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Chi è in Paradiso soffre per le anime a lui care che si trovano all’Inferno?

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Gelsomino Del Guercio - pubblicato il 14/02/18

Il teologo: la relazione con Dio prevale su quella affettiva

Nella visione beatifica di Dio, chi sarà in Paradiso soffrirà per le persone amate, care, che magari si trovano all’Inferno o non si sono salvate?

A questa domanda risponde il professore Giacomo Canobbio, docente di Teologia Sistematica presso la Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale. «La domanda – premette Canobbio ad Aleteia – suppone che le relazioni oltre la morte si attuino come nella vita attuale. E’ inevitabile che si pensi in questo modo: è l’unico che abbiamo a disposizione, poiché della vita oltre la morte non abbiamo alcuna esperienza, e i resoconti di chi sarebbe arrivato sulla soglia del Paradiso e poi sarebbe tornato in questo mondo non hanno alcun fondamento. Le relazioni affettive sono il supporto dell’esistenza umana e comportano gioia o sofferenza a seconda se le persone amate gioiscono o soffrono».




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Pieno o vuoto?

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La questione, prosegue Canobbio, «suppone altresì che all’Inferno ci sia qualcuno. Negli anni scorsi era stata divulgata l’idea che l’Inferno sarebbe vuotopoiché Dio che vuole bene ai suoi figli non potrebbe vederli soffrire per sempre. Va precisato che nessuno può dire se l’inferno sia vuoto o pieno. Vale la pena ricordare che la Chiesa può proclamare qualcuno santo, ma non può dichiarare nessuno dannato. Con ciò, non si può con sicurezza affermare che l’inferno sia una pura invenzione. Ciò che è in gioco è la serietà della relazione con Dio, che comporta responsabilità, sorella gemella della libertà».




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Come le nozze senza il degente

Quindi, premesso ciò, supponendo che una delle persone a me care sia all’Inferno e io sia in Paradiso, come potrei essere felice sapendo che quella persona è in situazione di atroce sofferenza? «La domanda ha come corrispettivo quest’altra: come può Dio essere nella pienezza della beatitudine se alcuni dei suoi figli, per i quali Gesù Cristo è morto, non entrano a partecipare della beatitudine alla quale Egli li ha destinati? Per usare un esempio: si potrebbe immaginare una festa di nozze priva di gioia per il fatto che una persona affettivamente legata agli sposi è degente in ospedale? Si tratta solo di un esempio che aiuta a capire che, per quanto importanti siano le relazioni affettive, non sono queste la fonte della beatitudine, bensì la relazione con Dio».


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I dannati

Peraltro, prosegue il teologo, «nella possibile descrizione dell’Inferno si deve mettere in evidenza che gli eventuali dannati sono tagliati fuori da ogni relazione affettiva: la loro decisione di costruirsi la vita senza accogliere la relazione d’amore di Dio li priva di ogni altra relazione e quindi anche di quella con i loro cari che stanno in paradiso».

Infatti se tale relazione permanesse «non sarebbero privi di consolazione e quindi non sarebbero dannati».




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La relazione con Dio

«Quanto detto – precisa Canobbio – sono balbettii su ipotetiche situazioni. Quel che sembra possa essere detto con buona plausibilità è che la fonte della beatitudine in paradiso non sono le relazioni vissute nella vita terrena, bensì la relazione con Dio».

Un’unica emozione

Dunque le anime che sono in Paradiso riescono a percepire, a provare emozioni, per quello che gli accade? Qui il teologo è netto: «Nella descrizione della beatitudine si devono includere tutti gli aspetti dell’esistenza umana. Per quanto attiene alle emozioni non si possono certamente negare. Tuttavia con una precisazione: si tratta di un’unica emozione, appunto quella di pienezza e di sazietà, poiché si è raggiunta la meta alla quale le persone umane sono state destinate».




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“Vedremo e ameremo”

Nella tradizione scolastica, infine, conclude il docente della Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale, «si poneva l’accento sulla “visione” e quindi la soddisfazione intellettuale. Non mancava però un filone della riflessione – di matrice agostiniana – che poneva l’accento sulla dimensione affettiva unendola a quella intellettuale: vedremo e ameremo. Ora, non c’è soddisfazione che non comporti emozione, purché questa non sia pensata come un alternarsi di stati d’animo».

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