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Chiamato al Colle per un nuovo governo, ma chi è Mario Draghi?

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Quirinale Press Office / AFP

Lucandrea Massaro - pubblicato il 03/02/21

Il presidente Mattarella ha chiamato Draghi per l'incarico di Presidente del Consiglio, ma quali siano i programmi e il pensiero di "Super Mario" non è chiaro

L’accelerazione provocata dal “no” di Matteo Renzi che ha fatto saltare le trattative per un reincarico a Giuseppe Conte ha prodotto prima un tentativo “esplorativo” – come si dice in gergo – del Presidente della Camera Fico e ora la chiamata al Quirinale del professor Mario Draghi, una convocazione che può essere il preludio ad un incarico di formare un nuovo Governo che concluda la legislatura (2023) o almeno porti questo Parlamento al voto per il prossimo presidente della Repubblica (2022). Ma chi è Mario Draghi?

Una formazione coi Gesuiti

Mario Draghi, classe 1947, romano ma con genitori del Veneto e della Campania, rimarrà orfano di entrambi ad appena 15 anni. Studia molto e con profitto all’Istituto Massimo della Capitale, una scuola superiore di eccellenza gestita dai Gesuiti, per molti la migliore scuola di Roma. Piero Sansonetti su il Riformista ricorda – da ex compagno di scuola – quel momento così critico:

Nel 1962, quando faceva il quinto ginnasio, perse prima il papà e poi la mamma. Non so immaginare come un ragazzino sportivo e studioso di quindici anni possa reagire psicologicamente a una frustata di questo genere. Lui reagì. Probabilmente ebbero un peso i gesuiti, perché i gesuiti, ve lo assicuro, sono quel tipo di comunità che non ti molla, ti prende, ti assorbe, ti arruola e un segno comunque te lo lascia. So che Draghi è molto cattolico, credente autentico (27 marzo 2020)

Da lì passa a studiare Economia politica alla Sapienza con il grandissimo Federico Caffé. Per uno strano accidente della storia si laureerà proprio sui temi della moneta unica e – ironia – nel suo lavoro giovanile stronca con vigore ogni possibilità che una moneta unica possa funzionare. Con la crisi dei debiti sovrani, nel 2012 salverà l’Euro con la – ormai celebre – frase “whatever it takes“, cioè “ad ogni costo”.

Mario Draghi è stato molte cose nella sua vita, non solo “public servant” come si dice, ma anche brevemente un banchiere di Goldaman Sachs (dal 2002 al 2005) e proprio il suo lavoro per la banca d’affari e le precedenti privatizzazioni italiane degli anni ’90 in cui ebbe un ruolo in quanto Direttore Generale del Ministero del Tesoro (1991 -2001) sono motivo di critica aspra, come ebbe a dire anche l’ex Presidente della Repubblica, Francesco Cossiga:

Nel 1991 viene nominato Direttore generale del Ministero del Tesoro, dove resta in carica fino al 2001.   Da Presidente del Comitato Privatizzazioni (1993-2001) si fa promotore di una enorme campagna di privatizzazione di tutte le più importanti aziende statali italiane (Telecom, Enel, Eni, Iri; ecc.). Nel 2008, il Presidente della Repubblica Emerito Francesco Cossiga, in diretta televisiva su Raiuno, definisce Draghi un “vile affarista”, accusandolo di aver svenduto l’intera industria pubblica italiana (Wall Street Italia).

Nel 2005 diventerà Presidente della Banca d’Italia e infine dal 2011 al 2019 Presidente della BCE, la banca centrale europea, che ha guidato in un momento – come dicevamo – molto critico, la crisi della Grecia.

Finito il suo servizio alla BCE, Papa Francesco lo ha voluto come membro della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali nel luglio del 2020. Quasi un ritorno a casa per il ragazzo (ora uomo anziano) cresciuto dai gesuiti.




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“Due” Mario Draghi o un pensiero in evoluzione?

