E si va avanti. L’importante è munirsi di parastinchi, ginocchiere, gomitiere, caschetto, tutto quello che serve per evitare l’evitabile, insomma, e poi procedere spediti. Rivestirsi dell’armatura di Dio: preghiera, penitenze, sacramenti. Parola con la “P” maiuscola. Così si cade di meno e quando si cade ci si rialza senza dannarsi troppo l’anima. Feriti. Dispiaciuti.
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Ma il tempo che serve per riprendere il cammino. Invece quante persone incastrate nella deprimente logica del mondo che non conosce peccati e tutto permette, soprattutto l’ansia da prestazione, che se non ti realizzi, non raggiungi certi obiettivi, non sei efficiente, non rispetti gli standard anti-stereotipati, allora è meglio che muori ammazzato. Da te stesso, dagli altri. La vita è tua. Il corpo è tuo. Tutto finisce qui. Che pesantezza. Che Dio ci continui a donare senza meriti la leggerezza di prendere dentro il mastodontico lettone matrimoniale che abbiamo in camera, volare a mo’ di Pippo Inzaghi e poi rialzarci come se niente fosse. Che lo faccia tu o io, poco importa. Per definizione evangelica siamo la stessa cosa. Ti amo.