In Italia qualcuno parla di accanimento terapeutico, ma non è questo il caso: a Charlie vengono garantiti solo ventilazione, alimentazione e idratazione, che sono trattamenti efficaci, non rischiosi, non gravosi per il paziente e non eccezionali. Ma nella cultura anglosassone non esiste l’accanimento terapeutico, c’è solo la distinzione tra trattamento utile o futile. Quindi, se non ci sono speranze di miglioramento, è inutile. Il “best interest” di un paziente nasconde il best interest della sanità pubblica, finalizzata alla massima efficienza con la minima spesa. Non si tratta di morale, ma di denaro.
I genitori fanno ricorso alla corte europea dei diritti umani, denunciando le decisioni dei tribunali britannici «come un’interferenza iniqua e sproporzionata nei loro diritti genitoriali».
19 giugno: la CEDU impone la sospensione della sentenza inglese per tre settimane. Sale dal mondo un coro di preghiere, Connie e Chris postano foto di Charlie col passaporto in mano, ma la corte britannica fa pressioni e commenta: «Ci sentiremmo in serissima difficoltà se ci fosse chiesto di agire ancora contro i migliori interessi di Charlie ordinando una perfino più lunga estensione del rinvio».
27 giugno: la CEDU rigetta il ricorso per via «[…] del considerevole margine di manovra che gli Stati hanno nella sfera dell’accesso alle cure sperimentali per malati terminali e nei casi che sollevano delicate questioni morali ed etiche».
Le parole del protocollo di Gröningen sull’eutanasia per i neonati gravemente malati riecheggiano nell’aria con sinistre eco:«Quando i genitori ed i medici sono convinti che ci sia una prognosi estremamente negativa, questi possono essere in accordo sul fatto che la morte è più umana della continuazione della vita».
Per Charlie la morte è più umana della vita. Anche se medici e genitori non sono d’accordo.