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I cristiani si organizzano per ricostruire la moschea di Bangui

Moschea

© Global Panorama

Mundo Negro - pubblicato il 21/10/15

Un esempio di intesa tra le religioni

Cristiani e musulmani che si sforzano di capirsi e di aiutarsi a Bangui, la capitale della Repubblica Centroafricana lacerata dall’odio e dagli scontri armati tra due comunità. È quello che accade nella parrocchia dei Martiri dell’Uganda del quartiere di Lokouanga. Il 18 ottobre scorso, Giornata Missionaria Mondiale (Domund), la presenza dell’arcivescovo Dieudonné Nzapailainga in questa chiesa è stata un’iniezione di incoraggiamento per chi cerca la concordia.

Chi conosce il giovane e carismatico arcivescovo di Bangui è abituato a vederlo arrivare alle celebrazioni liturgiche accompagnato da imam musulmani, e domenica non ha fatto eccezione.

Grazie all’amicizia e ai buoni rapporti che ha coltivato con i leader dell’islam, molti centroafricani che subiscono le violenze dei radicali si sentono incoraggiati. Bangui vive ancora nella tensione e nel trauma per gli ultimi eventi luttuosi: il 26 settembre, l’assassinio di un giovane musulmano ha scatenato cruente battaglie tra le milizie musulmane del quartiere noto come Chilometro Cinque e i ribelli anti-Balaka, hanno fatto dell’odio per tutto ciò che odora di islam il proprio cavallo di battaglia.

In appena sei giorni ci sono stati 77 morti e più di 400 feriti gravi, oltre al caos generalizzato di cui bande di malviventi hanno approfittato per saccheggiare uffici delle ONG e abitazioni private, il che ha portato a un tutti contro tutti in cui sono entrati quelli che chiedevano le dimissioni dell’attuale Governo e il ritiro delle truppe francesi di pacificazione e della missione ONU nel Paese. Migliaia di persone sono fuggite dalle proprie case e si sono rifugiate nelle chiese, nella moschea centrale e nell’aeroporto.

La calma che vive la capitale è molto fragile, e di tanto in tanto continuano a verificarsi degli omicidi. Giovedì 15 ottobre gli anti-Balaka sono tornati ad attaccare il Chilometro Cinque, e le milizie musulmane hanno risposto entrando armate nei quartieri vicini, prevalentemente cristiani.

Ci sono stati tre morti. Due giorni dopo, un nuovo scontro ha provocato un morto tra i musulmani. I leader comunitari sono riusciti a calmare con grande difficoltà i giovani esaltati che gridavano nuovamente vendetta. Avventurarsi nei quartieri situati a nord della capitale continua ad essere molto pericoloso.

Lakouanga è un quartiere a sud di Bangui in cui i cristiani e i musulmani si sono sempre mescolati senza problemi. Nel maggio dell’anno scorso, le milizie anti-Balaka provenienti dalle zone vicine più conflittuali un giorno sono entrate lì e hanno distrutto la moschea. Pochi mesi dopo, un gruppo di cristiani ha preso l’iniziativa di aiutare i propri vicini musulmani a ricostruirla. Il 20 settembre scorso, prima dell’ultimo scoppio di violenza, sono passato di lì e ho potuto ammirare la tenacia dei membri di entrambe le religioni che collaboravano per rimettere in piedi mura e tetto, minareto incluso. Otto giorni dopo, gli anti-Balaka sono tornati e hanno distrutto nuovamente quello che era stato costruito con tanto sforzo negli ultimi mesi. Ancora una volta, la moschea di Lakouanga è diventata un cumulo di macerie.

Nulla di tutto questo ha però demoralizzato i vicini del quartiere. La Giornata Missionaria di domenica scorsa ha avuto un significato molto speciale, con i cristiani che hanno detto ai musulmani “Siamo con voi e ricostruiremo la moschea”.

Quando mi chiedono come vedo il futuro della Repubblica Centroafricana, non sono un ingenuo e mi rendo conto che c’è molta gente interessata a far affondare ancor di più questo Paese e a gettarlo nella violenza, ma penso anche a persone come i vicini di Lakouanga, la cui tenacia e il cui impegno per la pace sono più forti del fanatismo dei violenti. E penso a leader come l’arcivescovo Nzapalainga e a imam che si giocano molto avvicinandosi ai cristiani e che credono nell’intesa.

Quando un giorno questo Paese raggiungerà finalmente la pace e rialzerà la testa, sarà grazie a persone come loro.

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José Carlos Rodríguez Sotoè laureato in Teologia e in Giornalismo. Ha lavorato in Ugandaper 17 anni, la maggior dei quali a Acholiland, sempre in situazione di guerra.

[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]

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