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Meno bambini agli asili nido ma non per colpa del calo delle nascite

playtime at the pre-school – it

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Chiara Santomiero - Aleteia - pubblicato il 12/03/14

La crisi economica tiene i piccoli a casa: 1 genitore su 5 al nord rinuncia al posto assegnato al nido

Si è sempre detto – ed è vero – che per garantire le pari opportunità tra uomo e donna previste dalla Costituzione e favorire l’accesso delle donne al mondo del lavoro, sono essenziali asili nido e scuole materne che aiutino le famiglie nella gestione  e nella cura dei più piccoli. Ma quando il costo di queste strutture supera le possibilità economiche di un nucleo familiare, quali conseguenze produce sulla socializzazione dei bambini e sulle opportunità lavorative fuori casa delle loro mamme? Nel 2012, secondo i dati Istat, per la prima volta dal 2004 sono calati i bambini che vanno al nido comunale e non per la decrescita della natalità. Erano il 14 % nel 2011, sono diventati il 13.5% nel 2012, per un saldo in negativo di 8904 alunni. I genitori rinunciano al posto assegnato o ritirano i figli perché hanno difficoltà a pagare le rette.

La “grande fuga” non risparmia né regioni geografiche – anche se al nord i genitori che rinunciano al posto sono 1 su 5 – né tipologia di strutture: nidi e scuole d’infanzia, strutture pubbliche e private. In Veneto i piccoli all’asilo sono l’8,9 per cento in meno, – 7,8% nella provincia di Bolzano, -5,9% in Valle d’Aosta e a seguire: Umbria (-4,6%), Sardegna (-4,3%) e Liguria (-3,3%).  A Torino le domande per il nido sono scese dell’11 per cento, a Treviso la Federazione italiana scuole materne denuncia che 3 mila bambini, su 27mila della provincia, non frequentano la scuola dell’infanzia a causa dei problemi economici della famiglia. In Toscana per la crisi sono diminuite le domande. Nel 2013 a Bologna 1.104 bambini sono stati ritirati dai genitori in difficoltà (La Repubblica.it  11 marzo).

Anche a Reggio Emilia, considerata da sempre il “paradiso” delle scuole d’infanzia e dove per queste sono state create in 12 anni quasi 1300 posti in più, se nel 2001 erano 95 su 100 i bambini a frequentarle, oggi sono 86. “È un paradosso pensare che alle materne il posto c’è per quasi tutti, ma che le famiglie non ne usufruiscono perché hanno perso uno dei due stipendi e anche gli 80-100 euro del buono mensa sono diventati un lusso” riflette Aldo Fortunati, direttore dell’area educativa dell’istituto degli Innocenti di Firenze. “E questi sintomi di malessere purtroppo sono sempre più frequenti, destinati a aumentare. Anche perché i comuni hanno meno soldi per gestire i servizi e così tanti posti restano inattivi” (La Repubblica.it  11 marzo).

Nuove rinunce per i posti negli asili nido si prevedono, infatti, per quest’anno e per il prossimo  a Bolzano, dove l’amministrazione comunale ha dovuto adeguare le tariffe dal 1° gennaio in seguito ai cambiamenti introdotti dalla Provincia. “Per adesso siamo in presenza solo dei primi casi – spiega la dirigente Licia Manzardo – anche perché molte famiglie non hanno avuto il tempo materiale per pensare a soluzioni alternative, ma il problema esiste”. Solo nel capoluogo per una quarantina di coppie oltre al danno (l’aumento della tariffa) c’è stata anche la beffa, perché oltre a dover pagare di più sono state costrette a rinunciare all’assegno familiare perché non hanno maturato il requisito dei cinque anni di residenza. E questo fa pensare ad una serie di defezioni a catena alla fine dell’anno scolastico (Alto Adige 10 gennaio).

Solo dal 2005 al 2011, anno nel quale Cittadinanzattiva ha svolto un’indagine sugli asili nido comunali in Italia, le tariffe in queste strutture sono aumentate in media del 4,8%. La spesa media delle famiglie ammonta  a 302 euro al mese, a più di 3 mila euro all’anno considerando 10 mesi di utilizzo del servizio. Con grandi disparità tra aree economiche del Paese e anche all’interno della stessa regione: a Lecco la spesa per la retta mensile, di 537 euro, è 6 volte più cara rispetto a Catanzaro (80 euro), il triplo rispetto a Roma (146 euro) e più che doppia rispetto a Milano (232 euro). In Veneto, la retta più cara, in vigore a Belluno (525 euro mese per il tempo pieno) supera di 316 euro la più economica registrata a Venezia. Analogamente nel Lazio la retta che si paga a Viterbo (396 euro) supera di 250 euro la più economica registrata a Roma. Al Sud, in Puglia tra la retta di Foggia (368 euro) e quella di Bari la differenza è di 179 euro (cittadinanzattiva.it).

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