Dio avrebbe potuto salvare il mondo senza che Gesù passasse per la passione e la Croce. Perché egli ha scelto questa via dolorosa per redimerci dalla morte e dal peccato?
Tra le numerose ragioni della Sua scelta, ce n’è una che merita la nostra attenzione: la Croce non è soltanto un evento salvifico, ma anche una rivelazione; essa opera la Redenzione mentre ci apre gli occhi su due abissi antinomici – uno negativo, l’altro positivo. Il primo riguarda il peccato, il secondo l’amore che Dio ha per noi. Morendo sulla Croce, Gesù ci mette davanti agli occhi il prezzo che la divinità ha riconosciuto equo ed utile a riscattarci dalla dannazione e, d’altro canto, la natura della tenebrosa realtà da cui Dio ci libera.
Per illustrare la consistenza propria del peccato, nessuna immagine è più adeguatamente eloquente della Croce. Spesso l’opinione corrente assimila i peccati ad atti sessuali reprensibili, mentre il peccato è cosa tanto più seria… a parlare propriamente, è una realtà che conduce alla morte.
Non tutti i peccati ci privano della presenza di Dio in noi, e tuttavia anche i più leggeri – quelli che si chiamano “veniali” – ce ne allontanano impercettibilmente. Quanto ai peccati mortali (o a quelli gravi), essi rappresentano la morte dell’anima in quanto per loro mezzo essa viene privata della grazia santificante, cioè della vita divina.
Insomma, i carnefici che duemila anni fa uccisero Gesù realizzarono esteriormente quel che avviene nel nostro spirito quando soccombiamo alle sirene del Male: escludiamo Dio dalla nostra esistenza. Ecco uno degli insegnamenti fondamentali della Croce: ci mette davanti agli occhi le conseguenze ultime delle nostre colpe gravi.
Dio è la vita come causa, presenza attuale e fine soprannaturale: logicamente, quando il peccatore impenitente Lo esclude dalla sua esistenza, egli si precipita nel mondo opposto a quello del Creatore – la morte.
Non illudiamoci che chi pecca continuamente serbi intatta la sua facoltà di scegliere in ogni momento di tornare al bene. Il peccato ci fa affondare in abitudini nefaste che indeboliscono la nostra volontà. Certo, possiamo sempre tornare a Dio, ma il peso e l’inerzia del peccato rendono la cosa sempre più complicata mano a mano che le nostre pratiche cattive si consolidano e che la conversione viene rimandata. Ecco perché non bisogna differire quest’ultima. Non è mai troppo presto per tornare a Dio. In caso si bisogno, si può chiedere a Lui l’aiuto, se almeno ne abbiamo ancora la forza o il desiderio… e la fede.
L’egoismo, l’orgoglio, l’invidia, la volontà di potenza, il disprezzo dei poveri, l’avarizia e la cupidigia, l’indifferenza verso gli infelici: tutti questi aspetti del male costituiscono la morte dell’anima, morte che è in sé la conseguenza dell’espulsione di Dio dal nostro cuore. Il peccato finisce col crocifiggere Gesù espellendolo dalla nostra interiorità: è questa una delle ragioni per cui Dio ha scelto la Croce come mezzo salvifico – con essa Dio ci mostra che il peccato è cosa della più grave importanza.
Meditando la crocifissione di Gesù, l’uomo è invitato a prendere consapevolezza di ciò da cui Dio lo salva: l’uccisione in lui del principio della vita. E non lusinghiamoci al pensiero di essere estranei a quell’acme di malizia che deflagrò sul Golgotha: certo, la maggior parte di noi non ha mai seviziato una persona, nel senso letterale del termine, e tuttavia la logica del peccato – sempre la medesima e sempre all’opera in colui che imprudentemente gli apre la porta del cuore – conduce invariabilmente alla morte dell’anima.
Ecco perché la Croce è simultaneamente redenzione, rivelazione e pure avvertimento salutare.
[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]