Il trauma delle complicanze del secondo parto, l’allontanamento dalla fede e gli sposi a pezzi. Poi la grazia del Signore che “non ha messo insieme i cocci, ma ha fatto nuovo il nostro matrimonio”.La mia prima intervista su Zoom, sistemo i bambini con i nonni, Ipad carico, cuffie pronte, accendo e vedo una coppia affiatata e vispa, lo sguardo di lei dolcissimo, quello di lui felice e scanzonato. Li saluto ma non mi sentono.
“Ecco, sono la solita. Che figura!”. Esco, rientro, audio attivo, video pure. Li chiamo sul cellulare per scusarmi ridacchiando imbarazzata, e invece Andrea si accorge di avere le casse spente. Fiuuu! Non sono stata io! Problema risolto.
Siamo tutti e tre in grado di sentirci, anche se io non devo dire niente ma solo ascoltare la loro testimonianza. L’idea dell’intervista mi è venuta leggendo i loro post su Facebook dai quali intuisco che si sono incontrati da giovani, lei una ragazza casa e chiesa, lui lontano anni luce dalla fede.
E invece poi… la storia cambia. Anzi la musica, perché Andrea è trombettista. E quei due ragazzi messi insieme, sommati, non fanno due, ma uno – una sola carne e un solo spirito-, e poi sette… come i loro figli.
Silvia nonostante sia laureata in matematica sa che Dio è generoso, arrotonda sempre per eccesso.
Questa è un’intervista doppia – ok basta dare i numeri! – e parla di come Gesù Cristo abbia fatto nuovo e splendente il loro matrimonio in crisi. Perciò se vivete un momento di difficoltà di coppia o se conoscete qualcuno che sta attraversando la tempesta, leggete e fategli leggere questa storia per non perdere mai la speranza.
Cari Andrea e Silvia, presentatevi
Andrea. Mi chiamo Andrea Milzani, fra poco compirò 49 anni e sono sposato con Silvia con la quale l’anno prossimo festeggeremo le nozze d’argento. Abbiamo sette figli: Giulia (24), Francesca (22), Giovanni (18), Martino (16), Luca (12), Gabriele (10) e Riccardo (8). Le età dei figli sono già aggiornate al 2021. Perché una famiglia numerosa è naturalmente predisposta a “guardare avanti”. Ci siamo conosciuti nel lontano 1990, sei anni di fidanzamento, sono perciò trent’anni che questa signora mi sopporta. Io sono operaio, lavoro in una fonderia e abitiamo a Gottolengo.
Silvia. Io sono casalinga, sono laureata in matematica, ho fatto per tanti anni lezioni private ma oggi faccio la mamma. Con Andrea ci siamo conosciuti all’oratorio, perché la domenica pomeriggio si andava lì, c’era il bar, si stava insieme, avevamo 18 anni.
Quando vi siete innamorati?
Andrea. Lei era tutta casa, comunità (cammino neocatecumenale NdR), studio e poco altro; io invece conoscevo un po’ tutti a Gottolengo. Pensavo fosse di Brescia e invece scoprii che abitava vicino casa mia, che frequentava il liceo con un mio carissimo amico al quale dissi: “perché non mi hai mai presentato questa ragazza?”. Avevo finito le magistrali che a quei tempi erano quattro anni, nel frattempo studiavo tromba al conservatorio a Mantova, lei invece doveva ancora conseguire la maturità perché stava al liceo scientifico. Mi sono innamorato praticamente subito, anche se in realtà stavo uscendo con un’altra ragazza.
Silvia. Anche io mi sono subito innamorata di Andrea, ed ero al contrario liberissima.
Andrea. La ragazza che frequentavo partì un mese per il mare e nel frattempo Silvia entrò nella mia compagnia di scavezzacollo. Passavamo tanto tempo insieme, lei era il centro di gravità permanente. Quando la ragazza tornò dalle vacanze, mi lasciò. E invece ero già innamorato di Silvia, da quel momento non ci lasciammo più. Era il settembre del 1990.
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Silvia quindi era credente e tu quando hai incontrato Dio?
