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Come aiutare il figlio a trovare la sua vocazione?

mother and son

Petrenko Andriy | Shutterstock

Edifa - pubblicato il 08/05/21

La Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni è una buona occasione per tutti i genitori per riflettere su una domanda importante: come aiutare il proprio figlio a sentire la chiamata di Dio e a rispondere ad essa?

È sempre Dio che chiama. Ma Egli chiama con discrezione, come “un mendicante che bussa alla porta”. Affinché i nostri figli sentano la chiamata di Dio, è necessario che la loro attenzione si concentri su quest’unica domanda: qual è il piano d’amore che Dio ha per me?

Non spingere il figlio a scegliere una strada che non gli è destinata

Quando una stazione radio trasmette debolmente, può essere captata solo se i ricevitori sono orientati correttamente e alla condizione che altre stazioni più potenti non stanno trasmettendo sulla stessa lunghezza d’onda. Se educhiamo il bambino secondo il nostro piano, dicendo: “Vorrei che tu fossi medico”, siamo come quelle stazioni radio che disturbano i segnali emessi da radio meno potenti.

Il progetto di Dio è un progetto d’amore. Dio chiama per amore ed è per amore che Gli rispondiamo. La famiglia è il luogo privilegiato e insostituibile per scoprire la grandezza dell’amore: è vedendo i propri genitori amarsi nella fedeltà, vivendo quotidianamente le esigenze dell’amore fraterno, che si capisce, non solo con la propria intelligenza ma con tutto il proprio essere, che l’amore non è un sentimento vago, più o meno fugace, ma un processo libero, volontario, esigente, duraturo e mobilita tutto ciò che siamo: amiamo con il nostro cuore, la nostra intelligenza ed il nostro corpo.

Dio chiama a risponderGli liberamente

Non si diventa preti o suore per obbligo, ma per una decisione personale, presa in piena libertà. Dio vuole figli non schiavi e senza libertà non c’è vero amore, ma la libertà si insegna. “La persona si realizza attraverso l’esercizio della sua libertà nella verità, non può essere intesa come la facoltà di fare qualsiasi cosa ci venga in mente, ma significa donarsi. Ancor più, significa la disciplina interiore del dono. Nella nozione di dono non c’è solo la libera iniziativa del soggetto, ma anche la dimensione del dovere, e tutto questo si realizza nella comunione delle persone. “In questo modo siamo nel cuore stesso di ogni famiglia”, diceva San Giovanni Paolo II nella sua Lettera alle famiglie il 2 febbraio 1994.

Un buon prete è prima di tutto un uomo ben costruito. Naturalmente, nulla è impossibile a Dio, e la grazia a volte si dispiega in modo sorprendente in personalità mal costruite, addirittura profondamente squilibrate, come quei magnifici fiori che spuntano in terre aride. Ma tutti i giardinieri sanno che migliore è il terreno, migliore sarà il raccolto. È Dio che semina, sta a noi preparare la terra: se il terreno è ricco, ben lavorato, ben preparato, il seme ha tutte le possibilità di dare frutto al centuplo. Un buon prete è felice di essere un uomo, e una buona religiosa è felice di essere una donna. Non si consacra la propria vita nel celibato volontario a Dio per paura o rigetto della sessualità. Al contrario, più si comprende la bellezza della sessualità nel piano di Dio (che non può essere ridotta alla genitalità) più si sente la grandezza del celibato consacrato. Il ruolo della famiglia in questo settore è cruciale.

Scriveva Giovanni Paolo II in occasione del cinquantesimo anniversario della sua ordinazione sacerdotale nel 1996: “Siamo grati al Signore per aver voluto fare di noi i Suoi ministri. Siamo grati anche agli uomini, soprattutto a quelli che ci hanno aiutato a raggiungere il sacerdozio e a quelli che la Divina Provvidenza ha posto sul cammino della nostra vocazione. Li ringraziamo tutti, a cominciare dai nostri genitori, che sono stati per noi un multiforme dono di Dio”.

Christine Ponsard

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