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Terence Hill lascia Don Matteo per restare più vicino alla moglie

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Paola Belletti - pubblicato il 14/06/21
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Dopo 12 stagioni l'attore Mario Girotti ha deciso di lasciare l'entusiasmante ma faticoso impegno con la serie Don Matteo perché ha scoperto, anche grazie al lockdown, di volere stare di più con la moglie Lori.

Terence Hill per me è ancora Terence Hill, soprattutto. Il ladro di cavalli dagli occhi azzurri e il sorriso irresistibile, abile con la pistola e le carte da gioco, capace di far imbestialire Bambino, il fratello maggiore, fuorilegge come lui, più di chiunque altro e con lui capace di risolvere conflitti a suon di cazzotti e sberle in rapida sequenza.

Quello che tutti chiamano Trinità, per intendersi. (E' uno dei pochi cult movie per mio marito, insieme a Ritorno al futuro. Siamo rimasti un po' incastrati negli anni '80)

Per mia figlia, la terza, è soprattutto Don Matteo, il nostro appuntamento fisso del giovedì sera, quello per cui si derogava all'orario di andata a letto generando irreparabili precedenti. Il Don Matteo simpatico, buono, geniale investigatore, vero sacerdote che parla di misericordia e aiuta a riconoscere il peccato, ma soprattutto Don Matteo il ventriloquio. Una nostra gag familiare era spesso di parlare senza muovere le labbra, tenendole socchiuse e facendovi passare un filo di voce; alla Don Matteo appunto.

Per questo la notizia del suo addio al set della serie Rai dal più che decennale successo ha scosso un po' anche la nostra quiete domestica: No, dai! Come non farà più Don Matteo?!

A questo punto è stato piacevole scoprire dalla voce del figlio dell'attore, le motivazioni che hanno portato Mario Girotti a ritirarsi da un impegno entusiasmante ma piuttosto gravoso come quello del set di Don Matteo, arrivato ormai alla tredicesima stagione. Così riferisce Jess Hill:

Da inizio pandemia da Covid-19 come tanti anche Mario e la moglie Lori, sposati da più di 50 anni, sono stati costretti ad una più assidua convivenza domestica.

In certe situazioni già drammatiche questa condizione imposta dall'esterno ha fatto da detonatore a relazioni già esplosive, facendole degenerare in conflitti aperti, in violenza addirittura o in un dolore che la frenesia di vite spese anche fuori casa per lo meno diluiva; in altre, come nel loro caso, quello che ha fatto scoppiare è stato il desiderio di ancora maggiore normalità. Perché di quella superficie apparentemente poco mossa che è la vita di tutti i giorni a fianco della stessa persona si conoscono le abissali profondità. Chi si sposa ha più la tempra del sommozzatore che quella del turista da snorkeling.

Niente di particolarmente drammatico quindi dietro la decisione dell'investigatore in talare più apprezzato d'Italia; non è stato l'appello irrespingibile di una malattia a richiamarlo tra le mura domestiche, non è il suo un gesto eclatante che le testate aggettiverebbero volentieri come eroico per poi scordarsene al primo falò di Tempation Islands; è una cosa più estrema ancora, sebbene vestita di modestia e noncuranza; è stato il desiderio sonoro di una prorompente normalità: il richiamo della bellezza dello stare insieme, di frequentarsi, di approfittare dell'ultimo tratto di vita insieme.

Così spiega ancora il figlio, il primogenito della coppia:

Se un tessuto si strappa con violenza lì per lì il suono dello squarcio attira la nostra curiosità e pretende attenzione, forse per quello che impudicamente lascia scoperto.

Ma la storia vera è fatta soprattutto di una stoffa che resiste, che resta intera, che si srotola lungo tutta la durata di una vita insieme, se si ha questa grazia. E quella di Mario e Lori è stata attraversata da successi, confortata da amicizie formidabili (come quella con Bud Spencer, anche quella fatta di continuità, di sintonia, di assenza di litigi; eppure ha fatto notizia, anzi "storia") e trafitta da grandi dolori - come la tragica morte del figlio Ross, che però non la sfilacciano, anzi forse l'hanno tinta di un colore inedito.

Lori Zwicklbauer e Terence Hill si sono conosciuti sul set di Dio perdona... io no e si sono innamorati; entrambi con origini tedesche (la madre di Mario Girotti era originaria della Sassonia; quando lui e i fratelli erano piccoli hanno vissuto in Germania fino alla fine della seconda guerra mondiale), entrambi belli, attori di discreto successo, ammirati.

Era il 1967 e forse allora non sapevano che il loro vivere sul serio una promessa come quella del matrimonio si sarebbe trasformata da morale comune alla quale tutti venivamo volenti o nolenti indirizzati a impresa eccezionale.

Intendiamoci, il matrimonio ha sempre avuto tratti epici, ma ora sono più evidenti; per noi cristiani è una via affatto secondaria per la meta comune della santificazione. E per chi è sposato anche solo da qualche anno i motivi sono più che evidenti.

Ross e Jess sono i loro due figli, uno adottivo, nato nel 1973, e uno naturale nato due anni dopo le nozze. Ross è morto in un tragico incidente stradale poco dopo il loro arrivo negli States, dove Terence Hill voleva trasferire la famiglia, la carriera e la propria integrità morale. Quel lutto li ha oppressi a lungo, senza schiacciarli del tutto. Terence Hill si ritirerà dalle scene fino al 1990, quando tornerà con le consunte e fortunate vesti di come Don Matteo.

Chissà che cosa hanno maturato, insieme, questi due coniugi ora anziani, chissà che cosa hanno scoperto in fondo alle giornate a volte sempre uguali, nei periodi di fiacca, in quelli forse di tentazione per l'uno o l'altra. Chissà cosa si sono detti durante la convivenza forzata del lockdown che forse loro, e non sono i soli, hanno potuto anche benedire.

Ecco, la notizia è tutta qua: una coppia di sposi insieme da più di mezzo secolo, ancora piuttosto in forma e coi tratti ancora visibili della loro fresca bellezza di gioventù, ha deciso che non c'è altro tempo da perdere: vogliono stare più vicini, vivere insieme, godersi il tempo che gli è dato secondo ritmi più accettabili. Certo è anche un lusso poterselo permettere ma soprattutto è la furbizia di chi ha capito che è questa la mano decisiva, è con queste carte, sempre le stesse, che bisogna fare all in.