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La Siria ha bisogno di aiuti, non di armi

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TAUSEEF MUSTAFA

Roberta Sciamplicotti - pubblicato il 28/03/13

Profughi e sfollati interni, vittime di un conflitto che sembra inasprirsi

“La comunità internazionale invii aiuti alla popolazione siriana in fuga dalla guerra, invece di spedire armi”. A lanciare questo appello è stato padre Simon Faddoul, presidente di Caritas Libano, che non ha voluto commentare ulteriormente la decisione della Lega Araba di armare i ribelli del Free Syrian Army, preferendo soffermarsi sulla situazione nei campi profughi.

“La condizione dei rifugiati è terribile e sta peggiorando sempre di più: ormai si è perso il conto delle persone che attraversano il confine”, ha spiegato. Secondo dati ONU, sarebbero ormai più di un milione, e nei campi soffrono fame e freddo (Agenzia AsiaNews, 27 marzo).

Per monsignor Antoine Audo, vescovo caldeo di Aleppo e presidente di Caritas Siria, la prima emergenza è organizzare gli aiuti alimentari per le famiglie, perché “i siriani sono ormai divenuti tutti poveri”. C'è poi l’aspetto medico-sanitario, ovvero la necessità di assicurare assistenza medica a bambini, malati, donne e anziani. “Dobbiamo fare tutto quello che possiamo, ma anche pregare e chiedere ai potenti di scegliere la pace al posto della violenza e degli interessi politici e economici”, ha affermato (Radio Vaticana, 22 marzo).

Per i cristiani, che hanno la Chiesa come unico supporto e punto di riferimento, la situazione è particolarmente difficile, come ha ricordato padre Andrzej Halemba, responsabile internazionale dell'associazione Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS) per il Medio Oriente. “Ecco perché è essenziale distribuire gli aiuti attraverso le diocesi e la Caritas”, ha affermato (ACS, 3 febbraio).

In Siria aumentano anche i rapimenti a scopo di riscatto, e anche se non è certo che i cristiani ne siano vittime a causa della propria fede, testimonianze giunte ad ACS sembrano avallare questa ipotesi. “Ho sentito chiaramente uno dei miei rapitori dire 'Per voi cristiani non c’è più posto in questo Paese. Dovete andarvene'”, ha raccontato un fedele.

“Siamo certamente Chiese 'del Calvario'”, ha sottolineato il patriarca latino di Gerusalemme, Fouad Twal riferendosi al cattolicesimo mediorientale in generale. Il calvario, ha tuttavia ricordato, “non è molto lontano da quella tomba vuota. E questo ci porta a essere anche Chiese della Resurrezione, della speranza, della gioia” (Agenzia Sir, 11 marzo).

A fine gennaio, il patriarca ha scritto una “Lettera di solidarietà per la Siria sofferente” in cui sottolineava come la comunità internazionale abbia compreso solo oggi il proprio errore nel pensare di riuscire a far capitolare facilmente il regime di Assad. “Da noi, in Medio Oriente come in tutti i Paesi arabi, è l’esercito che cambia il regime: mai il Parlamento o una volontà esterna! E l’esercito siriano, a maggioranza allawita, è ancora fedele al cento per cento al presidente”.

Per Massimiliano Trentin, ricercatore di Storia del Medio Oriente all’università di Bologna, dopo il via libera della Lega Araba alla fornitura di armi ai ribelli e il “no” della Nato ai missili patriot sulle zone liberate della Siria lo scenario più probabile è quello di un’escalation militare, perché da un lato c'è il regime di Damasco che ha riconquistato da poco il luogo simbolico di Homs, dall’altro ci sono le opposizioni militari che sono avanzate negli ultimi mesi ma stanno combattendo anche tra di loro.

“Sembra che stia prevalendo, quantomeno a livello internazionale, l’opzione di armare i ribelli e di puntare ancora sullo scontro militare come chiave di volta, come elemento risolutivo di un conflitto che vede, invece, dall’altra parte una capacità anche di resistenza militare notevole alla parte del regime di Damasco. È una situazione che si evolverà con un proseguimento di questa guerra di logoramento all’interno del Paese” (Radio Vaticana, 28 marzo).

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