Con l’avvio della crisi innescata dal Coronavirus, l’economia è andata in frantumi praticamente ovunque, non c’è paese – tranne la Cina – che abbia chiuso il 2020 con il segno “più” davanti all’indicatore del PIL. Una crisi che sembra parlare di una trasformazione molto forte del capitalismo mondiale, ed è di nuovo Mario Draghi ad indicare una via d’uscita con un editoriale che sa di programma politico pubblicato sul Financial Times il 25 marzo del 2020, un editoriale che cambia un trentennio di politiche sponsorizzate proprio da Draghi in tutti i luoghi di responsabilità che ha ricoperto. Facciamo nostre le parole del mensile Valori, edito da Banca Etica:

Le banche devono prestare i soldi a tassi zero, anche senza garanzie, anche senza vincoli sul capitale. Frasi forti, che fanno breccia nel cuore di chi ha sedimentato sentimenti anti-banchieri e che, ovviamente, solleticano l’empatia di chi va a caccia di facili consensi popolari. Dopo quasi trent’anni al lavoro per privatizzare il mercato bancario, in Italia e in Europa, uno degli esponenti più autorevoli del mondo finanziario globale chiede di fare retromarcia. Ci siamo sbagliati, le banche devono comportarsi come operatori pubblici, prestare i soldi a tasso zero e coprirsi con i soldi dei contribuenti, con la fiscalità generale, dunque attraverso il sostegno dei governi.

E’ questa vera e propria conversione, che lo rende un candidato atipico rispetto a Mario Monti, perché diversa è la situazione e il contesto:

Qualcuno ha paragonato il ruolo di Draghi a quello di Mario Monti, chiamato in tutta fretta a frenare la tempesta finanziaria che si era scatenata sul nostro Paese nel 2011, incaricato da Napolitano con il sigillo di senatore a vita. In realtà le differenze sono notevoli perché diversi sono i contesti storici. Se allora bisognava assolutamente mettere i conti in ordine sottoponendo a tassazione gli italiani (il governo Monti lo fece con le imposte sulla casa e riducendo i benefici del  sistema pensionistico), in questo caso il premier incaricato è chiamato a gestire un’imponente messe di risorse economiche. Un compito certo meno impopolare ma estremamente difficile e complesso, con immense ripercussioni sociali. La prima è la scadenza di marzo, con la fine del congelamento dei licenziamenti (Famiglia Cristiana).

E in fondo che tutto sia cambiato è chiaro anche a “Super Mario”:

Quel che Draghi sta dicendo è: «Signori abbiamo sbagliato tutto, in questi ultimi trent’anni anni abbiamo costruito un sistema che non è e non può essere al servizio dell’interesse generale, dunque smantelliamolo e ricostruiamolo da capo» (Valori).

Naturalmente anche diventasse Presidente del Consiglio domani, non sarebbe possibile una rivoluzione in un campo così delicato come quello bancario, ma in molti sembrano riconoscere – in qualche misura – i principi che in gioventù deve avergli inculcato Federico Caffè, economista di area socialista, profondo estimatore del ruolo pubblico dello Stato in economia e del ruolo di esso nella redistribuzione della ricchezza. Questo in parte può essere vero ma non dobbiamo essere romantici, non senza una buona dose di realismo. Questo cambio di paradigma – funzionale a tutti, specie nel breve e medio termine – è un cambio che è necessario al capitalismo per sopravvivere. L’austerità è finita, perché è cambiata la condizione generale: milioni di disoccupati, centinaia di migliaia di aziende fallite, debito pubblico esploso per far fronte alla crisi sanitaria. Vale per l’Italia e vale per l’Europa e per il mondo. Serve un aggiornamento della ricetta, quella che i banchieri centrali hanno sostanzialmente dato all’unanimità: liquidità illimitata nel sistema. Ma questa liquidità va gestita e incanalata nell’economia reale, e si torna all’editoriale di Mario Draghi che – apparentemente – apre a questo ritorno dello Stato regolatore e dirigista, anche se forse non al punto di farsi esso stesso imprenditore. Si vedrà, ma non a caso stamane Piazza Affari apriva così:

La Borsa di Milano, che martedì aveva chiuso con un rialzo dell’1,1%, oggi ha aperto con un rialzo del 2,8% con l’indice Ftse Mib a 22.630 punti per poi rallentare restando comunque con un rialzo superiore al 2%. Quella di Milano è stata la migliore apertura tra i mercati europei: molto positiva anche Madrid (+1,3%) e in rialzo anche Francoforte (+0,7%), Londra (+0,6%) e Parigi (+0,5%).

Particolarmente forti i titoli delle banche. Intesa Sanpaolo è partita con un rialzo del 6%, UniCredit con un +5,9%. Molto forte anche Atlantia, in rialzo del 5,5% (Avvenire).

Cosa accadrà lo vedremo nei prossimi giorni, quale sarà l’eventuale portata di questo cambiamento lo vedremo nei prossimi anni, sempre se – va ricordato – Draghi accetti e venga eletto: la scommessa di molti è che chi conosce così profondamente la macchina economico-finanziaria, sia la persona più adatta ad operare dei cambiamenti.

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