Qualche giorno prima di domenica 7 febbraio dedicata alla Giornata per la Vita, che si celebra da 43 anni ogni primo giorno dedicato al Signore in quel mese, ho iniziato a leggere il libro: "Ma questo è un figlio. Testimonianze di donne vittime dell'aborto”, Gribaudi Editore, a cura di Giuseppe Garrone.
Tra le tante testimonianze di donne vittime dell’aborto, sono presenti anche quelle di due uomini, di cui molto raramente si legge a proposito di questo dramma che invece coinvolge profondamente anche loro.
Quella di Maurizio mi ha colpito per la forza delle emozioni che trasmette e la profondità delle riflessioni che presenta al lettore.
Nel giugno del 1990, all’età di 25 anni sta vivendo un momento magico: un lavoro sicuro, una ragazza di tre anni più giovane conosciuta l’anno prima di cui è molto innamorato, un appartamentino da poter dividere con lei. Cosa si può chiedere di più alla vita a quell’età?
La scoperta di aspettare un bambino, che sembra inizialmente ad entrambi la “ciliegina sulla torta”. Ma di lì a poco iniziano le prime scosse di un terremoto di domande e dubbi angosciosi:
L’unica persona con cui parlare e alla quale chiedere aiuto in quel momento è la mamma di lei che sconsiglia in modo categorico la figlia di portare avanti la gravidanza.
La confusione più totale si impadronisce di Maurizio che vede la sua ragazza ridotta ad uno straccio ed in preda al più profondo sconforto.
Quando torna in clinica, dopo averla assistita durante l’intervento, trova la sua ragazza sconvolta che si chiede, come se prendesse solo ora consapevolezza di quanto avvenuto:
Inizia così un’amara presa di coscienza che come un macigno si abbatte sul loro rapporto di coppia.
Arrivano quasi al punto di lasciarsi ma è la loro parte spirituale che riesce in qualche modo a tenerli insieme. L’omelia di un parroco che poi seguiranno nel corso prematrimoniale li aiuta a capire fino in fondo la gravità dell’aborto, del rifiuto che hanno posto all’amore di Dio.
A questo sacerdote confessano il loro “delitto”, ne ricevono il perdono e sempre da lui vengono uniti sull’altare. Da quel momento è iniziato il loro cammino spirituale e l’impegno nel Movimento per la Vita, “per salvare anche solo un bambino innocente da una morte che solo Dio può decidere quando e in che modo dare”.
Maurizio e sua moglie hanno fatto battezzare il loro bimbo mai nato e gli hanno dato il nome: fa parte della loro famiglia come se fosse vivo.
Quando ogni anno si avvicina quella data una profonda tristezza si impadronisce di lui, e prima di addormentarsi in lacrime sente visceralmente la mancanza dell’abbraccio del suo bambino, di quelle manine che gli avrebbero toccato il viso se non fosse stato vigliaccamente egoista.
È dovuto trascorrere tanto tempo prima che la sessualità di coppia tornasse quella dei tempi belli, così come son dovuti passare tanti anni prima che la moglie, caduta varie volte in depressione, si sentisse degna di diventare madre, angosciata dal timore del rifiuto da parte della nuova creatura.
La testimonianza di Maurizio termina con un sogno che suona come una accorata preghiera: