Don Aldo Trento pratica l'“affettoterapia” raccomandata da papa Francesco
Lidia doveva andarsene. Aveva superato i limiti di età. Non poteva più rimanere in casa. “È mia figlia col cuore. L’ho trovata nella Colonia Andrés Barbero, nella zona interna del Paese. Viveva in una baracca con i suoi parenti”, ha ricordato il missionario don Aldo Trento, che da vent’anni accoglie tutti gli esseri umani che trova per strada.
La ragazza porta nel cuore le tracce della violenza subita dallo zio quando aveva 16 anni, a seguito della quale è rimasta incinta. Il sacerdote ha raccontato che quando la ragazza autistica è diventata maggiorenne, in base al regolamento della Casa di Accoglienza per Bambine di Chiquitunga, doveva abbandonare la struttura, ma era una realtà insostenibile. “È stato allora che ho dovuto prendere la decisione di diventare suo padre. Me lo ha chiesto il giudice minorile e l’ho fatto”, ha confessato il missionario ad Aleteia.

La sfida di essere doppiamente padre
“Ancora non capisco la contraddizione nel cuore di chi è genitore e può dare la vita. E di chi si sente padrone della vita dei propri figli e decide di togliergliela. Essere genitori non coincide con il mettere al mondo un figlio. Amare è un dono, ha piuttosto a che vedere con il fatto di comunicare l’esistenza, il destino della vita”, ha osservato il sacerdote.
“Nella nostra casa la bellezza è il culmine della carità! Nel volto di ciascuno dei malati scopriamo una grazia speciale. Lidia è riuscita a recuperare da ogni difficoltà e si sposta senza aiuto fino al letto e al bagno; può muoversi sulla sedia a rotelle”.
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