4, ma anche fra i cattolici e i preti diciamo “moderati” prevaleva l’idea che, certo, in quelle manifestazioni giovanili c’erano aspetti negativi e condannabili, però in fondo i giovani chiedono alla società di cambiare, di migliorare, aspirano alla giustizia, all’eguaglianza, al riconoscimento dei diritti dell’uomo e della donna. Non si capiva, anche da parte di non pochi preti e teologi, che i “valori” cristiani, evangelici (pace, libertà, amore, diritti dell’uomo) erano ben accetti e proclamati, ma Gesù Cristo no. Si prendeva il messaggio ma non il messaggero e la sua Chiesa! E andare contro-corrente, in quei tempi era oltre modo pericoloso5.
Tra l’altro, si affermava in quegli anni la contestazione della Chiesa in forme eclatanti; comunità di fedeli che si staccavano dall’obbedienza al vescovo e al Papa, costituendosi come alternativa alle parrocchie esistenti: la comunità dell’Isolotto di don Enzo Mazzi a Firenze, del Vandalino di don Vittorino Merinas a Torino, dell’Oregina di padre Agostino Zerbinati a Genova , quella nata da padre Giovanni Franzoni abate della Basilica di San Paolo a Roma, il Contro-quaresimale di Trento, le manifestazioni del dissenso cattolico di Parma e tante, tantissime altre in molte città italiane, che “facevano notizia” (vari giornali scrivevano “sono la Chiesa del futuro”) ed erano una spina nel fianco di vescovi, parroci e credenti fedeli a Cristo. Ricordo la S. Messa celebrata ogni domenica mattino in Piazza Wagner a Milano (vicina al Pime), su un palco di fianco all’entrata della parrocchia di San Pietro in Sala dov’era nato un gruppo di contestatori fra i quali anche alcuni sacerdoti. La manifestazione di dissenso è continuata regolarmente per un 20 e più anni, con omelia diffusa in piazza da altoparlanti. All’inizio attirava parecchie centinaia di credenti e curiosi organizzati in associazione riconosciuta legalmente, ma poi, a poco a poco, tutto è finito nel nulla.
Non era facile, allora, conservare la fede e l’appartenenza alla Chiesa, numerosi sacerdoti uscivano, alcuni chiedendo una “esclaustrazione” temporanea, per “fare esperienza di vita e trovare un modo nuovo di essere prete” (quasi nessuno è rientrato).
In questo scenario drammatico, all’inizio degli anni Settanta nasce Comunione e Liberazione, da universitari di Gs sopravvissuti al tornado del Sessantotto e alle sue trombe d’aria, con un titolo significativo: “Liberazione”, termine sacro al Sessantotto, per liberare l’uomo e i popoli da tutto quello e tutti quelli che li opprimono; e “Comunione”, cioè nell’unità della Chiesa e con la Chiesa.
La nascita di Cl non è avvenuta davanti ad un notaio firmando delle carte e degli statuti, ma è stato un gesto di fede e una testimonianza della presenza di cristiani in tutti gli ambienti; in quel tempo, era una provocazione e una sfida imprevista e anche scandalosa, anche perché i primi ciellini, come tutti i giovani (com’eravamo noi giovani dell’Azione Cattolica negli anni 1947-1948 ), brandivano la fede in Gesù Cristo e l’appartenenza alla Chiesa come una clava da sventolare sui crani dei supposti avversari, che erano poi quelli che più o meno la pensavano come la corrente sessantottina maggioritaria. Noi, un po’ più maturi (ma mica tanto) per l’età e il sacerdozio, cercavamo di “dialogare” (termine coniato e lanciato dal Concilio Vaticano II e da Paolo VI6) con tutti, ma per i giovani universitari era indubbiamente più difficile, con coetanei che conoscevano solo la violenza verbale e a volte anche fisica. Comunque, ho sempre visto Cl come una reazione provvidenziale al predominio delle ideologie non cristiane e anti-cristiane che animavano i giovani, nella gran confusioni di voci di quel tempo. Io missionario, giornalista e animatore, mi aspettavo questa riaffermazione dell’identità cristiana dalla Chiesa italiana e dalle associazioni cattoliche. Invece è venuta dai giovani di Cl, animati da don Giussani, che hanno reso visibile la presenza dei cristiani nelle Università, nelle scuole, nei giornali e nella società italiana7. Ma soprattutto, Cl ridava ai laici cristiani la gioia e la certezza che il gregge di Cristo in comunione col Papa e i vescovi c’era ancora, e offriva occasioni di impegnarsi nella società per il Vangelo.