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Sai che significato hanno gli animali del Tetramorfo?

tetramorfo

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Daniel R. Esparza - pubblicato il 15/12/16

Un'antica tradizione associa agli evangelisti quattro figure diverse (tre delle quali sono animali, una è invece una figura umana)

Uno dei motivi più comuni dell’arte cristiana è il cosiddetto Tetramorfo: dal greco “tetra”, quattro e “morphé”, forma, è una rappresentazione composta da quattro elementi (cioè, letteralmente, da quattro forme). È la maniera più comune con cui vengono raffigurati i quattro Evangelisti. Tre di loro sono rappresentati da animali e uno solo – San Matteo – è rappresentato da una figura umana o, più spesso, angelica.

Ovviamente questa rappresentazione ha più di una base biblica: la prima corrisponde alla visione dei “quattro esseri viventi” di Ezechiele. Il profeta descrive quattro esseri che, visti di fronte, hanno volto umano; il loro profilo destro ha fattezze di leone, quello destro fattezze di bue. Ma, nello stesso tempo, “ognuno dei quattro (ha) fattezze d’aquila” (Ezechiele 1:8-11). Ad ogni modo, la domanda è: da dove ha preso Ezechiele queste immagini così complesse?

Todos sabemos que la combinación de distintos seres y símbolos era bastante común en el antiguo Egipto, lo mismo que en la antigua Mesopotamia. Basta recordar a las esfinges egipcias, a los toros alados babilonios o a las harpías griegas. Ezequiel, en efecto, fue uno de los profetas judíos que vivieron el exilio en Babilonia alrededor del siglo VI antes de Cristo, de modo que su visión podría haber estado influenciada –señalan los biblistas- por el antiguo arte asirio, en el que estos motivos eran bastante comunes. Foto de By Marie-Lan Nguyen - Own work, Public Domain.
Foto di Marie-Lan Nguyen – Dominio pubblico

Sappiamo tutti che la combinazione di esseri viventi e simbologie era abbastanza comune nell’Antico Egitto, così come lo era in Mesopotamia. Basta ricordare le sfingi egizie, i tori alati babilonesi o le arpie greche.

Ezechiele fu uno dei profeti giudei vissuti in Babilonia intorno al VI sec. a.C. La sua visione – sostengono i biblisti – potrebbe aver subito influenze dell’antica arte assira, nella quale erano abbastanza diffusi motivi analoghi.

È inoltre noto – grazie all’archeologia, alla paleografia e ad altre scienze simili – che questi simboli corrispondono ai quattro segni fissi dello zodiaco babilonese: il bue rappresenta il Toro, il leone – ovviamente – il segno del Leone, l’aquila rappresenta lo Scorpione e l’uomo (o l’angelo) rappresentano l’Acquario. I primi cristiani adottarono questi simboli, associandoli ai quattro evangelisti dal V sec.

El Tetramorphos del Libro de Kells, siglo VIII.
Il Tetramorfo del Libro di Kells, secolo VIII

L’altra base biblica di questa rappresentazione si trova nell’Apocalisse di Giovanni, al capitolo 4 versetto 7: “Il primo vivente era simile a un leone, il secondo essere vivente aveva l’aspetto di un vitello, il terzo vivente aveva l’aspetto d’uomo, il quarto vivente era simile a un’aquila mentre vola”.

Adesso la domanda è un’altra: con quale criterio viene attribuito ad un evangelista viene attribuito un simbolo e non un altro? Ci sono validi motivi, associati alle particolarità dei testi di ciascun autore, sui quali san Geronimo scrisse in dettaglio.

A Matteo viene associato l’uomo alato – o l’angelo – perché il suo Vangelo è incentrato sull’umanità di Cristo, secondo il commento di San Girolamo sul testo di Matteo. Infatti è questo evangelista ad includere il racconto della genealogia di Gesù.

Il leone viene associato a Marco perché il suo Vangelo enfatizza la maestà di Cristo e la sua regalità. Il leone è tradizionalmente considerato come il re delle bestie.

Il bue viene associato a San Luca perché il suo Vangelo è incentrato sulla natura sacrificale della morte di Cristo. Il bue è da sempre considerato l’animale sacrificale per eccellenza.

A Giovanni viene infine associata l’aquila, per due ragioni: la prima è che il suo Vangelo descrive l’Incarnazione del Logos divino, e l’aquila è simbolo per eccellenza di ciò che viene dall’alto. La seconda ragione è che, come l’aquila, Giovanni – nell’Apocalisse – fu in grado di vedere al di là del presente.

[Traduzione dallo spagnolo a cura di Valerio Evangelista]

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