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Martin Lutero derideva i pellegrinaggi, e l’arte gli ha risposto

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Elizabeth Lev - pubblicato il 29/05/17
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Quando si mise in dubbio la pratica dei pellegrinaggi durante la Riforma, l’arte venne in loro difesaC’è qualcosa di più accattivante di un viaggio compiuto per amore? Una visita a sorpresa di ritorno a casa per le vacanze, un pretendente che giunge all’improvviso in ginocchio, Ulisse che cerca di tornare da Penelope per nove lunghi anni…

Sono immagini che catturano l’immaginazione e scaldano il cuore. Il pellegrinaggio è il viaggio per amore per eccellenza, un sacrificio di tempo, risorse e comodità.

Anche se molte religioni hanno promosso i pellegrinaggi, i cristiani hanno un proprio sigillo. Dal momento in cui Gesù ha esortato i suoi apostoli dicendo “Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni” (Mt 28,19), i cristiani hanno viaggiato in tutto il mondo non solo per diffondere il Vangelo, ma anche per visitare i luoghi in cui si è sviluppata la storia della salvezza e in cui grandi santi hanno testimoniato la Verità.

Le avversità del pellegrinaggio – lunghi percorsi a piedi, pericolo delle malattie e minaccia rappresentata dai malviventi – lo rendevano una penitenza popolare, un autentico gesto di redenzione nel viaggio d’amore per Cristo.



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Durante la Riforma, tuttavia, la pratica dei pellegrinaggi venne messa in discussione da Martin Lutero, che derideva i pellegrini per le loro motivazioni.

Chi compie un pellegrinaggio ha molteplici motivi, non sempre legittimi. Il primo motivo per compiere un pellegrinaggio è il più comune di tutti, ovvero la curiosità di vedere e ascoltare cose strane e sconosciute.

Questa frivolezza deriva dall’avversione e dalla noia nei confronti dei servizi di culto, trascurati nella Chiesa particolare dei pellegrini.

La Chiesa cattolica ha sostenuto la tradizione dei pellegrinaggi nella sessione finale del Concilio di Trento, e dopo un periodo di diminuzione dei visitatori a Roma gli Anni Santi hanno iniziato a vedere le strade riempirsi nuovamente di pellegrini.



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Nel 1550 San Filippo Neri aprì un ospizio per i pellegrini, che in seguito sarebbe diventato la chiesa della Trinità dei Pellegrini, dove insieme ai suoi volontari nel 1575 si prese cura di ben 140.000 pellegrini. San Filippo avviò anche una tradizione tra i locali, consistente nello svolgere un pellegrinaggio a sette chiese della città di Roma, costume che dura ancora oggi.

Uno dei dipinti preferiti da Filippo Neri, situato a poca distanza dalla sua tomba nella Chiesa Nuova, rappresenta un pellegrinaggio molto speciale. La Visitazione di Federico Barocci, dipinta nel 1586, mostra Maria che si affretta  ad andare a trovare Elisabetta dopo che l’angelo Gabriele le ha annunciato che sarà la Madre di Dio. Anche Elisabetta è incinta, di Giovanni il Battista, e Maria va a portare l’amore divino alla cugina.



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Barocci attira lo spettatore nella storia con la figura inclinata di Giuseppe sul punto di sollevare un sacco pieno di pane e una brocca di metallo per il vino. Sembra che stesse prendendo quelle cose per lo spazio liturgico dell’altare. A destra, una serva vestita di colori brillanti, una combinazione di giallo limone, rosa e verde oliva, sale la scala portando in dono due uccelli. Il cappello di paglia e la cesta intrecciata hanno una qualità di definizione tale da rendere la scena reale, quasi palpabile.

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Maria, glorioso esempio di umiltà, sale le scale andando incontro alla cugina, che l’aspetta sotto l’arco mentre Zaccaria si china nella semipenombra. Il forte di Barocci è sempre stato il colore, capace sia di dilettare che di risvegliare i sensi. Maria è accompagnata da toni chiari, visto che porta la Luce al mondo, ma dove vive Elisabetta si percepisce l’oscurità. Quando Maria tocca il braccio di Elisabetta, i colori brillanti si estendono alla sua manica, visto che “appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino le sussultò nel grembo. Elisabetta fu piena di Spirito Santo” (Lc 1,41). Il colore vivace che Barocci infonde nel quadro ha colpito profondamente San Filippo, che ha sperimentato una delle sue visioni proprio davanti a questo dipinto.



