Originaria dell’Alto Volta, oggi Burkina Faso, è una modella e un’attivista di fama mondiale e ha deciso di usare la sua notorietà per portare l’acqua nei villaggi dell’Africa Occidentale. Un compito che pesa ancora troppo sulle fragili spalle di donne e bambine.
Da bambina portava l’acqua al suo villaggio
E’ nata il 7 febbraio del 1985 e pochi anni dopo questo evento ogni giorno ha dovuto alzarsi prima del sole per incamminarsi, un recipiente vuoto sulla testa, in direzione del pozzo. Fino a tre ore di chilometri ogni giorno, macinati a piedi e tutto il tempo di sentire bruciare in sè l’ingiustizia della situazione.
Lei è Georgie Badiel, top model originaria della Costa d’Avorio e vissuta tra quella e il Burkina Faso, di un remoto villaggio che Maps non trova ma lei sì; e ci è tornata, una volta raggiunto il successo, e non soltanto lì. Come nel suo villaggio natale in tanti altri manca l’acqua potabile e le donne e le bambine sono la forza lavoro incaricata di questi lunghi e pericolosi tragitti quotidiani, estenuanti, per procurarsi un bene tanto prezioso. Una volta raccolta non può ancora essere bevuta perché piena di batteri pericolosi; ma va bollita e lasciata raffreddare. Vite quasi intere immolate a questo lavoro.
«Da bambina, nel Burkina Faso, mi svegliavo alle sei e andavo fino al pozzo. Pulivo il secchio dalla polvere, portavo a casa l’acqua e poi tornavo al pozzo. Tre ore a piedi. Su e giù. Tutti i giorni». (CorSera)
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Nonna, perché l’acqua è così lontana?
Vive e lavora a New York, ora, ma non dimentica da dove è partita e non si rassegna a lasciare le cose come stanno. Com’è possibile che lei possa farsi una doccia calda e pulita di dieci minuti nel suo appartamento di Manhattan e le sue zie, cugine, nipoti, sorelle, amiche o sconosciute omologhe del Burkina Faso, del Benin o di altri paesi dell’Africa Occidentale non possano nemmeno sognarselo?
«A Koufriko, il mio villaggio, io ero la quinta di dieci fratelli. La mattina, i maschi potevano dormire: toccava alle femmine pensare al pozzo. Lo trovavo profondamente ingiusto. Ma ancora più ingiusto, trovavo che non potessi bere quando e quanto volevo. Allora abbracciavo mia nonna e le chiedevo: perché l’acqua è così lontana? E perché dobbiamo bollirla?». (Ibidem)
L’inizio dell’impresa
«La rete idrica di Cotonou non funzionava da mesi. Per avere acqua nell’appartamento, mia sorella deve alzarsi fra le 2 e le 4 del mattino. E per riempire una tanica, le donne che vivono in campagna sono costrette a camminare anche sei ore. A volte dormono sul ciglio della strada, vengono aggredite e stuprate, incrociano bestie feroci… L’ingiustizia continua. E qualcuno deve fare qualcosa».
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Non regala l’acqua ma insegna ad estrarla
A 35 anni, venti dei quali vissuti nelle corti dell’alta moda, Georgie è diventata la Principessa dell’Acqua. Con la sua fondazione, 25 dipendenti fra New York e Ouagadougou, ha perforato mezzo Burkina Faso e reso più potabile la vita di 300 mila burkinabé. Scavando pozzi. Costruendo acquedotti. Pagando gli studi d’ingegneria idraulica a 118 africane e lezioni d’igiene a 15 mila bambini. Scrivendo per le scuole libri (uno s’intitola per l’appunto La principessa dell’acqua: storia d’una donna che disseta il suo popolo) tradotti in sette lingue. «Il mio sogno è che non esistano più le principesse dell’acqua. Che bere e lavarsi siano un diritto di tutti, in Africa come in America».
Non solo fondi, non solo pozzi, ma formazione e istruzione perché l’Africa si promuova con l’Africa. Ma Georgie non ragiona per continenti, è più sulla misura della singola comunità e poi del paese; è una donna, è concreta, procede per gradi e ha in mente le persone.
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Georgie ha cominciato dal suo Paese, l’ex Alto Volta che l’illuminato padre storico Sankara ribattezzò «la terra degli uomini integri e di rispetto» (Burkina Faso), ma non vuole fermarsi. (Ibidem)
Corrono già i rumors che la vogliono lanciata in politica ma a lei resta cauta e continua a far scavare pozzi convinta che il riscatto e la rinascita per tutta l’Africa Occidentale passi per l’acqua.
Il suo motto è: «Un Paese alla volta, un problema alla volta». Problemi, quanti se ne vogliono. Il Covid ha peggiorato la carestia di quest’area da terzo mondo, anche perché il primo mondo ha altro a cui pensare. (Ibidem)
Il Covid e le altre catastrofi
E’ triste da riconoscere ma è così; ora che anche noi, paesi occidentali, siamo colpiti violentemente dalla pandemia l’attenzione per i mali altrui si è affievolita e resta solo la voce del Santo Padre a riportare il grido di dolore dell’Africa:
(…) solo Papa Francesco ha ricordato a Natale «la grave crisi umanitaria» che investe il Burkina Faso, colpito dalla più imponente migrazione del continente: un abitante su venti è uno sfollato, 20 mila rifugiati maliani sono preda dei fondamentalisti islamici, perfino l’Onu ha dovuto sgomberare un campo profughi ritenuto troppo pericoloso… Non c’è futuro per un burkinabé. Meno ancora per una donna che non si chiami Georgie, non sia alta 1,80, non abbia vinto Miss Africa, non lavori per grandi agenzie di top model come Elite: «L’unica prospettiva di un’africana è camminare. E portare acqua. Io questo non l’ho mai accettato per me. E non E non l’accetterò mai per tutte le altre». (Ibidem)
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Ha ragione, non è accettabile. E con lei sarebbe d’accordo anche una santa e mistica del nostro Seicento, la grande S.Veronica Giuliani. Quando fu nominata badessa progettò e realizzò per le proprie consorelle, che vedeva stancarsi su e giù per le scale con secchi pieni d’acqua, un sistema di tubature per distribuirla, senza fatica, nei locali del monastero. Lei, famosa per le intense e inedite esperienze mistiche e i molti doni particolari ricevuti da nostro Signore, non perdeva mai il senso pratico ed educava con equilibrio le sue consorelle. Possiamo affidare la sete dell’Africa a questa grande patrona, può essere un’idea perché siamo certi che oltre alla sete del corpo sarebbe la migliore capocantiere per costruire pozzi che attingano all’acqua che disseta davvero il cuore di ogni uomo.
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