separateurCreated with Sketch.

Carlotta: anche se ho voluto l’aborto ho il diritto di soffrire

Carlotta-Manni
whatsappfacebooktwitter-xemailnative
Silvia Lucchetti - pubblicato il 21/10/21
whatsappfacebooktwitter-xemailnative
Carlotta Manni ha pubblicato stralci di una lettera scritta al marito in cui racconta il dolore dell'aborto del primo figlio per le donne inconsapevoli del dopo: "Credimi se ti dico che la scienza ha toppato, non sono solo cellule".

Carlotta Manni ha 33 anni, è moglie di Gianmarco, mamma di Stella, ed è una donna generosa. Ha messo a nudo il suo cuore raccontando attraverso una lettera scritta al marito - e poi pubblicata su Instagram - il dolore per l'aborto che ha fatto alcuni anni fa, quando erano fidanzati da poco. Ci vuole coraggio.

E già qui sento levarsi i primi (inopportuni) commenti: "se ha abortito volontariamente cosa si lagna a fare? poteva pensarci prima", e via scorrendo con anatemi simili. Mi viene in mente Papa Francesco quando un giorno disse che tutte le volte che gli capita di passare di fronte ad un carcere si domanda: "perché loro e non io?".

Quello che vorrei chiedere a voi lettori, prima di raccontarvi questa storia, è di abbassare il dito puntato, di mettere da parte pregiudizi e ipocrisia. Sarebbe bello se, leggendo questa testimonianza, ciascuno di noi si sentisse vicino a questa donna, al suo dolore, alla sua ferita. Sarebbe bello se pensassimo a lei come ad un'amica, una sorella, una figlia, una vicina di casa, perché poi è quello che è.

La cosa che mi ha colpito di Carlotta è l'assoluta mancanza di acredine, rancore, nei confronti di chiunque. Spesso nella nostra intervista mentre mi confidava commenti tremendi che conoscenti, colleghi di lavoro, follower, le hanno rivolto riguardo l'aborto, appena io cominciavo a reagire irritata mi interrompeva: "non lo hanno detto con cattiveria, è mancanza di empatia, le persone faticano a mettersi nei panni degli altri". E lo diceva con semplicità, senza posa da grande esperta, ma con la profondità di chi sa che l'animo umano è povero. Che siamo mancanti e meschini. Di sensibilità, comprensione, affetto.

L'inizio della lettera

Carlotta scopre di essere incinta nel 2016, è andata a vivere a New York da poco tempo, si è trasferita per studiare l'inglese. Incontra dopo un mese nella Grande Mela Gianmarco e dopo 8 mesi di storia arriva la gravidanza: "ci amavamo, infatti alla fine ci siamo sposati, ma ci conoscevamo ancora poco". La vita a New York non è semplice e in Italia non hanno nulla per mettere su famiglia. E così quando scopre di aspettare un bambino sente una grande confusione nel cuore e avverte immediatamente il bisogno di tornare a casa, pur non essendo una mammona - mi ha confidato - "ho avuto bisogno della mamma".

Qual è stata la tua prima reazione dopo aver scoperto di essere incinta?

La prima cosa che ho pensato era di prendere la pillola abortiva, ma poi per tutta la trafila burocratica, trovandomi all'estero, è passato qualche giorno ed io ho iniziato a percepire alcuni sintomi della gravidanza. Nausee, stanchezza, tachicardia. Così mi sono sentita molto confusa. Il mio ragazzo mi ha detto la classica frase: "fai quello che vuoi, io ci sarò". Io ero una che fino a quel momento aveva detto: un figlio no, non mi sento pronta.

Allora se dovevo parlare di aborto ti dicevo "e vabbè, può capitare, uno si prende una pillola", non sapevo quello che succede realmente, e mi dispiace che le persone non lo sappiano. Non mi ero mai documentata a riguardo, sapevo che all'inizio si dice "non è nulla, è un grumo di cellule" e ci ho creduto. Quando invece - dopo aver saputo della gravidanza - ho iniziato a sentirmi diversa ho capito che non è proprio così, il tuo corpo lavora per quella vita. Comunque poi sono partita per tornare a casa, e dopo poco il mio ragazzo mi ha raggiunto. Ero davvero confusa perché la mia decisione riguardava tante persone: avrei dovuto gravare sulle spalle della mia famiglia, su quelle di Gianmarco e non volevo. Questo ha influenzato molto la mia scelta. Scelta che ho sentito tutta su di me. Non avevamo le basi per mettere su famiglia, non era il momento, impegnare in un cambiamento così grande il mio ragazzo mi faceva sentire male. Con il cuore non volevo abortire, se la questione avesse riguardato solo me probabilmente non lo avrei fatto. Mi sentivo tanti pesi addosso. Quando è arrivato il giorno dell'intervento fino all'ultimo ho sperato che qualcosa cambiasse, ma non è successo... ed è andata così. Non voglio trovare un capro espiatorio, un colpevole. Il motivo per cui ne ho voluto parlare è perché penso che ci sia tanta disinformazione, le donne non sanno ciò a cui vanno incontro. Sanno solo che si può fare.