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Si sperava che il Giubileo del 1600 fosse particolarmente positivo, con una stima di mezzo milione di visitatori nella Città Eterna. Papa Clemente VIII, tra i suoi tanti preparativi, fece un pellegrinaggio personale alla Santa Casa di Loreto, considerato il luogo dell’Annunciazione. Con un unico viaggio riuscì ad affermare il valore del pellegrinaggio e sottolineò la solida fiducia della Chiesa nell’intercessione della Santa Vergine Maria.

Nel 1602 Caravaggio ricevette l’incarico da Ermete Cavalletti, volontario nella Trinità dei Pellegrini, di dipingere la Madonna di Loreto, nota anche come Madonna dei Pellegrini.

Questo dipinto non impiegava nessuno dei colori di Barocci, ma salutava i visitatori della chiesa di Sant’Agostino con due pellegrini con abiti stracciati che proiettavano i loro piedi nudi verso lo spettatore. Pantaloni macchiati, piedi callosi e glutei robusti continuano a sorprendere i turisti come prima immagine che vedono entrando nella cappella di sinistra.



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Come può affermare qualsiasi viaggiatore dai piedi doloranti, però, a Roma le gambe sono il mezzo di trasporto più affidabile. In questo quadro, dopo centinaia di chilometri, l’uomo e la donna possono finalmente “parcheggiare” il proprio mezzo di trasporto e rilassarsi. I bastoni separano i volti dai corpi, e le espressioni raccontano una storia molto diversa. La donna si apre in un sorriso che le marca gli zigomi, con rughe che emanano come fasci di luce. Sul volto dell’uomo, tutte le linee scompaiono sotto la luce raggiante, il che fa spiccare gli occhi pieni di stupore. Qualunque cosa fosse quella che venivano a vedere, l’avevano trovata.

Chiaramente non si tratta dell’edificio, dipinto in un modo che rivela mattoni a buon mercato e parti rovinate. Hanno viaggiato per amore e hanno trovato l’amore lì ad aspettarli. Caravaggio dà a intendere che la Madonna e il Bambino davanti a loro sono un’apparizione. Maria, che fa leva leggermente sulla punta dei piedi non potrebbe sostenere quel bambino così robusto, e la sua tunica brilla come la seta e il velluto. Un breve momento mistico nella pesantezza dell’esistenza quotidiana.

La composizione, ad ogni modo, lascia un senso di inquietudine. Sembra formare un triangolo: Maria nell’apice, i pellegrini a destra e uno spazio vuoto a sinistra accanto all’ingresso.



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Questo spazio sembra riservato a noi, che forse andiamo a vedere l’opera più per la sua fama che per il suo contenuto. Questi spettatori – i curiosi o i superficiali venuti a vedere “cose strane e sconosciute” – vedono il volto di Gesù nell’ombra e restano con il desiderio di essere portati alla posizione privilegiata dei poveri pellegrini. Possono essere trascurati, ma nella loro fede semplice Maria si china su di loro formando un ponte verso suo Figlio.

L’opera ha risvegliato l’indigazione di molti visitatori, e i pittori rivali e i detrattori di Caravaggio lo accusarono di mancanza di decoro, oltre alle voci che giravano sul fatto che la donne che fece da modella per la Vergine Maria fosse una fidanzata del pittore, Lena, che “frequentava Piazza Navona”, un eufemismo per indicare una prostituta. Non bisogna ad ogni modo sforzarsi molto per vedere quale fosse in realtà la modella, visto che le linee rette del volto e i folti capelli ondulati con la riga in mezzo sono le caratteristiche che definiscono la statua della Madonna del Parto, scolpita da Jacopo Sansovino nel 1520, collocata a una decina di metri di distanza.

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È difficile offrire il miglior aspetto esteriore durante un pellegrinaggio – per non parlare della perdita del bagaglio, delle intossicazioni alimentari e dell’incapacità di comunicare con i locali che si possono verificare –, ma Caravaggio ha cercato di esprimere tutto questo senza cercare di migliorare il nostro aspetto. Il pellegrinaggio ci aiuta a brillare con più forza a livello interiore.



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[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]