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L’ultima lettera di Suor Bernardetta, uccisa in Burundi

Bernardette Boggian – it

AFP PHOTO / MISSIONARIE DI MARIA

BURUNDI, Bujumbura : -- RESTRICTED TO EDITORIAL USE - MANDATORY CREDIT &quot;AFP PHOTO / MISSIONARIE DI MARIA&quot; - NO MARKETING NO ADVERTISING CAMPAIGNS - DISTRIBUTED AS A SERVICE TO CLIENTS --<br /> This handout undated picture released on September 8, 2014 by the Congregation of Missionaries of Mary (Congregazione Missionarie di Maria), shows the Italian nun Bernadette Boggia, who was killed in Kamenge, a northern district of Bujumbura, with her colleagues Lucia Pulici and Olga Raschietti, during an attack on September 7, 2014. Three elderly Italian nuns were sexually assaulted and murdered in twin attacks in their convent in the capital of Burundi, police said on September 8 as a hunt was launched for their killers. AFP PHOTO / MISSIONARIE DI MARIA

Aleteia - pubblicato il 09/09/14

"Mi sembra di percepire la presenza di un Regno d’amore che si va costruendo, che cresce come un granello di senape"

Riportiamo una lettera scritta esattamente un anno fa da suor Bernardetta Borgian, una delle tre suore barbaramente uccise in Burundi. Lo scritto è pubblicato sul sito delle missionarie saveriane.

«La Provvidenza mi ha fatto dono di incontrarmi con diversi popoli e culture, di vedere panorami stupendi. Ho conosciuto persone meravigliose; cristiani e credenti di altre religioni: volti che sfilano davanti a me come una sequenza, facendomi rivivere lo stupore di avere incontrato i semi del Vangelo già presenti.

L’Africa che ho incontrato ha rafforzato in me la fiducia in Dio; mi ha colpita l’accoglienza cordiale, la gioia di condividere con l’ospite il poco che c’è, la gioia dell’incontro, senza calcoli di tempo.
Da qualche anno mi trovo in Burundi a Kamenge, una zona periferica molto popolata della città di Bujumbura. Sono contenta di appartenere a questa comunità cristiana che è attenta e si fa vicina ai poveri. E bello vedere al sabato e alla domenica le mamme delle comunità di base che si avviano con i loro cesti sulla testa verso la prigione per visitare i prigionieri e portare loro un po’ di cibo.

La Messa di domenica sera è frequentata particolarmente da papà e giovani, che hanno avuto l’opportunità di una giornata di lavoro, a volte mal pagato. Arrivano con i volti cotti dal sole e le mani callose e corrose dal cemento. Osservo i loro volti che emanano la serenità di chi sa che Gesù è in mezzo a loro e cammina accanto a loro.

L’annuncio di Gesù e dell’amore misericordioso del Padre diventa comprensibile se accompagnato dalla testimonianza di vita. Occorre nutrire in noi uno sguardo di simpatia, rispetto, apprezzamento dei valori delle culture, delle tradizioni dei popoli che incontriamo. Questo atteggiamento, oltre che dare serenità al missionario, aiuta a trovare più facilmente il linguaggio e i gesti opportuni per comunicare il Vangelo.

La prima sfida che ci interpella mi sembra sia la difesa di popoli umiliati, calpestati nei loro diritti, la denuncia dello sfruttamento dei beni di questi Paesi. È pure pressante il problema dell’alfabetizzazione, via maestra per la lotta contro la povertà. L’Africa ha bisogno di giustizia, di maggior equità e di buongoverno.

Nonostante la situazione complessa e conflittuale dei Paesi dei Grandi Laghi, mi sembra di percepire la presenza di un Regno d’amore che si va costruendo, che cresce come un granello di senape, di un Gesù presente donato per tutti.  A questo punto del mio cammino continuo il mio servizio ai fratelli africani, cercando di vivere con amore, semplicità e gioia».

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