La seconda parte della lettera

Cosa è successo dentro (e fuori) di te dopo aver abortito?

Se tornassi indietro con il cuore oggi non lo rifarei mai, mai. È stata una cosa orrenda. Con la consapevolezza che ho adesso, con tutto ciò che ho passato.

Quest'esperienza ci ha cambiato profondamente, non solo a me ma anche a mio marito. Io ho sofferto in modo incredibile, è stata davvero molto dura. Per i primi sei mesi ho pianto tutti i giorni e tutte le notti, ho avuto incubi tutte le sere, anche senza dormire, mi bastava chiudere gli occhi. Vedevo bambini morti, cose brutte. È stata durissima. Se fossi stata in Italia sarei andata in terapia, a New York era più complicato. Quando sono rientrata in America dopo l'interruzione di gravidanza, i colleghi mi facevano battute di cattivo gusto, e così ho capito ancora di più quanto manchi consapevolezza su cosa sia veramente l'aborto. A lavoro li avevo informati perché mi dovevo assentare per molto. Prima di partire mi dicevano: "Se vuoi, incinta non ci rimani, scema", e poi al rientro, fin dal primo giorno: "ti sei andata a fare la vacanza a casa". Per anni mi hanno fatto pesare che io fossi stata via più di un mese come se fossi davvero andata a godermi le ferie.

Nel momento stesso in cui lo fai non ti rendi conto di quello che sarà dopo, tu pensi di finire una cosa e in realtà ne stai iniziando un'altra, perché non si può capire, non mi sarei mai aspettata quello che veniva dopo. Non pensavo che avrei avuto il senso di colpa, invece sono meccanismi tanto profondi. Quando vai ad interrompere un corso naturale per forza ci sono delle gravi ripercussioni.

Il giorno dell'intervento mi sono sentita trattata come un numero, sembravo che fossi lì a fare una visita dentistica. Che poi uno potrebbe dirmi: che pretendi, che ti devono fare, e anche questo è vero. La cosa tremenda è che sembra che tu non sia autorizzata a soffrire perché l'hai voluto. Ma non è così.

La terza parte della lettera

Come ha inciso l'esperienza dell'aborto nel vostro rapporto di coppia?

Ci vuole forza per restare insieme dopo un'esperienza così, perché è come se volessi trovare un capro espiatorio, come odi te "odi" pure l'altra persona in qualche modo. Ma poi la capacità di restare vicini, di comprendere il dolore dell'altro, la maturità, l'amore, ti fa superare gli ostacoli e ti aiuta a restare insieme. Nel 2018 ci siamo sposati. I primi tre anni dall'aborto sono stati tostissimi per me, ho cominciato a guarire un po' quando abbiamo iniziato a cercare Stella.

Quest'esperienza come coppia ci ha dato un desiderio di famiglia immenso. Ci provavamo ma la gravidanza non arrivava. Poi nel 2019 sono rimasta incinta ma dopo poco ho perso il bambino e quando è successo è stato un grande dolore che mi ha stravolto. Siamo tornati a vivere in Italia da un anno, nostra figlia Stella è nata in America a ridosso della pandemia.

Ho deciso di parlarne perché in generale sono una persona che sente la propensione ad aiutare gli altri se posso, ad ascoltare. Io ne ho sofferto tanto e in tutti questi anni ho sempre pensato che avrei voluto in qualche modo informare le persone su cosa sia realmente l'aborto, di quanto sia difficile, doloroso. E così spero di poter aiutare le donne.

La quarta parte della lettera

Che reazione ha suscitato la pubblicazione della lettera?

Insieme ad alcuni commenti sgradevoli che mi hanno accusato di bieco protagonismo, mi ha scritto tante donne che hanno compreso fino in fondo i motivi della mia scelta. In particolare mi ha colpito il dolore di una ragazza molto giovane che mi ha confidato di essersi tatuata due piccoli fiori, uno ancora più minuto dell'altro, che stanno nascendo ma non sono ancora sbocciati. Lei è rimasta incinta all'età di 16 anni. "Sentivo di amare già quel bambino - mi ha detto - ma come potevo io che ancora ero una ragazzina crescere un figlio?". Per questo due fiori piccini di cui uno non è mai nato.

L'ultima parte della lettera