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È giusto reclamare con Dio?

Woman in pain Raul Lieberwirth – it

Raul Lieberwirth

SIAME - pubblicato il 09/04/15

Il nostro atteggiamento di rimprovero risulta sgradito a Nostro Padre?

Quando ci troviamo in una situazione disperata o stiamo attraversando un brutto periodo, o abbiamo un problema che non riusciamo a risolvere, in genere sentiamo che Dio non risponde alle nostre richieste o che si è dimenticato di noi, e a volte decidiamo di reclamare per la sua assenza o la presunta mancanza di aiuto; altre volte, di fronte al timore di presentargli un reclamo in quanto tale, gli chiediamo perché ci capita una certa cosa, domanda che ad ogni modo è probabilmente carica di fastidio per il fatto di sentire che ciò che è accaduto è un'ingiustizia della vita nei nostri confronti.

È giusto reclamare con Dio? Il nostro atteggiamento di rimprovero risulta sgradito a Nostro Padre? Come possiamo agire nei suoi confronti in mezzo alla nostra angoscia? Padre Salvador González Morales, sacerdote dell'arcidiocesi di Città del Messico e vicerettore del Seminario Conciliar della città, ne ha parlato per il settimanale Desde la Fe.

La prima cosa che ha commentato è che se c'è qualcosa di naturale nell'essere umano è il fatto che la sofferenza non gli risulti gradita. A nessuno piace stare male, né a livello fisico né a livello morale, o economico, per cui vorremmo che le situazioni che provocano malessere rimanessero lontane da noi e dalle persone a cui vogliamo bene, come in genere chiediamo a Dio nella preghiera.

Ad ogni modo, segnala, quando ci si presenta una situazione avversa e chiediamo al Signore di aiutarci a risolverla, spesso speriamo che Egli lo faccia come per magia, e quando questo non accade arriviamo a sentire che non ci ascolta o che ci ha dimenticati. “Il problema è il fatto che ci dimentichiamo che Dio conosce molto meglio di noi ciò di cui abbiamo bisogno; prima che io gli chieda aiuto nella mia necessità, Egli sa già cosa mi succede, ma sa anche quello che può aiutarmi a crescere, a maturare”.

Rivolgendo una lamentela al Signore, commenta il sacerdote, perché le cose non si risolvono come vorremmo e nel tempo in cui lo richiediamo, dimostriamo solo il nostro impegno a vedere Dio nel nostro modo “umano”, perché il reclamo emana dal sentimento per il quale si è stati oggetto di un'ingiustizia, e la persona che lo esprime denota mancanza di umiltà, per il fatto che probabilmente è assai confusa sulla sua posizione di fronte a Dio.

“Quando chi chiede dimentica che sta parlando con suo Padre, con il suo Dio, con il suo Signore, perde l'atteggiamento di figlio, e dalla richiesta passa al reclamo nei confronti di Colui la cui Provvidenza non lo ha mai abbandonato. Dio, tuttavia, capisce perfettamente cosa stiamo passando, e sa che questo modo di procedere è solo prodotto della disperazione, della fatica e della frustrazione”.

Allo stesso modo, il sacerdote ha detto che quando succede qualcosa che non ci piace, anziché chiedere a Dio “a quale scopo” spesso chiediamo “perché”, domanda che pur non essendo necessariamente un reclamo o un atteggiamento superbo non ottiene quasi mai una risposta.

In questo senso, ha commentato che il sant'uomo Giobbe – il libro di Giobbe è un gioiello biblico – mostra l'atteggiamento degno dell'uomo che manifesta il proprio sconcerto e chiede “perché” nel suo affanno di comprendere la volontà di Dio, ma alla fine arriva alla conclusione che questa non si conosce, ma si segue con fedeltà, con l'atteggiamento del servo umile.

“Lo stesso Gesù Cristo procede così davanti al Padre dicendo: 'Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?', parole enigmatiche nelle quali troviamo un grande insegnamento e che non derivano affatto da un atteggiamento superbo, ma dimostrano il sentimento di solitudine e di sconcerto di Gesù sulla croce, ma dopo viene la risoluzione della crisi: 'Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito'”.

Per padre González, quando ci vediamo immersi in un problema o abbiamo vissuto giorni terribili, quello che dobbiamo fare è agire come Gesù e non dimenticare mai che Dio è nostro Padre, e sapere che anche se non lo sentiamo o non lo percepiamo o non ci è chiaro, Egli non ci abbandonerà mai.

“È importante arrivare, come Gesù, a sperimentare Dio come un vero Padre, cercare di far sì che il nostro rapporto con Lui sia sempre così. Se facciamo di questo una pratica quotidiana, sia nei momenti gradevoli che in quelli difficili, sia nel lavoro che nel gioco, sia nei nostri impegni che nelle nostre sofferenze e nelle nostre perdite, avremo sempre sulle nostre labbra la richiesta umile del figlio, della creatura, del servo”.

[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]

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