Andrea. Quando partecipai alle catechesi del Cammino neocatecumenale. Mio padre che era artigiano aveva avuto un paio di mesi prima un grave incidente e aveva perso una gamba. Durante quella Quaresima affrontava il percorso per poter mettere la protesi. Perciò vivevo una fase un po’ particolare della vita della mia famiglia. Nel frattempo però il buon Dio mi aveva mandato Silvia. Vado alle catechesi e incredibilmente rispetto a miei pregiudizi il Cammino mi colpisce tantissimo, rimango affascinato. Ma la convivenza – una sorta di ritiro spirituale che si fa per valutare la volontà di proseguire il percorso – cadeva proprio il giorno del mio compleanno, e mia madre disse: “tu non vai, è il tuo compleanno e dobbiamo festeggiarlo”. Le obbedii ma pochi giorni dopo ci fu la veglia di Pasqua, andai alla Veglia e rimasi folgorato sulla Via di Damasco. Una volta terminata beccai il mio responsabile: “Luigi guarda, anche se non ho fatto la convivenza voglio frequentare il Cammino”. E così iniziai. Poi nell’Avvento del ’91, partecipai alla convivenza e i miei genitori si opposero anche quella volta: “no, tu non ci vai”. Io disobbedii, com’ero vestito presi una sportina con le mutande e partii per il ritiro: questo è stato il mio primo approccio alla fede. Quell’estate ci fu la Giornata mondiale della gioventù di Czestochowa con San Giovanni Paolo II. Partecipai con Silvia e fu un’esperienza fortissima, un momento davvero intenso. I miei genitori, che mi avevano tanto osteggiato, quando si trovarono costretti ad affrontare un momento di profonda crisi matrimoniale vennero ad ascoltare le catechesi. Ricordo che dissi loro: “vedete voi, se volete salvare il vostro matrimonio un’alternativa c’è, si chiama Dio”. Mi ascoltarono.
Ti sei sentito in qualche modo “costretto” da Silvia a frequentare il Cammino neocatecumenale?
Andrea. Silvia non mi ha mai fatto pressioni. Mi sono sentito sempre profondamente libero nei suoi confronti e questo mi ha aiutato molto. Altrimenti per la mia indole, se mi fossi sentito forzato o obbligato, “perché altrimenti non puoi essere più il mio fidanzato” e quelle menate lì, non avrei certo reagito bene. Mi ha lasciato nella più totale libertà.
Come sono stati i primi tempi del matrimonio?
Silvia. Il nostro fidanzamento è iniziato a 18 anni e ci siamo sposati a 24. Sei anni in castità, che a pensarci oggi non so proprio come abbiamo fatto, è stata una grazia del Signore. Quando ci siamo sposati mai avrei pensato di avere sette figli, se me lo avessero detto li avrei presi per pazzi, anche perché non ho mai sentito un istinto materno. Il Signore mi ha donato i figli prima ancora che li desiderassi. La prima gravidanza, pochi mesi dopo le nozze, è iniziata con quelli che poi sono diventati i miei classici 4-5 mesi di nausea fortissima. Si è conclusa con un parto complicato in cui ho sofferto molto: ho avuto grandi difficoltà nella fase espulsiva. Mi hanno tagliato, ma nonostante l’episiotomia mi sono pure lacerata. C’era un ostetrico che mi schiacciava la pancia, mentre un altro cercava di spingere sul coccige che ostruiva il canale del parto. Nata la bambina sono passati 8 mesi prima che io e mio marito potessimo avere di nuovo rapporti sessuali, perché quando ci provavamo avevo dolori fortissimi: mi sembrava di rompermi tutta. Cominciavo a pensare che mi avessero cucito troppo e di dover ricorrere non so a quale intervento per rimettere a posto le cose. Però fortunatamente dopo 8 mesi ho cominciato a star meglio. Passa poco tempo e rimango incinta della mia seconda bambina. Di nuovo la classica nausea, però ad un certo punto inizio ad avere le coliche, perché scopro di avere la cistifellea piena di microcalcoli. E ogni settimana, a partire dal quinto mese, se ne muoveva uno con dolori fortissimi. Arrivata alla 36sima, ennesima colica, corsa in ospedale dove constatano che era iniziata la dilatazione, ma la bambina era in posizione podalica per cui dopo qualche giorno fu necessario un cesareo d’urgenza. La ferita comincia presto a bruciarmi. I medici dicono che va tutto bene, le infermiere mi prendono in giro dandomi della piagnucolona. Torno a casa, passa qualche giorno e di nuovo una colica. Per cui devono nuovamente ricoverami per togliere la cistifellea. Faccio l’operazione ma il taglio del cesareo continua a bruciarmi. Finalmente appaiono delle raccolte di pus sotto la ferita, e nonostante le medicazioni la situazione peggiora. Tanto che mio suocero decide di portarmi in chirurgia per un controllo. Il primario nel vedermi si allarma immediatamente e vengo operata subito. Esco dall’ospedale con la ferita del taglio cesareo ancora aperta e un drenaggio per poter eliminare il resto dell’infezione.
