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I cristiani non abitano più qui

Christians displaced from Mosul – it

AP

Chiara Santomiero - Aleteia - pubblicato il 17/07/15

Storie drammatiche della regione turca del Tur-Abdin nel libro "La terra perduta. Nel cuore dei cristiani del Medio Oriente"

Nessun cristiano abita più a Mosul. Il 16 luglio dello scorso anno si ebbe per la prima volta notizia che case e proprietà dei cristiani della città irachena venivano segnate con la lettera araba Nun (N) per "Nazareni". Ora tutti i cristiani sono andati via e le chiese in città sono chiuse mentre alcune sono state trasformate in moschee dall'autoproclamato Califfato islamico, come quella intitolata a san Efrem e quella di san Giuseppe. Iraq, Siria,Terra Santa: la presenza dei cristiani in tutto il Medio Oriente è oggi storia di sofferenza. La geografia dei paesi che li accolgono si assottiglia sulle mappe. I cristiani spariscono da interi territori dove hanno abitato dal primo diffondersi dei seguaci di Gesù. Si intitola "La terra perduta. Nel cuore dei cristiani del Medio Oriente" il libro del giornalista Matteo Spicuglia, per Effatà Editrice, dedicato a un territorio meno conosciuto ai più, il Tur Abdin, cuore del sudest della Turchia, al confine con Siria e Iraq. Tur Abdin è una parola aramaica che in italiano si traduce "Montagna dei servitori di Dio" per indicare le decine di villaggi cristiani, le duemila chiese e gli ottanta monasteri attivi in questa regione fin dai primi secoli del cristianesimo. Come è avvenuto che questa terra si sia spopolata di cristiani?

UNA LINGUA ANTICA COME QUELLA DI GESU'

Il Tur Abdin è la regione di riferimento dei Siriaci, un popolo antichissimo, presente nella regione da quattro mila anni e tra i primi a convertirsi al cristianesimo. Ancora oggi i siriaci usano nei riti e nel dialetto – il turoyo – una lingua che discende direttamente dall'aramaico, la lingua usata ai tempi di Gesù.All'inizio del secolo scorso i siriaci erano oltre cinquecentomila, oggi non superano i duemilacinquecento. "La cultura siriaca – spiega Spicuglia – ha resistito agli Arabi, ai Selgiuchidi, ai Turco ottomani. E ancora, ai Crociati, ai Persiani, ai Mongoli, ai Bizantini. Nessuno è riuscito a scalfire questo patrimonio antichissimo. Almeno fino al secolo scorso, il secolo della spada per tutte le minoranze cristiane della regione: i Siri ortodossi e cattolici, ma anche gli Armeni, gli Assiri, i Caldei. I massacri e il genocidio cristiano del 1915 furono un colpo durissimo". Ma ciò che travolge definitivamente i cristiani è la lotta tra governo turco e minoranza curda, soprattutto negli anni '80: "Le rivolte per l’indipendenza sedate nel sangue, la militarizzazione di tutta la regione, poi la nascita del PKK, il Partito curdo dei lavoratori e la guerra aperta per rispondere al terrorismo. Pagarono tutti, ma i cristiani qualcosa in più perché in gioco avevano le loro radici, la loro terra. Terra amata e perduta". Le pressioni e le discriminazioni contro la minoranza cristiana da parte della maggioranza musulmana diventano sempre più forti e la gente comincia ad andare via. A Midyat, uno dei centri principali, all'inizio del secolo le famiglie erano 1500, mentre oggi non superano le settanta. A Mardin, quando è stata fondata la Repubblica turca nel 1923, il 70% degli abitanti era cristiano: ora sono rimaste 85 famiglie e solo 65 parlano aramaico.

UN MONASTERO SENZA POPOLO

La vita è difficile per i tanti monasteri della "Montagna dei servitori di Dio". Il monastero di Mor Gabriel è stato al centro di una contesa giudiziaria sulle proprietà delle terre che lo circondano che sembra essersi risolta positivamente solo nel 2013, ma altri monasteri hanno subito restrizioni dei confini. Alle porte di Mardin c'è il monastero Zafferano, uno dei più importanti luoghi di spiritualità per i Siri ortodossi, con 1500 anni di storia. E' dedicato a sant'Anania ma è chiamato così perchè una leggenda vuole che i costruttori abbiano mescolato lo zafferano alla malta per ottenere la sfumatura color ocra che lo caratterizza. Fino al 1932 ospitava centinaia di monaci poi, anche in seguito alle rivolte curde, il patriarca fu costretto alla fuga e riparò prima a Mosul – proprio la Mosul dove l'Isis ha azzerato oggi la presenza dei cristiani – e poi a Damasco che è la sede dell'attuale patriarcato. Oggi nel monastero vivono trenta persone ma la comunità religiosa è formata solo da un monaco e dal vescovo di Mardin: mor Filuksinos Ozmen. "In un secolo – afferma – sono cambiate molte cose. Chi è scappato ha trovato rifugio nei Paesi vicini. La nostra gente ha conosciuto grandi sofferenze. Basta guardarsi intorno. Il nostro è ormai un monastero senza popolo".

ANAH, NAILE E GLI ALTRI

I cristiani che hanno lasciato il Tur Abdin sono sparsi tra Svizzera, Svezia, Germania, Olanda, Stati Uniti, dovunque abbiano potuto trovare un approdo sicuro per ricominciare. Le giovani generazioni non sono mai state in Turchia, a Mardin o Midyat, ma i loro padri e madri portano nel cuore il ricordo di questi luoghi e a volte vi tornano per una visita. Come Anah che torna in compagnia delle nipotine nate in Germania a ritrovare la casa nella quale 35 anni prima era stata una giovane sposa e mamma. La storia dei profughi è uguale in tutto il mondo: la casa, il cortile, tutto ciò che è stato costruito con le proprie mani con fatica viene svenduto per la necessità di fuggire, giusto da ricavarci i soldi del viaggio. Sabri, che era un orafo, ha avuto solo il tempo di preparare in fretta una valigia: "Ricordo che chiusi la porta e non ci pensai più. Prima Istanbul, poi l'Australia. Via! A Midyat non era più possibile vivere, rischiavi ogni giorno, la cosa più importante era salvare la pelle, Il resto non contava". Lo stesso per Naile, che ha costruito una vita in Svizzera, e fuggita lasciando dietro di sé la vita agiata della famiglia di un commerciante con una grande casa e un negozio avviato. Come afferma Naile: "La nostra storia è incredibile. Siamo come un pugno di grano nelle mani di un contadino. Quando lo spargi in un campo, non sai più che fine fa. Un chicco di qua, uno di là, uno mangiato dagli uccelli, uno piantato. Ecco, a noi è successa la stessa cosa. Noi non siamo altro che chicchi di grano".

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