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Blasfemia a Sanremo, ce n’era bisogno?

Rufus Wainwright – it

David Shankbone

La nuova Bussola quotidiana - pubblicato il 17/02/14

Alla kermesse canora si esibirà Rufus Wainwright, cantante pop che insulta la figura di Cristo
di Rino Camilleri

Rufus Wainwright è un cantautore dal pop raffinato. Forse la maggior parte di voi, come chi scrive, non lo ha mai nemmeno sentito nominare, ma pare che sia il nuovo astro della musica leggera americana. Che il suo «pop» sia «raffinato» lo abbiamo appreso da un comunicato ufficiale con il quale il Festival di Sanremo 2014 proclama esultante la di lui presenza sul palco del teatro Ariston, dove sarà annunciato con squilli di chiarine dal solito duo Fazio-Littizzetto.

Il cantautore in questione lo si può vedere sul web coronato di spine e in croce mentre esegue il suo brano «Messiah gay», il cui testo «mescola battesimo e sperma, attesa del Messia gay e porno anni ‘70» (così «Il Giornale» del 15 febbraio u.s.). Nel video, chissà come mai, indossa una maschera sugli occhi. Forse perché – direte voi – si vergogna? Non crediamo. Infatti, il raffinato cantautore pop non si nasconde affatto e le sue opere sono frutto di meditata esperienza personale. È unito in nozze omo col suo compagno Jorn Weisbrodt (la lieta cerimonia è avvenuta a New York nel 2012), dal quale (meglio: insieme al quale), per non farsi mancare niente, ha pure avuto una bambina a cui è stata imposto l’acclamante nome di Viva Katherine. Ovviamente, tramite utero altrui.
State pensando a una donna nullatenente e di bassa casta dell’India profonda? No, non sarebbe stato raffinato. A metterci la pancia è stata nientedimeno che Lorca Cohen, figlia del famoso Leonard Cohen, (anche lui) raffinato cantautore degli anni Settanta poi finito monaco buddista. Era il poeta della canzone (di sinistra), i cui brani, infatti, erano tutto testo e quasi niente musica. Da buon poeta, mise alla figlia il nome di Lorca (dall’omonimo García, poeta di sinistra e omosessuale fucilato durante la guerra civile spagnola del 1936).
Ad appendersi a una croce dal vivo aveva già pensato la etero Veronica «Madonna» Ciccone, mentre sullo schermo alle sue spalle scorrevano le immagini dei soggetti negativi del secolo (tra cui Berlusconi), perciò questa della religione cristiana deve considerarsi una fissazione del pop risalente almeno a Jim Morrison dei mitici «Doors», altro «poeta della canzone» che si faceva fotografare coronato di spine.
Ora, qualcuno sospetta che gli organizzatori di Sanremo debbano essere disperati, dal momento che vanno a cercare col lanternino personaggi che facciano «discutere» e, con ciò, mantenere vivo l’interesse per una manifestazione che si avvia ormai ad essere seguita solo dalle sciampiste o da aspiranti a un posticino in un «talent» della De Filippi. Infatti, l’altro ingaggio che sperano faccia discutere è quello di Cat Stevens, l’anziano cantautore anglo-greco che si fece musulmano col nome di Yusuf al-Islam e approvò la fatwa contro lo scrittore anglo-indiano Salman Rushdie. Questi, fulminato da Khomeini in persona per il suo bestseller Versetti satanici, vive da allora sotto scorta. Cat Stevens a un certo punto tornò a cantare, ma gli Usa lo dichiararono persona non grata e dovette limitarsi a girare per l’Europa.
Non fu, la sua, l’unica rentrée: molti vecchi mostri sacri del rock e del pop hanno ripreso con le tournée dopo decenni di ritiro dalle scene. Interrogato sul fenomeno, il settantenne Paul McCartney rispose lapidario: «Hanno finito i soldi». Soldi che, nel caso di Sanremo, in gran parte scucite voi, cari lettori, col canone Rai. Ora, poiché la posizione dell’islam duro e puro sull’omosessualità è ben nota, così come è ben noto il rispetto del Corano per Gesù figlio di Maria (pure Lady Gaga, altra pop raffinata, si è beccata una fatwa al riguardo), la speranza è che la presenza contemporanea in Riviera del cantore del Messia gay e di quello convertito al Profeta faccia scaturire scintille, le scintille facciano alzare l’audience e l’audience faccia accorrere gli sponsor. Per la gioia del dinamico duo e dei dirigenti Rai. E noi, poveri untorelli cattolici credenti e praticanti, che possiamo fare di fronte a cotale sfoggio di «raffinatezza pop» progressiva e/o rétro? Be’, abbiamo smesso senza danno di mangiare pasta Barilla, potremo ben smettere di guardare il Festival della (fu) Canzone Italiana. E suggerire a quanta più gente possibile di fare lo stesso.

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