Che conseguenze ti ha provocato questa brutta esperienza?
Silvia. Sofferenza e chiusura. Tornata a casa rimango per due mesi con questa ferita aperta e con l’indicazione dei medici di non rimanere incinta per i successivi due anni perché la parete addominale probabilmente non reggerebbe un’ulteriore gravidanza così ravvicinata. Passano i mesi, passa il primo anno, si avvicina la scadenza dei due anni, e man mano monta in me una paura sempre più grande di rimanere incinta. Era andata maturando la convinzione che visti i precedenti una terza gravidanza mi avrebbe condotta alla morte. E non volevo assolutamente morire. Avevo attacchi di panico quando vedevo donne in gravidanza, non ne sopportavo la presenza, mi veniva voglia di gridare, di scappare via, di urlare che erano delle pazze. Mi sono chiusa alla vita e questo ha generato una profonda crisi spirituale. Ho cominciato prima a non andare più in comunità, poi nemmeno in chiesa. Il nostro matrimonio ha rischiato di saltare, un periodo davvero brutto e difficile. Avevo fatto tutto come era giusto: casa, scuola, chiesa, perché avevo dovuto subire un’esperienza così negativa? Mi sembrava tutto sbagliato, che il Signore con me aveva toppato tutto, che non doveva andare così perché ero stata una brava ragazza. Buona con la mia famiglia d’origine, studiosa a scuola. A 23 anni laureata, a 24 sposata, a 25 primo figlio, a 27 il secondo. E Dio non poteva farmi questa cosa qua, non era giusto che mi “punisse”, che mi desse una storia così, non me lo meritavo e non l’accettavo. Per me era diventato tutto una grande fregatura. Avevo dentro una rabbia e una ribellione fortissima. La mia fede era molto infantile, immatura, basata ancora sul meritarsi le cose. Non mi importava più di niente, sentivo Andrea sempre più lontano da me, e il nostro matrimonio era sul punto di sfasciarsi.
Poi cosa accadde?
Silvia. Una sera i catechisti vennero a visitare la nostra comunità. Andrea decise di andare. Il nostro catechista gli chiese: “dov’è tua moglie?”, “a casa”. E lui: “vai a prenderla”. Andrea venne da me pieno di dubbi, non pensava di riuscire a convincermi. Ricordo che gli dissi in malo modo: “vengo ma non chiedermi niente. Non voglio ascoltare. Mi siedo su quella sedia e basta”. Da quell’incontro abbiamo ricominciato a frequentare la comunità, io sempre arrabbiata e con quella chiusura fortissima. Però il semplice fatto di andare è bastato al Signore per addolcire il mio cuore poco a poco. Ad un certo punto mi ritrovai incinta di Giovanni e la paura di morire non c’era più. Ero serena, Dio aveva ricostruito il nostro matrimonio. Come dico sempre al corso dei fidanzati, il Signore non è uno a cui piace lavorare di colla per mettere insieme i cocci, ma fa nuove tutte le cose. E ha fatto nuovo il nostro matrimonio e da allora lo fortifica ogni anno sempre di più. Dio ha voluto donarci 5 figli maschi a partire da Giovanni, e le gravidanze non sono diventate facili, i parti neppure, però se prima facevo tutto contando sulle mie forze dopo quella crisi ho cominciato a vivere di grazia, ed è stata una meraviglia. Adesso la storia la stava portando avanti il Signore e anche nelle difficoltà eravamo nella pace.
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E tu Andrea, come sei cambiato nel matrimonio?
Andrea. Anche per me è stata una crescita, stare vicino a mia moglie durante la crisi è stato difficile, quasi impossibile, perché un uomo non può capire una sofferenza del genere. Eravamo ancora giovani, è stata una scoperta continua. Ci sono stati anche altri momenti complicati ma il Signore ci ha sempre ripreso, io tengo a svolazzare un po’, è la mia indole artistica filosofica fricchettona, girovagante e pericolosa nel matrimonio. Quindi ho proprio bisogno di stare attaccato alla Parola di Dio, ne ho necessità, anche se ogni tanto cerco di svicolare. Silvia è bravissima, mi sopporta nella mia capacità non comune di mettermi nei guai e di infilarmi dappertutto: sono nel consiglio pastorale, sono assessore nel mio comune, dirigo una banda qui vicino, sono nel consiglio d’istituto. Dove c’è da andare a rompere le scatole Andrea è sempre presente. In certi momenti mi sono accorto che anche per questo mio modo di essere l’ho fatta soffrire, perché la presenza è anche una presenza fisica. Non raccontiamoci la rava e la fava che “noi ci amiamo, i nostri cuoricini sono vicini”. Se sei sere su sette sei fuori a fare altro, non sei a casa. Io sono testardo ma dai 45 in su ho iniziato a capire.
