Una riflessione del Cardinal Camillo Ruini sulle questioni sollevate dal dibattito sinodale in materia di matrimonio
Voglio essere sincero. Non ho molto amato il card. Ruini nel periodo in cui è stato mio vescovo. Da una parte aveva il compito ingrato di sostituire il card. Poletti, che avrà sempre un posto speciale nel mio cuore, dall’altra non è mai riuscito a liberarsi del tutto di un atteggiamento e uno stile troppo professorale per una città come Roma, che chiede di essere governata a partire dal cuore.
Però devo anche dire che adesso che è in pensione e quindi, presumo, più rilassato e sereno, i suoi interventi mi sembrano sempre bellissimi e spiccano per lucidità ed equilibrio. Questo in particolare, a margine del Sinodo sulla famiglia (a cui non partecipa per motivi di età) è davvero una gemma brillante e ne condivido anche le virgole.
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Quella cellula fondamentale della società che è la famiglia sta attraversando un periodo di straordinariamente rapida evoluzione.
Ormai appaiono ovvi i rapporti prematrimoniali e pressoché normali i divorzi, molto spesso come conseguenza della rottura della fedeltà coniugale. Ci allontaniamo così dalla fisionomia tradizionale della famiglia, nei paesi e nelle civiltà segnati dal cristianesimo.
Negli ultimi decenni poi, almeno in Occidente, siamo entrati in territori inesplorati. Si sono fatta strada, infatti, le idee del “gender” e dei “matrimoni omosessuali”.
Alla radice di tutto ciò vi è il primato, e quasi l’assolutizzazione, della libertà individuale e del sentimento personale. Perciò il legame familiare deve essere plasmabile a piacere e comunque non impegnativo, fino a scomparire o ad essere praticamente irrilevante.
Nella medesima logica questo legame deve essere accessibile a ogni tipo di coppia, sulla base della rivendicazione di una totale uguaglianza che non accetta le differenze, soprattutto quelle riconducibili a una volontà esterna, sia essa umana (le leggi civili) o divina (la legge naturale).
Rimane forte e diffuso, tuttavia, il desiderio di avere una famiglia e possibilmente una famiglia stabile: desiderio che si traduce nella realtà di tante famiglie “normali” e anche di numerose famiglie autenticamente cristiane. Queste ultime sono certo una minoranza, ma consistente e assai motivata.
La sensazione che la famiglia propriamente intesa stia scomparendo è dunque in buona parte frutto della distanza tra il mondo reale e il MONDO VIRTUALE costruito dai mezzi di comunicazione, sebbene non si debba dimenticare che questo mondo virtuale influisce potentemente sui comportamenti reali.
A uno sguardo sereno ed equilibrato appaiono quindi poco fondati, riguardo alla famiglia e al suo futuro, il pessimismo unilaterale e la rassegnazione. Vale piuttosto anche per la pastorale della famiglia l’atteggiamento del Concilio Vaticano II verso i tempi nuovi, atteggiamento che possiamo riassumere nel binomio accoglienza e riorientamento verso Cristo salvatore.
In concreto, nella “Gaudium et spes”, nn. 47-52, abbiamo riguardo al matrimonio e alla famiglia un nuovo approccio, assai più personalistico ma senza rotture con la concezione tradizionale. Poi le catechesi sull’amore umano di san Giovanni Paolo II e l’esortazione apostolica “Familiaris consortio” hanno costituito un grande approfondimento, che apre prospettive nuove e affronta molti dei problemi attuali. Sebbene queste catechesi non potessero misurarsi esplicitamente con gli sviluppi più recenti e più radicali, come la teoria del “gender” e il matrimonio tra persone dello stesso sesso, hanno tuttavia già posto, in buona misura, le basi per affrontarli.
Indubbiamente la pratica pastorale non sempre è stata all’altezza di questi insegnamenti – e del resto non può mai esserlo compiutamente –, ma si è mossa nella loro linea con importanti risultati: sono anche suo frutto, infatti, le nostre giovani famiglie cristiane.