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La “Pacem in terris”, monito perenne sulla possibilità della pace

Roberta Sciamplicotti - pubblicato il 12/04/13

L'enciclica di Giovanni XXIII compie 50 anni

Cinquant'anni e non sentirli, rimanendo attualissima e valida. È il caso dell'ottava e ultima enciclica di Giovanni XIII, la “Pacem in terris”, resa pubblica l'11 aprile 1963, e inviata non solo ai cardinali, patriarchi, arcivescovi e vescovi, ma “a tutti gli uomini e donne di buona volontà”.

 Come ha ricordato monsignor Loris Capovilla, segretario particolare di papa Roncalli, l'enciclica “è l’estremo servizio e l’estrema testimonianza di un padre che si rivolge alla famiglia umana, invitando tutti gli uomini a riconoscersi figli di Dio”. Con questo testo, il pontefice promosse “un’azione capillare per sostenere contro l’istinto bellicoso la possibilità della pace”, o addirittura “l’ineluttabilità della pace”. Anche se ci vorrà sicuramente del tempo prima che questa si realizzi, “l’importante è che noi non coltiviamo un’utopia, ma una sicurezza, una speranza; la speranza evangelica che un bel giorno gli uomini aboliranno la violenza e insieme collaboreranno” (Radio Vaticana, 11 aprile).

La “Pacem in terris” era scaturita da due urgenze: quella della storia, dopo la crisi dei missili di Cuba dell'ottobre 1962 che aveva portato il pianeta sull'orlo di un terzo conflitto mondiale, e quella della salute di Giovanni XXIII, che sarebbe morto il 3 giugno 1963, al punto che alcuni parlano dell'enciclica come del suo testamento (Témoignage chrétien, 11 aprile).

La questione della pace era presente in Angelo Roncalli da molto tempo, a cominciare dal suo motto, “Obbedienza e pace”. Il papa la presentava non come l'assenza di guerra, ma come “anelito profondo degli esseri umani di tutti i tempi”, difendendo il disarmo non solo materiale ma “integrale”, che toccasse anche gli spiriti, e non dimenticando l'aspetto della pace legato allo sviluppo, perché non c'è pace senza giustizia, e le Nazioni più ricche sono quindi tenute ad assistere quelle in via di sviluppo.

L'enciclica trattava del “compito immenso” della restaurazione dell'ordine sociale nelle sue varie sfere, ricordando che la pace “può venire instaurata e consolidata solo nel pieno rispetto dell'ordine stabilito da Dio” (La Nuova Bussola Quotidiana, 12 aprile). La sua innovatività rispetto all'insegnamento tradizionale era rappresentata soprattutto dal metodo espositivo, che identificava nei “segni dei tempi” le condizioni necessarie per mantenere la pace: progresso della tecnologia e delle condizioni materiali, affermazione dei diritti sociali e civili, ascesa della classe lavoratrice, ingresso delle donne nella vita pubblica, decolonizzazione. Nuova era poi la chiave di lettura con cui il papa affrontava il problema della pace: “fuori dalle categorie della crociata contro il mondo moderno, dentro il diritto internazionale e distante da quel modello ierocratico che aveva identificato nelle guerre contemporanee la punizione per le società secolarizzate” (Il Manifesto, 12 aprile).

La “Pacem in terris”, ha rilevato il vescovo Mario Toso, segretario del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, è ancora attuale “a cominciare dalla sua prospettiva fondamentalmente ottimista sull’umanità, nonostante i segni negativi, come la minaccia di una nuova guerra atomica, gli squilibri sociali tra ceti e tra Stati, le contrapposizioni ideologiche”. La pace “è possibile, perché le persone, nonostante i limiti che le attanaglino, sono esseri capaci di bene e di dialogo” (Avvenire, 11 aprile).

Il grande messaggio dell'enciclica, ha sottolineato Massimo Paolicelli, fondatore e presidente nazionale dell'Associazione Obiettori nonviolenti, è che “la vera pace si può costruire solo sulla vicendevole fiducia rigettando l’idea, che c’era all’epoca e che c’è purtroppo ancora oggi, che solo l’equilibrio delle armi possa garantirla ristabilendo condizioni di giustizia” (Famiglia Cristiana, 11 aprile).

A cinquant’anni di distanza, ha osservato, “due aspetti dell’enciclica sono diventati realtà: la dottrina dei diritti umani, affermatasi nell’ambito del diritto internazionale e della diplomazia, e la stessa governance globale che sia pure tra mille difficoltà e ostacoli si è fatta finalmente strada”. Varie restano però le ombre, a cominciare dalla necessità di superare l’idea che “le armi garantiscano condizioni di giustizia e, di conseguenza, la pace mondiale”.

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