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La “carovana dei bambini” che il mondo non può continuare a ignorare

MIGRANTS

Shutterstock | Vic Hinterlang

Jaime Septién - pubblicato il 21/01/21

Una nuova carovana migrante, con una gran quantità di bambini, avanza dall'Honduras verso gli Stati Uniti

Ancora una volta si ripete la tragedia umanitaria delle carovane di migranti provenienti dall’Honduras. Venerdì scorso, almeno 4.500 migranti honduregni hanno spezzato l’accerchiamento della polizia alla frontiera con il Guatemala nel luogo noto come El Florido e sono penetrati in territorio guatemalteco alla volta della frontiera con il Messico.

Al grido “Queremos pasar” (“Vogliamo passare”), la carovana di migranti, composta da varie centinaia di famiglie, molte delle quali con bambini, è stata lasciata passare senza che si verificassero scontri con la polizia migratoria del Guatemala. C’erano troppi piccoli per chiudere la porta.

La carovana si dirige verso gli Stati Uniti approfittando della possibile apertura all’immigrazione da parte del prossimo Presidente del Paese, Joe Biden.

Solo il primo tratto

Intere famiglie viaggiano con tutto ciò che hanno. Fuggono dai disastri naturali (i cicloni del novembre 2020), dalla pandemia di Covid-19 e dalla mancanza di opportunità di lavoro. Influisce anche la pressione incessante dei gruppi di delinquenti e delle bande che hanno approfittato di tutti questi fenomeni per aumentare il proprio potere.

Questo sabato la carovana ha visto ingrossarsi il suo contingente, e secondo calcoli delle autorità migratorie del Guatemala potrebbe arrivare a 6.000 persone. Anche se a El Florido (prima avevano provato a entrare da Ojo Caliente) non ci sono stati incidenti, esiste un ordine del Governo guatemalteco in base al quale la polizia migratoria può usare la forza per evitare il passaggio dei migranti per contenere la diffusione del coronavirus. Finora, ad ogni modo, gli Honduregni hanno potuto percorrere il primo tratto del loro viaggio grazie ai tantissimi minori che si spostano con le proprie famiglie.


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Quasi costretti a partire

Molte famiglie hanno fatto ricorso a istituzioni di aiuto ai migranti, tra cui la Chiesa cattolica, la Croce Rossa e l’ACNUR. “Ho deciso di andare negli Stati Uniti perché nel mio Paese non c’è lavoro, non c’è niente. Devo per forza andare, perché la pandemia e gli uragani hanno distrutto il Paese”, ha detto ai mezzi di comunicazione che coprono il viaggio della carovana l’honduregno Carlos Flores, di 20 anni.

Il percorso non sarà semplice. Circa 500 elementi di sicurezza sono già stati dispiegati dal lato messicano, alla frontiera tra Messico e Guatemala, sotto la consegna che il Paese nordamericano non permetterà l’ingresso di “persone irregolari” nel suo territorio.

“Sono venuta a piedi, senza denaro, soffrendo. Grazie a Dio siamo già qui in Guatemala, per partire (per gli Stati Uniti)”, ha detto alla stampa Agustina Rodríguez, 40 anni. “Siamo arrivati in circa 400 (nel suo gruppo), alcuni sono andati da altre parti, si sono dispersi. Ho dovuto attraversare dei fiumi, con i vestiti bagnati che porto addosso. Quando ci hanno regalato del cibo abbiamo mangiato, e quando non ce lo hanno dato abbiamo sofferto la fame”, ha aggiunto.

Disposti a tutto

Il movimento è lento, perché la maggior parte dei componenti della carovana (partita venerdì all’alba da San Pedro Sula) viaggia a piedi, anche se alcuni – quello che possono – hanno deciso di chiedere un passaggio per attraversare più rapidamente i 450 chilometri di territorio guatemalteco fino ad arrivare al punto di incontro, che sarà l’incrocio ormai tradizionale di Tecún Umán e Tapachula, già dal lato messicano.

L’odissea è appena iniziata. Sono 5.000 chilometri di pericoli e incertezza quelli da percorrere da San Pedro Sula a uno dei punti che costellano i 3.000 chilometri di frontiera condivisa da Messico e Stati Uniti.

Gli Honduregni, però, hanno già imparato la strada. Sono circa 12 le carovane uscite da questo tribolato Paese centroamericano dall’ottobre 2018, quando è iniziato questo esodo di gruppo. In ciascuna di esse si è raccolta la testimonianza del dolore di chi avanza verso l’ignoto ma è disposto a tutto pur di non tornare nel proprio Paese.

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