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Il mestiere di attore

Uomovivo

© Fabio Bartoli

don Fabio Bartoli - La Fontana del Villaggio - pubblicato il 24/10/14

Alla scoperta dell'"Uomovivo", opera ispirata ai lavori di Chesterton

Ieri abbiamo fatto una cosa bella: siamo riusciti a far soffiare il Gran Vento di Beacon nell’Aula Magna dell’università di Roma. In questa circostanza ho passato tutta la giornata insieme agli attori che hanno rappresentato lo spettacolo e, forse per questo, d’istinto mi veniva di paragonare la mia vita alla loro.

Preti ed attori hanno molte cose in comune. Anche io come loro vivo per far vivere una parola. E come un attore so che la Parola a cui presto la mia voce, la mia faccia e i miei gesti mi precede e mi supera da ogni parte.

Che sia la Parola Sacra della Bibbia o quella altrettanto sacra della liturgia, la sfida è sempre la stessa: incarnarla fin quasi a sparire, quasi come se non esistessi più io, ma solo quella Parola che intanto che la dico mi dice.

Nell’immaginario collettivo l’attore è uno che finge, tanto che a volte il suo nome viene usato come sinonimo di ipocrita, ma solo uno che non ha mai recitato può pensare una cosa simile di un attore. Recitare è tutto fuori che fingere.

Quando un attore interpreta un testo, quando incarna un personaggio, non finge affatto, anzi: meno finge, più è bravo come attore; quanto più egli diventa realmente il personaggio che interpreta tanto più è convincente.

Così i sentimenti che prova in scena sono veri sentimenti, nella misura in cui è vero il mondo che egli ha creato, o subcreato, come direbbe Tolkien. L’arte dell’attore consiste nell’essere un uomo che appartiene a due mondi, un essere anfibio che sa entrare ed uscire nell’uno e nell’altro, nel mondo delle banche, del traffico e degli ospedali da una parte e nel sub-mondo ospitato dalle quattro tavole di un palco dall’altra.

Per questo ci incantiamo a Teatro, perché per un momento smettiamo di vivere la nostra vita e ci lasciamo portare per mano in un mondo nuovo, più vivo, più luminoso, più ventoso, l’attore, come un sub-Creatore, ci porta a vivere un altra vita. Attraverso i suoi occhi, la sua voce, le sue mani, cessiamo per un attimo di essere noi stessi e diventiamo un altro. E com’è bello diventare un altro quando quest’altro è quel personaggio incredibile che è l’Innocenzo Smith creato da GKC!

Si, ieri sera tutti e 750 noi che eravamo nell’Aula Magna della Sapienza per un po’ siamo stati Uomini Vivi… ora è il momento di ricordarsene, di riportare nel nostro mondo quotidiano quella bizzarria, quella fanciullezza, quel candore che caratterizzano il personaggio chestertoniano.

Quanto simile alla loro è la vita mia! Anche io devo far vivere una parola che non è la mia: indossare, addirittura incarnare i sentimenti di Dio come fossero i miei, vivere e far vivere la vita di Dio in me stesso e diventare così una porta attraverso cui gli altri possano entrare in un mondo alternativo, far vivere attraverso i miei occhi, la mia voce, le mie mani questo mondo nei loro cuori.

Con la sola differenza che il mio “mondo alternativo” non è un sub-mondo, un mondo creato da me, ma un supra-mondo, in cui io non interpreto più una mia creatura, ma piuttosto il mio stesso Creatore.
È come se fosse questo mondo, quello delle banche, del traffico e degli ospedali, la finzione scenica, mentre il mondo, quello vero, è quello della Parola e della Liturgia; è come se un personaggio teatrale avesse la facoltà di interpretare il ruolo di Colui che ha scritto il dramma!

Ma la divina e demiurgica capacità di interpretare, di uscire ed entrare nei due mondi ed essere credibile in entrambi, la follia di de-personalizzarsi per incarnare un altro la conosco bene.

O non è questo l’agire in persona Christi?

Qui l’originale

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