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Avere fratelli insegna al bambino che non è al centro dell’universo

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Camila Abadie - pubblicato il 10/08/17

Una riflessione per tutti i genitori

Poco fa ho letto della famiglia britannica più numerosa, che ha appena accolto il 19° figlio. Al di là di ciò che è davvero importante, ovvero la testimonianza a favore della vita di questa coppia, ho trovato interessanti le obiezioni avanzate in alcuni dei commenti.

Tra le varie critiche per la presunta irresponsabilità della coppia, una sottolineava il fatto che il bambino non potrà ricevere tutta l’attenzione necessaria dal padre e dalla madre perché dovrà dividerla con 18 fratelli.

Ho sentito spesso questa obiezione parlando di famiglie numerose, e penso che sia il momento di dire qualcosa al riguardo.

Al giorno d’oggi, quando una famiglia si apre alla vita e accoglie tutti i figli che Dio vuole inviarle lo fa nella piena consapevolezza del fatto che né il padre né la madre, né alcun bambino, è il centro dell’universo, la persona più importante del mondo.

In realtà ogni cristiano dovrebbe sapere che non è il personaggio principale della storia, ma solo un coadiutore che deve offrire una piccola partecipazione nella grande storia dell’eternità, nella quale il protagonista assoluto è Gesù Cristo.

Ciò vuol dire che in una famiglia numerosa nessuno è la stella. Tutti i suoi membri devono vivere in spirito d’amore e di servizio, aiutandosi in tutto ciò che serve.

Ma è chiaro che una piccola comunità di persone che vivono questa dedizione, lottando contro l’egoismo nella pratica quotidiana, non può essere compresa nella nostra epoca.

È proprio il contrario: oltre che incomprese, queste persone sono oggetto di derisione. La cosa “sensata” è avere solo un figlio e trattarlo come un dio, riempiendolo di tutte le cose che può desiderare (anche se cinque minuti dopo è tutto abbandonato per un nuovo oggetto del desiderio), non dicendogli mai di no e scusando ogni suo comportamento.

È renderlo signore di tutto, ma poi, non appena è possibile, piazzarlo a scuola, poi a nuoto, a calcio, dai nonni e dagli amici, perché si sfiniscano ai videogiochi. Alla fin fine, nessuno sopporta un tiranno sveglio per più di una o due ore.

Non è un caso che ci siano persone di 20, 30, 40, 50 o 60 anni del tutto incapaci di guardarsi accanto e di tenere davvero a qualcuno, perché hanno imparato dai genitori che loro sono i protagonisti dell’universo, che i loro sentimenti sono i più importanti, i più intensi del mondo, che le loro volontà non meritano alcun freno, anche se schiacciano gli altri.

Pensiamoci.

[Traduzione dal portoghese a cura di Roberta Sciamplicotti]

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