava l’idea di quattro amici alla ricerca di un pomeriggio di relax estemporaneo, forse derogando ad altri programmi: avevano perfino le valigie sotto l’ombrellone.
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Sulla stampa locale si è amplificato il compulsivo questionare degli astanti sconvolti – ma si sarà sentito male? Possibile che non l’abbiamo più visto per quindici minuti? Perché stavano vicino alla boa?… – ma non è questo il motivo per cui ora richiamo il fatto: mia moglie mi ha raccontato che mentre ancora febbrilmente lo si cercava i bambini a riva guardavano le onde e chiedevano agli adulti “ma perché non esce?”. Ritrovato che lo ebbero – il tapino rimetteva acqua dalla bocca per riflesso condizionato, dando l’impressione di essere ancora vivo – le mamme dicevano ai figli: «Ecco, vedete? Adesso gli fanno la rianimazione e così si riprenderà. Ora lasciamolo riposare».
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La considerazione macroscopica riguarda la nostra congenita difficoltà nel dire la morte ai bambini. Un decesso come questo, poi, non è come la morte di vecchiaia della bisnonna, che saluta la famiglia e si addormenta per un lungo sonno: dal punto di vista simbolico, esso attesta non solo che tutti gli uomini sono mortali (e questa scoperta per il bambino è già uno shock, seguito a ruota dal corollario – più dirompente ancora – per cui pure i genitori sono mortali), ma anche che gli adulti in genere sono talvolta totalmente impotenti davanti al mistero del male nel mondo. «I bambini lo sanno che i draghi esistono», diceva giustamente Chesterton, e la funzione apotropaica delle fiabe è precisamente quella di evocare nei bambini, tramite gli archetipi dell’inconscio collettivo, l’intuizione che “alla fine il bene trionfa”. Tutto vero, ma talvolta le storie finiscono proprio male, come l’altro giorno in spiaggia: e allora semmai ci si dice che la fine della storia non è quella che sembra essere tale. Codesta protensione del tempo oltre l’istante presente, però, così umana e così poco divina, è tipica dell’uomo adulto ed è latente nel bambino. Accompagnare quindi il bambino oltre gli shock della comune mortalità e dell’impotenza degli adulti di fronte al male significa e-ducarlo verso la maturità, cioè verso l’età adulta.
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Quando ero a Liverpool una signora mi chiedeva se ci fossero possibilità che io tornassi a visitare il Regno Unito. Risposi: «Non me lo chieda in questo momento perché le risponderei negativamente. Soprattutto, in realtà, non avrei il coraggio di venire con mia figlia, dal pensiero che possa sentirsi male durante la permanenza Oltremanica».
Ma più generalmente è un altro il pensiero che mi assillava nei miei giorni di Liverpool – e ancora di più nei giorni dopo l’infanticidio di Alfie –: che cosa può rispondere un “grande” quando un piccolo gli chiede perché ci sono uomini che uccidono deliberatamente i bambini? E non parliamo di Giuseppe Di Matteo, strangolato e sciolto nell’acido dai mafiosi: la mafia è fatta da uomini cattivi per definizione. Ma medici, poliziotti e giudici sono lo Stato… e tutto questo nella mente del “piccolo” costituisce “il lato chiaro del mondo” extra mœnia, quello che i genitori legittimano e da cui in ricambio sono legittimati. Alfie Evans invece è stato ucciso nella morsa di medici, poliziotti e giudici, e per di più senza aver commesso alcun male. Che cosa potrà mai produrre – mi domandavo – l’impatto di una simile notizia nella mente di un bambino?
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A più di due mesi dalla morte del piccolo Alfie – e raccogliendo come possiamo la volontà del padre Thomas, di continuare a tener desta la memoria del figlio a mo’ di pungolo – pubblichiamo alcuni documenti interessanti in tal senso. Proprio il giorno in cui ero di ritorno da Liverpool rispondevo alla mail di Laura Montagner, un’insegnante italiana che mi chiedeva dove far recapitare i disegni che i suoi piccoli alunni avevano fatto “per Alfie”. Il piccolo Evans era ancora vivo, quando ci scrivevamo i primi messaggi, ma anche dopo la sua morte la scolaresca ha proseguito e portato a termine il progetto.
L’intervista
Quando e come ti è venuta in mente l’idea di far disegnare i tuoi piccoli alunni?
Durante una delle mie lezioni sui martiri e il valore del rispetto e della dignità umana, per dare concretezza alle parole in modo che i concetti possano essere interiorizzati e capiti mi sembrava adeguato far conoscere loro la vicenda del piccolo Alfie.
All’inizio non sapevano chi fosse, sembrava una notizia tra le tante ma non così importante da attirare la loro attenzione ma poi una volta conosciuta la vicenda, ognuno e posso dire ognuno perché è vero ha sentito Alfie e la sua famiglia così vicina che il parlarne in classe non è stato più sufficiente.
