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Chi lo ha detto prima, i “guru” o il Magistero?

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Centro de Estudios Católicos - pubblicato il 15/07/15

Nel Magistero della Chiesa abbiamo una riflessione più profonda, integrale e ampia di quella che proviene dal mondo secolare

Possiamo considerare come segno dei tempi una sensibilità sempre maggiore nei confronti dell’impatto che hanno le nostre azioni personali sul pianeta, così come una crescente presa di coscienza della propria responsabilità verso i più bisognosi.

Ciò si vede riflesso in molte istituzioni, organizzazioni e imprese. Definizioni come “responsabilità sociale imprenditoriale”, che una ventina d’anni fa non erano così comuni, sono quasi necessarie in qualsiasi impresa che cerchi di avere un’immagine positiva. Sostituire la definizione “risorse umane” con “gestione del talento umano” non è un dato fortuito.

Sembrerebbe che i cosiddetti “guru dell’amministrazione” – uomini che per le loro idee, il loro successo imprenditoriale o il loro carisma esercitano una forte influenza sul pensiero imprenditoriale – assumano un ruolo di guida sul modo di organizzare le imprese e su come dovranno farlo negli anni a venire.

Come cattolico, richiama la mia attenzione che queste riflessioni, provenienti da un ambito secolare, riflettano il fatto che nell’uomo c’è l’anelito a fare il bene e che di fronte a realtà spesso ingiuste la coscienza cerca di rispondere in base a una legge naturale.

Evidentemente molte volte non è così, come si vede con i drammatici esempi di politiche anti-vita o di politiche di consenso a favore di q uanti hanno di più. Dall’altro lato, leggendo vari documenti della Chiesa mi sono reso conto che molte cose che questi “guru moderni” hanno detto e continuano a dire erano già state dette dalla Chiesa nel suo desiderio di illuminare le realtà sociali, politiche ed economiche, partendo da un giusto avvicinamento all’uomo e alla realtà della creazione.

Circa lo sviluppo dei popoli, ad esempio, una delle autorità più importanti del pianeta in materia di strategia, Michael Porter, ha scritto nel suo libro Il vantaggio competitivo delle Nazioni, del 2002, che “la comunità imprenditoriale è fondamentale per lo sviluppo dei Paesi”. Dal canto suo, già nel 1967, papa Paolo VI ha scritto nella Populorum Progressio riferendosi agli imprenditori che “la loro condizione di superiorità deve (…) spronarli a farsi iniziatori del progresso sociale e della promozione umana, là dove sono condotti dai loro impegni economici” (n. 70).

L’eccentrico e carismatico fondatore del Virgin Group, Richard Branson, che dal 2007 ha investito circa 2 miliardi di dollari nella ricerca e nello sviluppo di fonti di energia rinnovabile per esprimere la sua opinione sulla preoccupazione per l’ambiente, commentava in un’intervista alla rivista imprenditoriale Portafolio del 2013 che “migliorare la comunità e l’ambiente non dovrebbe essere solo un’aggiunta alla strategia come un’idea dell’ultimo minuto attraverso una donazione caritativa o un breve sforzo volontario, ma dev’essere parte integrale della sua programmazione degli affari”.

In questo senso, papa Giovanni Paolo II nel 1988 nella Christifideles laici ha affermato che “una giusta concezione dello sviluppo non può prescindere da queste considerazioni – relative all’uso degli elementi della natura, alla rinnovabilità delle risorse e alle conseguenze di una industrializzazione disordinata” (n. 43). Il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa dedica tutto il capitolo 10 al tema dell’ambiente.

Circa l’etica negli affari, Tom Peters, esperto di pratiche di gestione imprenditoriale e autore del best-seller Alla ricerca dell’eccellenza, riferendosi alla necessità dell’etica imprenditoriale e al rispetto per le persone menzionava in un’intervista sul portale World of Business Ideas (WOBI) nel 2008 che “il rispetto è fondamentale per il successo. Tutti dipendiamo da qualcuno in qualche aspetti. Importa il prodotto se ci sono persone che restano sul cammino?” Questa frase assomiglia molto alla famosa avvertenza che appare nel Catechismo della Chiesa Cattolica “il fine non giustifica i mezzi” (n. 1753). Peter Drucker, considerato il principale “filosofo dell’amministrazione” del XX secolo, afferma nel suo libro 
Human Resource Management del 2002 che “un’impresa etica deve agire come un cittadino responsabile delle comunità nelle quali opera, anche a costo dei suoi guadagni o di altri obiettivi”. Quando ho letto questa frase a un caro amico, ha creduto che fosse di San Giovanni Paolo II o del Magistero, e non era molto lontano, perché la Quadragesimo Anno di Pio XI del 1931 menziona come dottrina economica e sociale della Chiesa il fatto che le imprese cerchino il bene comune. Allo stesso modo, un principio estremamente importante della DSC è proprio il bene comune.

Per quanto riguarda la giusta remunerazione degli impiegati, Charles Handy, esperto di comportamento e gestione organizzativa e autore del libro The Hungry Spirit, diceva nel 1999 che “gli unici beneficiari dell’impresa non devono essere gli azionisti, visto che sono gli impiegati che apportano il proprio tempo, la professione, le idee, la vita”. Non è molto diverso da quanto affermato da papa Leone XIII nel 1891 nella Rerum Novarum, in cui si legge che “il frutto del lavoro deve appartenere a chi lavora” (n. 8).

Credo che sia anche positivo valorizzare le varie iniziative della nostra epoca e riconoscere in esse grandi doni e anche esempi da seguire, ma allo stesso tempo come cattolici dobbiamo essere convinti del fatto che nel Magistero della Chiesa abbiamo una riflessione più profonda, integrale e ampia di quella proveniente dal mondo secolare. Una riflessione che ha come centro la persona, il cui mistero è illuminato da Cristo stesso.

Tutti i cattolici, e i laici in particolare, per la loro vocazione a occuparsi delle realtà temporali e ordinarle secondo Dio devono avere l’iniziativa di scoprire e ideare i mezzi con cui le esigenze della dottrina e della vita cristiana imbevano la realtà. In primo luogo, devono conoscere ciò che dice il Magistero, e partendo da uno sguardo più acuto della realtà essere i protagonisti al momento di applicarle nelle proprie realtà concrete e quotidiane.

[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]

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