Una normativa per la Chiesa universale
Ma quindi, posto che il tentativo di colpire il celibato ecclesiastico con un ulteriore scandalo (dopo aver aperto la piaga infetta della pedofilia) è destinato a fare un buco nell’acqua – poiché mai la Chiesa cattolica accetterà di rivedere le proprie norme ecclesiastiche positive, su cui pure avrebbe potere, per delle pressioni mediatiche e/o lobbistiche – qual è oggi la posta in gioco? Quale l’obiettivo che anche per via del rilievo pubblico di questo nuovo “caso Spotlight” la Chiesa può far suo? Si può certo colmare quel vuoto normativo di cui si diceva prima: a nessuno fa piacere dover prevedere nel Codice di Diritto Canonico l’irresponsabilità dei chierici, ma in fin dei conti lo stesso Codice non deve purtroppo prevedere e normare anche delitti peggiori del semplice contravvenire alla promessa di celibato?
Ora come ora, ricapitolando, la questione sta in mano ai singoli Vescovi: Diarmuid Martin, arcivescovo di Dublino, che aiutò finanziariamente Doyle fin dai primi tempi, quando lanciava Coping International, dice che «i vescovi possono richiedere ai preti di onorare i propri doveri finanziari ed emotivi nei riguardi dei loro figli – e anzi dovrebbero», perché – spiega il prelato – «un bambino ha diritto a conoscere il padre e il padre ha obbligazioni fondamentali riguardo al proprio figlio o alla propria figlia». Rezendes non manca di elogiare la trasparenza e la disponibilità di Martin, sottolineando che il Vescovo accettò un’intervista filmata di più di un’ora senza chiedere neppure le domande in anticipo.
Il reporter del Boston Globe, tuttavia, sembra stupito del fatto che anche Martin, nel rispondere alle sue domande, abbia invariabilmente esposto la via costantemente confermata nella storia della Chiesa: un prete che ha figli deve lasciare il ministero. Per qualche motivo difficile da cogliere, a Rezendes pare che il Papa – usando pressappoco le stesse parole per esprimere esattamente lo stesso concetto – «abbia adottato una linea perfino più dura»: un prete che diventa padre «deve lasciare il ministero sacerdotale e prendersi cura della sua prole» (la frase si trova in Il cielo e la terra, il libro che da cardinale arcivescovo di Buenos Aires scrisse a quattro mani col suo amico il rabbino Abraham Skorka).
Perché le parole di Bergoglio suonino a Rezendes più dure di quelle di Martin è tanto meno spiegabile in quanto lo stesso Rezendes puntualizza che per il futuro Papa Francesco era pensabile (perlomeno all’epoca) che si permettesse a qualche prete di mantenere il ministero anche con un figlio, in caso di sincero pentimento. Il Cardinale spiegava allora che «la legge naturale viene prima dei suoi diritti di sacerdote». Probabilmente il reporter registra quest’impressione perché – come sembra da diversi suoi passaggi – una buona soluzione sarebbe l’abolizione del celibato sacerdotale. Cercheremo di spiegare, in conclusione, perché si sbagli a pensare così.
Il Boston Globe ricorda comunque che la Conferenza episcopale Irlandese ha recentemente approvato una serie di linee-guida in cui si chiede a ogni prete che mette al mondo un figlio di «fare fronte alle proprie responsabilità – personali, legali, morali e finanziarie». Se dunque dal Vaticano non è ancora pervenuta alcuna risposta a Doyle, da tre anni a questa parte, si deve già registrare che nell’Irlanda funestata dagli scandali di pedofilia, invece, i vescovi gli hanno aperto le porte, riconoscendogli pubblicamente il merito di aver portato – con la sua iniziativa – al documento chiamato “Principles of Responsibility Regarding Priests Who Father Children While in Ministry”.
Del già ricordato cardinale O’Malley il Globe ricorda che se da un lato il porporato ha sempre declinato la loro richiesta di un’intervista (peraltro comunicando che la Pontificia Commissione per la Protezione dei Minori non aprirà un apposito sportello per i figli dei preti), dall’altro ha promulgato un regolamento in cui si legge che il prete che diventa padre contrae «un’obbligazione morale a farsi da parte nel ministero e provvedere al bene e ai bisogni della madre e del bambino».
Non è poco, in fondo, anzi sembra già in nuce tutto quanto si possa ottenere: comprensibilmente Doyle auspica che il documento dei vescovi irlandesi sia adottato a canovaccio di un documento della Chiesa universale, ritenendo che solo allora quelle parole potranno essere vastamente e completamente efficaci. È questo un auspicio che la Chiesa può ragionevolmente far proprio: nel ripristinare la giustizia in situazioni che l’avevano vista violata non ha che da guadagnare. A maggior ragione se l’ingiustizia era stata causata dai propri ministri.
«Anche noi abbiamo lo Spirito di Cristo»
Eccomi a te, oracolo del Signore degli eserciti.
Alzerò le tue vestifin sulla facciae mostrerò alle genti la tua nudità,
ai regni le tue vergogne.
Ti getteròaddossoimmondezze,
ti svergognerò, ti esporrò al ludibrio.Nahum 3, 5-6
Resta ora, in ultimo, da rispondere a quella che sembra essere la mira remota (ma principale) di questo e di altri “report giornalistici”, che certamente farebbero il bene della Chiesa – disponendola anche obtorto collo alla propria purificazione – perfino se fossero mossi da intenzioni malevole, quando la Chiesa accogliesse quei fatti con umiltà e in atteggiamento di ascolto: resta da spiegare perché nessuno scandalo potrà costringere la Chiesa a mutare le proprie disposizioni sul celibato ecclesiastico. Si racconta che quando chiesero a Paolo VI perché le Chiese latine non potessero adeguare la loro prassi a quelle orientali il Pontefice – evitando di richiamare nel dettaglio i singoli concili e i loro canoni, eppure sintetizzando il tutto – abbia parafrasato l’Apostolo: «Anche noi abbiamo lo Spirito di Cristo» (1Cor 7, 40). E non a caso, visto che in quel passo Paolo parlava appunto di verginità e di astinenza…
Le ragioni cristologiche, ecclesiologiche ed escatologiche del celibato ecclesiastico, dunque, sono già sufficientemente espresse nell’enciclica dedicata di Papa Montini. La distinzione tra la prassi orientale e quella occidentale, nonché la conferma della validità di entrambe nel reciproco rispetto si trovano ugualmente in quel documento. Lo stesso si dica dell’enumerazione dei vantaggi e delle convenienze della “formula latina” per il sacerdozio.
Quindi che cosa resta da dire?