Da qui l’idea di trasferire in un pezzo di carta tutto quello che pensavano e percepivano con il desiderio che un giorno Alfie potesse visionare tutto il lavoro fatto per lui.
Per loro era un modo per stargli vicino perché ormai era parte di loro.
I disegni sono evidentemente fatti in parte prima e in parte dopo la morte di Alfie. Come si è trasformato il progetto originario dopo la svolta che nessuno fra noi si auspicava?
Sì è vero i disegni sono stati fatti in parte prima e in parte dopo la morte di Alfie.
La Provvidenza ha voluto che la vicenda e il progetto iniziasse e finisse proprio durante l’inizio e la fine vita di Alfie. Premetto che io entro una volta alla settimana in ogni classe. Quindi, venerdi 27, gli alunni avevano iniziato in classe i loro elaborati ma gli assenti e coloro che non avevano potuto terminarlo, avrebbero dovuto farlo il venerdi dopo, cioè venerdì 4 maggio ma Alfie ormai era già morto. Di conseguenza anche i disegni di chi doveva completarli o farli, assumevano ora un’altra dimensione.
Come hanno reagito i bambini alla notizia della morte
Appena entrai in classe, gli alunni erano tristi, arrabbiati, amareggiati per la notizia appresa a casa, tanto da comunicarmela subito. Avevo intuito che tale sensibilità e il dolore dei genitori e del piccolo Alfie aveva raggiunto anche le loro case attraverso la loro testimonianza.
Chi doveva completare quel giorno il disegno mi disse che senso avesse farlo visto che Alfie non c’era più ma poi nel dialogo tutti furono d’accordo che chi non l’aveva fatto o completato aveva il dovere di farlo per non rendere sterile tutto il lavoro compiuto dai genitori di Alfie, per incoraggiarli e ringraziarli di aver difeso il diritto alla vita anche perché doveva servire come stimolo e aiuto per altri genitori che potrebbero trovarsi in situazioni analoghe.
I disegni testimoniano differenti livelli di consapevolezza e introspezione: che cosa ti ha sorpresa, in particolare, di questa esperienza didattica?
Sì è vero.
Io stessa sono stata sorpresa nell’osservare i loro disegni e le loro riflessioni. Ognuno aveva a disposizione un’ ora in classe. Sapendo che non c’era mediazione di adulti e avendo lavorato in autonomia sono stata piacevolmente istruita dal loro modo di percepire la vita, perché per tanto che si dica, la vita va sempre accolta e rispettata.
I colori usati, le espressioni del viso, stare dalla parte di Dio fa intuire la bellezza della vita, pensata e disegnata così dagli alunni. Ci sono frasi usate da loro che ancor oggi mi fanno riflettere, tipo: Senza te il mondo fa un passo indietro; oppure la linea sottile che divide il bene e il male quasi a dire così come spiegata da chi ha fatto il disegno che con la mia libertà posso scegliere tra vita e morte e il confine è sottile come la linea disegnata oppure quando un alunno scrive “Grazie genitori perché dal vostro impegno ho capito quanto mi avete amato” pensando di essere lui al posto di Alfie.
Un’altra bambina disegna il gallo e la tartaruga, uno dei disegni aquileiesi che simboleggiano il bene e il male, uno di fronte all’altro per rubare il premio che si trova in alto alla colonna… un altro che abbina l’acrostico di Alfie ricavando da ogni iniziale un ingrediente a favore di una vita sana e felice…
Che cosa ti è rimasto?
Mi è rimasta la convinzione che il bene non va taciuto e quando viene testimoniato attraverso la vita, la vita stessa ci sorprende così come è successo a me
I bambini sono un canale privilegiato per poter seminare e insegnare ed essendo il più delle volte canali liberi, Dio li usa per parlare a noi grandi che, schiavi dei nostri sistemi non riusciamo più a cogliere l’essenza delle cose.
Con i loro disegni e i loro pensieri ci restituiscono il valore alla vita grazie al combattimento di Alfie e dei suoi genitori.
Ringrazio di cuore Aleteia che ha reso possibile questo sogno dei bambini, quello cioè di aver contribuito nel loro piccolo ad esser stati vicini ai genitori di Alfie attraverso i loro disegni dimostrando così che il bene c’è e bisogna sempre perseguirlo.
I disegni
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Il plico cartaceo è stato recapitato presso la nostra Redazione, con preghiera di farla pervenire a Thomas e Kate (cosa che stiamo facendo in questi giorni). Al netto di un messaggio privato per i genitori di Alfie, dunque, pubblichiamo nella seguente galleria tutto il contenuto dell’incartamento. Ci pare che sia non solo a tratti sublime, ma molto istruttivo. Per noi “grandi”, intendo.