Quante volte vi hanno chiesto: “come fate a campare con 7 figli?”
Andrea. Provvidenza. Te ne raccontiamo una delle tante. All’interno del percorso del Cammino neocatecumenale è previsto un pellegrinaggio in Terra Santa: c’era da pagare il viaggio in Israele e noi non potevamo permettercelo. I soldi invece sono arrivati. 20 anni fa avevo fatto una banale polizza vita che è scaduta tre giorni prima della data in cui andava fatto il bonifico per il viaggio. Chi se lo immaginava.
Silvia. Il Signore è fedele, noi no ma lui sì.
Mi raccontate il servizio che fate nei corsi di preparazione al matrimonio?
Silvia. Lo facciamo da cinque anni. Umanamente è pesante, perché sono 10 domeniche pomeriggio continuative e per uno che ha la famiglia come la nostra dire ai bambini che non ci siamo non è sempre facilissimo. Però sicuramente ci arricchisce molto vedere queste coppie, confrontarci con loro, parlare di Dio. Ci fa fare memoriale della storia che il Signore ha fatto con noi. Raccontare la mia esperienza, una volta all’anno, è positivo anche per noi come sposi. Queste giovani coppie hanno bisogno di speranza: tanti arrivano senza fede, si vogliono sposare in chiesa ma hanno già in mente che se non funziona c’è il divorzio. La realtà intorno ti dice: “cosa ti sposi a fare? non è più facile convivere?”. Per cui credo che sapere che c’è speranza, che si può stare insieme per tutta la vita è importante per questi ragazzi che vivono in un mondo che gli propone il contrario.
Andrea. Metà delle coppie che frequenta già convive, spesso ha figli, quindi anche quando parli devi tener presente questo. C’è chi è lì perché uno dei due ci tiene, mentre l’altro lo vedi che vorrebbe scappare su Marte durante le catechesi. L’età varia tantissimo. Come diceva Silvia pensano subito che se non funziona c’è la separazione. E’ come chiudersi il cielo sopra la testa, a me mette una tristezza micidiale. Non è vero che il mondo di oggi è più brutto di quello di ieri, il fatto è che ti martella. C’è una sofferenza in giro da far paura. Senza una Parola a cui aggrapparsi si va subito dall’avvocato.
Cosa direste ad una coppia che ha paura ed è indecisa se sposarsi o no?
Silvia. Arrivare al matrimonio con superficialità, senza guardarsi bene dentro genera disastri. E allora se c’è da rompere meglio rompere prima. Per cui consiglio di pregare tanto per avere discernimento, per capire se la persona che hai accanto è quella che Dio ha pensato per te. Se è quella, sposati, il prima possibile, che poi Dio ti riempie di grazie. E’ necessario stare nella chiesa, anche quando sembra che non capisci niente, che non ascolti. Io sono tornata nella chiesa con il cuore duro, non volevo partecipare, mi sentivo fregata ed ero arrabbiata con Dio. Eppure il semplice fatto di essere lì ha cambiato la mia vita. Il Signore a poco a poco si è infiltrato nel mio cuore e senza che neanche me ne accorgessi ha fatto nuova la mia storia, nuovo il mio matrimonio, mi ha colmato di doni. Per cui state nella Chiesa che è madre, che conosce l’uomo come nessun altro.
Andrea. C’è l’innamoramento, bellissimo, ma l’amore è un’altra cosa. L’innamoramento finisce, è come il primo stadio del razzo, ti spara in orbita ma poi si consuma. Un’idea sentimentale dell’amore è pericolosa. L’amore è eterno, se non è eterno non è amore. “Ma il Covid, la crisi economica, come si fa a sposarsi?”. “Ma tu vuoi affrontare le difficoltà da solo o con qualcuno accanto?”. Perché serve una mano che ci tiri su! La vita è difficile, noi cristiani non viviamo nell’Uranio ma con i piedi per terra, lo sappiamo, però non c’è nulla di più brutto che affrontare la vita da soli. Dio ha deciso di salvarmi con mia moglie. Non mi ha salvato con il lavoro: sono musicista e sto da 20 anni in fonderia, ho fatto il postino, ho venduto uova di gallina, ma io lo so che per essere salvo devo stare attaccato a mia moglie, non è debolezza, è così. Altrimenti mi perdo.
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