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Impresa sociale e nuovi modelli di sviluppo

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Chiara Santomiero - Aleteia - pubblicato il 17/04/14

Barbato (Ucid): “lo spartiacque per un nuovo modello di impresa è stata la crisi economica; è iniziato da allora un cammino irreversibile”

Etica, sociale, sostenibile, attenta al territorio: sono aggettivi che non si è soliti associare all’attività d’impresa. Eppure la semplice etica del profitto già da qualche tempo non è più da sola sufficiente a determinare l’agire di un soggetto economico: un’opinione pubblica più attenta al suo potere di incidere sulle scelte di consumo e quindi di produzione e una crisi economica strutturale i cui effetti perdurano nel tempo, sta portando a rivedere in profondità gli stessi modelli di impresa e di sviluppo economico così che siano più rispondenti a scenari globalizzati profondamente interconnessi. Aleteia ne ha parlato con il presidente dell’Ucid (Unione cristiana imprenditori dirigenti) di Roma, Diego Barbato, a margine del convegno/tavola rotonda “Fare impresa sociale sostenibile. Realtà o illusione?”.

Nella sua esperienza professionale – lei è un dirigente nel settore creditizio – in che modo ha visto affermarsi il tema dell’impresa sociale?

Barbato: Nella mia esperienza ho potuto constatare il diffondersi di esempi molto positivi in questo campo, anche se tanto ancora c’è da fare. Sono convinto tuttavia che ormai si è messo in moto un meccanismo in virtù del quale non riusciremo più a tornare indietro. Lo spartiacque è stata la crisi del 2008 che ha costretto il mondo a fermarsi e interrogarsi su quali modelli di sviluppo stava perseguendo. Da quel momento il mondo è ripartito ma in modo diverso. La direzione intrapresa, questa volta, pone davanti a sé il bene comune: l’unico modo per fare impresa oggi è proprio quella sociale, cioè rivolta a un bene collettivo. Questo è il solo modo per costruire ricchezza in modo duraturo, al servizio di molti e non di pochi.

La crisi, quindi, come suggerisce l’etimologia del termine, quale opportunità per un ripensamento…

Barbato: E’ come in Borsa: a un certo punto non si può scendere oltre e, quindi, non si può far altro che risalire.

Quale contributo offre su questi temi la Dottrina sociale della Chiesa?

Barbato: La Dottrina sociale della Chiesa alla quale l’Ucid, la nostra associazione, si ispira, pone alla base dell’agire sociale il bene comune, la solidarietà e la comunità. Ciò che stiamo constatando oggi è che fare impresa professando i valori dell’etica e della non prevaricazione verso gli altri è un modello che sta vincendo, anche se spesso, nel passato, è stato irriso e messo da parte. Certo era il contrario della convinzione per cui vincono solo i furbi e chi ha grandi ricchezze: abbiamo visto, però, in che modo i “grandi” di Wall Street nel giro di una notte siano stati messi fuori dai loro uffici con uno scatolone tra le mani perché avevano perso tutto. Questo tipo di ricchezza è effimera, non costruisce nulla e non porta a nulla.

Ma una banca può essere solidale, può perseguire il bene comune oltre a quello di far quadrare i bilanci e trarre profitto?

Barbato: La banca come qualsiasi altra impresa deve perseguire l’obiettivo del bene comune. Non “può”, ma “deve” farlo. Altrimenti non sarebbe fedele alla sua mission di banca. C’è ovviamente una remunerazione del capitale investito dagli azionisti, come per qualsiasi impresa, ma soprattutto la banca deve essere nel territorio per farlo crescere: persone, imprese e territorio devono crescere insieme. Solo in questo modo verrà impedito il nascere e il consolidarsi di disuguaglianze come quelle che hanno portato alla catastrofe del 2008.

Una riflessione da proseguire?

Barbato: E’ la nostra intenzione. Come Ucid Roma, insieme al professor Matteo Caroli, direttore dell’Area Ricerca e Sviluppo Luiss, vogliamo portare avanti una riflessione sui temi dell’impresa sociale, a partire dal dibattito già avviato, coinvolgendo anche le forze politiche e soprattutto i giovani dell’associazione che ne costituiscono il futuro.

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