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Metti un prete e una coppia che decidono di vivere sotto lo stesso tetto

famiglia Antonio Silvio Calò

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Un'immagine della famiglia Calò, protagonista dell'esperimento di convivenza con il sacerdote

Gelsomino Del Guercio - Aleteia Italia - pubblicato il 05/12/17

Esperimento di convivenza nella diocesi di Treviso. Protagonisti i Calò. Che già avevano fatto discutere per aver accolto tre migranti in casa

Metti insieme un parroco e una coppia, marito e moglie, che decidono di vivere sotto lo stesso tetto.A fine anno in diocesi di Treviso, “debutterà” così una nuova forma di vita condivisa.

A vivere questa esperienza, nella canonica della comunità di Santa Maria del Sile, alla prima periferia di Treviso, saranno il parroco don Giovanni Kirschner e la coppia Antonio e Nicoletta Calò. Sì, proprio loro, la famiglia che da tre anni ospita nella propria casa di Camalò sei richiedenti asilo (Vita del Popolo, 5 dicembre).

La fatica di essere prete

E’ bene dirlo subito, precisa la diocesi, il progetto “accoglienza agli stranieri” non si interromperà per questa nuova esperienza dei Calò. Lì rimarranno i quattro figli naturali (di 29, 25, 24 e 19 anni) con i figli “acquisiti” con i genitori che vigileranno.

Questa nuova “avventura”, invece, non è frutto di un colpo di testa da parte dei tre protagonisti. E’ una riflessione partita oltre due anni fa e che mette in luce la fatica di essere prete oggi, di affrontare le problematiche, la necessità di confrontarsi nel quotidiano. Aspetti che possono essere condivisi non solo tra confratelli che vivono la stessa vocazione ma anche con laici che hanno una vocazione diversa, ma a volte stessi problemi e stesse difficoltà.




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“Non saremo altro che una famiglia”

Ed è quello che spiegano i coniugi: «Da una parte questa esperienza che andremo a fare serve a umanizzare la vita del prete, a normalizzare, dall’altra dà un senso di chiesa che valorizza anche la vita famigliare in una custodia reciproca della persona, prete o laico, che fa bene agli uni e agli altri».

I Calò non assumeranno alcuna «funzione particolare se non quella di essere famiglia, di vivere un pezzo di storia insieme a don Giovanni nel segno dell’accoglienza». Accoglienza che ha segnato in questi anni la vita sia di don Kirschner che dei Calò.

“Ci vedremo la sera..”

«L’esperienza va fatta partendo da cose semplici in un rapporto paritario. Il distacco dal valore delle cose ci aiuterà ad affrontare questo che è l’ottavo trasloco per me e Antonio – spiega la moglie Nicoletta – ognuno di noi continuerà a fare il suo lavoro, e gli aspetti concreti andranno definendosi di giorno in giorno. Succederà in modo spontaneo, senza regole. Ci vedremo più che altro alla sera, avremo spazi di confronto e di preghiera» (La Repubblica, 5 dicembre)




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Un esperimento da allargare?

L’idea del don e dei Calò è stata subito condivisa dalla diocesi ed è già stata presentata ai parrocchiani. C’è chi vi legge una «umanizzazione» della sacralità del sacerdote, chi una piena valorizzazione della famiglia. «Il prete non sceglie di vivere solo, ma di non sposarsi — racconta don Giovanni — La situazione è la stessa di chi rimane solo per i motivi più disparati, separazioni, vedovanza. Non abbiamo una soluzione a un problema la nostra sarà una casa aperta. Se funzionerà, potrà essere utile anche ad altre persone» (Corriere del Veneto, 5 dicembre).

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