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La coscienza dovrebbe essere l’inizio, e non la fine, del discorso morale

ARGUE

Lightspring | Shutterstock

padre Robert McTeigue, SJ - pubblicato il 17/09/20

Su una errata comprensione della coscienza spesso usata come tattica dai cattolici impegnati nel dibattito politico

“’Zitto’, spiegò”.

Il mix di scarsa grammatica e spirito malvagio è opera dell’autore Ring Lardner ormai 100 anni fa, ed è stato citato e ristampato innumerevoli volte. Perché tirarlo fuori qui e ora? Negli Stati Uniti il periodo elettorale è ormai rovente. Se la gente sta prendendo posizione, non è insolito vedere i cattolici schierarsi, puntare il dito e lanciare accuse come chiunque altro.

Si sono sprecati banda e inchiostro mentre i cattolici cercavano di giustificare o invalidare questa o quella posizione, o di esaltare o condannare questa o quella causa politica. Non sorprende. Ciò che è meno sorprendente e quindi delude di più è una tattica usata spesso dai cattolici impegnati nell’agone politico. Di fronte a domande come “Come puoi in quanto cattolico sostenere X, Y, o Z?
Come puoi in quanto cattolico non condannare A, B, o C?”, molti cattolici cercano di mettere a tacere lo scambio di battute dicendo “Per coscienza!”. O, come direbbe Ring Larder, “’Zitto’, spiegò”.

Vedete qual è il trucco? La “coscienza” viene presentata come una “zona esente da discussioni”, , con cartelloni che dicono “NON SI DEVE RENDERE CONTO – PER VIA DELLA COSCIENZA!”. Ma non è così che funziona la coscienza.

Quello che mi preoccupa attualmente, guardando la stagione politica che si infiamma, è il fatto che alcuni cattolici invochino un’errata comprensione della coscienza che favorisce una fuga dal fatto di dover rendere conto.

Prima di andare avanti, sarebbe utile indicare la distinzione tra rendere conto e responsabilità. Nelle conversazioni ordinarie usiamo i due termini in modo interscambiabile, ma non è corretto, perché vale la pena di mantenere la distinzione, cosa che diventerà più chiara se li colleghiamo alla parola “attribuibilità”. Ecco come funziona: la responsabilità mi permette di dire “L’ho fatto io”. Sono la fonte responsabile delle mie azioni. Se prendo il vostro portafogli, posso dire onestamente “Mi chiedo perché le dita di quella mano lo abbiano fatto?” No – l’ho fatto io. Ho scelto di usare la mia mano per prendere il vostro portafogli. Sono responsabile di quel furto.

Il ponte tra me e voi è l’attribuibilità, che permette di identificarmi come fonte responsabile della mia azione – voi attribuite la mia azione a me. Facendo questo, potete ritenere che io debba tener conto del mio atto. Dopo aver attribuito l’azione a me come sua fonte responsabile, potete chiedermi di rendere conto della mia azione. “Perché l’hai fatto?”. In base alla mia risposta, potete assegnarmi una sanzione – lode o biasimo. Non c’è azione morale, non può esserci discorso morale, a meno che non comprendiamo bene responsabilità e rendere conto, legati dall’attribuibilità.

Capito questo, possiamo vedere che l’errata applicazione della coscienza (ad esempio, “Non chiedermi perché: è una questione di coscienza!”) distrugge una conversazione civile. È una fuga dal fatto di dover rendere conto. Un’immagine per illustrare la questione: quando un cattolico mi dice di sostenere volentieri questa o quella causa, e ne denuncia ad alta voce un’altra, chiedo semplicemente: “Perché? Come sei giunto a questa conclusione? Per favore, mostrami degli elementi oggettivi a sostegno della tua posizione. Quanto tempo hai impiegato a studiare la cosa? Per piacere, mostrami i passi che hai compiuto che giustificano la tua scelta di sostenere così saldamente questa posizione”.

Non ottengo quasi mai quello che chiedo. Sempre più spesso in questo periodo mi sento rispondere “È una questione di coscienza!”, che possiamo considerare una variante del “’Zitto’, spiegò”. Alcuni potrebbero cercare di rispondere iniziando con “Sento che…” La mia tendenza è dire “Sì, ti credo. In questo caso, tu senti, ma la maturità morale richiede più del semplice sentire. Richiede un coordinamento saggio e prudente di testa e cuore, entrambi guidati e formati dalla verità che Cristo ha affidato alla Chiesa”. Una coscienza ben formata di questo genere esemplificherà lo standard che troviamo nella Scrittura: “Siate sempre pronti a render conto della speranza che è in voi a tutti quelli che vi chiedono spiegazioni” (1 Pietro 3, 15).

Sì, ci vogliono tempo e sforzi per avere una coscienza ben formata di questo tipo, ma ne vale la pena perché una coscienza retta è una bussola morale che può guidarci al bene in questa vita e alla gloria in quella che verrà. Se sappiamo come usarla correttamente, possiamo insegnare agli altri a usare la bussola della coscienza. In quel caso invocare la coscienza, piuttosto che porre un termine alle conversazioni le può iniziare.

Impariamo come usare la coscienza come una guida e un invito, piuttosto che una scusa e una fuga dalle responsabilità.

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