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Vogliamo che le studentesse nigeriane tornino a casa? Fermiamo la poligamia

WEB Bring Back Our Girls – it

AFP/ISHARA S.KODIKARA

Michael Saltis - Aleteia - pubblicato il 16/05/14

Il frutto violento degli accordi matrimoniali innaturali in Africa

Il rapimento e l'apparente conversione forzata all'islam di circa 300 studentesse nigeriane hanno provocato un'ondata di preoccupazione senza precedenti in Occidente. Questa indignazione, ampiamente espressa in rete attraverso la campagna #BringBackOurGirls, ha preso di mira sia la mancanza d'azione del Governo nigeriano che la lentezza della risposta dell'Amministrazione Obama. In un articolo recente sullo UK Guardian, tuttavia, Nafeez Ahmed identifica quello che ritiene il vero colpevole: i cambiamenti climatici.

Lascerò che siano altri a rispondere a questa affermazione, ma vorrei sottolineare quello che dovrebbe essere l'elemento culturale più ovvio dei rapimenti di massa in Africa: la diffusa cultura della poligamia.

Molti occidentali non sono a conoscenza dell'ampia accettazione di cui gode la poligamia nel continente africano, e non solo tra i gruppi ribelli e islamisti (la cui poligamia è tutelata dalla legge islamica). Ad aprile, il Parlamento kenyota ha approvato un disegno di legge che permetterebbe ai mariti di sposare un numero illimitato di donne. La poligamia ha goduto di una legalità de facto in Kenya per qualche tempo, e perfino la Federazione delle Donne Avvocato del Paese espresso la propria approvazione generale della nuova legge (pur affermando che la prima moglie di un uomo dovrebbe poter dire qualcosa riguardo ai futuri matrimoni del marito, cosa non prevista dalla legge).

Il fatto che Boko Haram possa essere definito un gruppo terroristico islamista è senza dubbio un fattore scatenante del suo rapimento delle 300 ragazze, per la maggior parte cristiane (il nome dell'organizzazione può essere tradotto come “L'educazione occidentale è proibita”), ma vale la pena ricordare che in Africa questi rapimenti di massa hanno una lunga storia, che precede l'islam. Si sa che i gruppi ribelli di ogni fazione politica razziavano i villaggi, rapivano le donne e le costringevano alla schiavitù sessuale, e questo ciclo si è ripetuto incessantemente negli ultimi decenni. Il fattore comune, che risale alle prime esplorazioni del continente da parte degli europei, è l'instabilità sociale inevitabilmente provocata dalla diffusa poligamia.

Se nessuno affermerebbe che la poligamia sia l'unica causa del conflitto africano, è chiaro che contribuisce alla violenta agitazione sociale: gli uomini di maggior successo riescono a “collezionare” più mogli, quelli con meno successo si trovano a non riuscire a fare lo stesso. Ciò era visibile nelle prime società tribali africane, e ha avuto un forte impatto fino ad oggi. Quando una simile situazione è esacerbata da fattori come l'agitazione politica, la disuguaglianza sociale e la scarsità di lavoro, gli uomini scontenti formano gruppi ribelli che, tra gli atri atti violenti, rapiscono le donne per farne mogli e schiave sessuali (e in questi casi non c'è una grande differenza tra le due situazioni).

Il matrimonio è il contratto alla base di tutta la società. Il contratto di monogamia afferma che ogni uomo avrà la possibilità di trovare una moglie, e che quindi concorderà sul fatto di non dover rubare la compagna di un altro uomo. La poligamia stabilisce l'opposto, e mette ogni uomo in uno stato di competizione con gli altri uomini della sua comunità. Per chi perde in questo gioco, le opzioni sono limitate.

Ci sono quindi delle lezioni che l'Occidente può imparare dall'esperienza kenyota di legalizzazione della poligamia. Consideriamo il linguaggio usato da Christine Ochieng, direttore esecutivo della Federazione delle Donne Avvocato, nella sua lode della legge: “Siamo felici per questa legge perché finalmente tutti i matrimoni verranno trattati allo stesso modo”.

La lezione per chi difende il matrimonio in Occidente dovrebbe essere chiarissima. Se e quando la Sinistra demolirà la definizione cristiana di matrimonio ampiamente accettata negli Stati Uniti e in Europa, non ci sarà alcuna ragione vincolante per non permettere i matrimoni poligami, insieme ai semi di conflitto che gettano. L'uso da parte dei poligami kenyoti della definizione “uguaglianza matrimoniale” lascia pochi dubbi sul fatto che questo stesso sforzo arriverà presto negli Stati Uniti.

In realtà, lo ha già fatto.

Michael Saltis si è laureato di recente presso l'Università di Dayton, dove ha studiato Scienze Politiche in Storia. Vive ad Akron, Ohio.

[Traduzione a cura di Roberta Sciamplicotti]

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