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Muore “padre Chito”, sequestrato per 116 giorni dagli jihadisti e ricordato come martire della pace

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Aiuto alla Chiesa che Soffre - pubblicato il 03/08/20

Durante il suo sequestro ha pregato e messo in discussione la sua fede, ma poi ha ottenuto la risposta

L’attacco brutale da parte di un commando jihadista alla città filippina di Marawi, nel 2017, avrebbe segnato la vita di padre Teresito Soganub fino alla fine dei suoi giorni. Morto a 59 anni il 22 luglio per un arresto cardiaco, l’ex vicario generale della Prelatura di Marawi, più noto come “padre Chito”, è ricordato ora come un martire della pace.

Il 23 maggio 2017, padre Teresito Soganub stava pregando con alcuni fedeli nella cattedrale di Marawi quando un gruppo di uomini armati ha invaso il tempio, in quello che sarebbe stato il primo grande segno dell’occupazione della città da parte dei jihadisti del movimento Maute, ispirati e legati al Daesh, lo Stato Islamico.

Per circa cinque mesi, Marawi si è trasformata in un vero campo di battaglia. Si calcola che circa il 40% della città sia stato distrutto, e che il 98% della popolazione abbia dovuto abbandonarla. La comunità cristiana è stata uno dei bersagli principali dei militanti jihadisti, come si è capito subito all’inizio dell’attacco con l’occupazione della cattedrale.

Di fatto, passeranno alla storia l’assalto, l’incendio e la distruzione della cattedrale, come anche il sequestro di alcuni membri della comunità cristiana, tra cui “padre Chito”, rimasto prigioniero per 116 giorni.

Un anno dopo, in un’intervista alla Fondazione ACS, il sacerdote filippino ha ricordato il periodo in cui era stato prigioniero del gruppo radicale dicendo “È un’esperienza che nessuno vorrebbe fare nella vita”. Padre Teresito non è mai stato solo in quella condizione, perché ha avuto sempre vicino altri ostaggi. A un certo punto erano addirittura 121.

“Sono stati anche 116 giorni di lamentazione, di preghiera di lamentazione a Dio. Non ho perso la fede, ma ho detto ‘Perché io? So che sei qui. Perché permetti che accada questo? Anche se sono un peccatore non me lo merito’”, ricordava padre Teresito in quell’intervista.

“Quei 116 giorni sono stati un’occasione per parlare molto intimamente con Dio. Ho parlato direttamente con Lui, mi sono lamentato. E l’ho anche ringraziato per la vita, perché pensavo di morire”.

L’intervista rilasciata a Mark Von Riedermann è oggi essenziale per conoscere meglio ciò che è trascorso in quei giorni tragici in cui la città di Marawi è stata occupata da decine di jihadisti armati, ma è anche un tributo a padre Teresito Soganub.

Durante il suo sequestro, “padre Chito” ha pregato e messo in discussione spesso la sua fede: “La pioggia di proiettili, gli attacchi aerei… è difficile, e non ho la capacità di sopportare tutto questo, non sono così forte!”, diceva a se stesso.

“Poi ho ottenuto la risposta: ‘Riesco ad essere forte con Dio, nella fede. Per questo, fa’ di me ciò che vuoi, ma è molto, molto difficile’. Sono malato e piango, piango nel cuore. Mi lamento. Ma dicevo al Signore: ‘So che sei qui! Perdonami. È difficile per me comprendere, ma Tu permettimelo. In un’altra riflessione ho capito questo: ‘Sii umile, anche in questa situazione’. E ho pregato Dio dicendo: ‘Sono qui oppresso e sacrificato, ma so che mi ami molto, e così questa oppressione e questo sacrificio diventano un privilegio e un dono, ma ad essere onesti non voglio questo dono e privilegio!’”

Nell’intervista a Mark Rieddermann, padre Teresito ha confessato che nei 116 giorni di prigionia la Chiesa nella Filippine è stata molto unita nella preghiera, seguendo con attenzione ciò che gli stava accadendo. “È stata un’occasione per far sì che le persone a me più vicine pregassero molto, e che lo facesse anche la Chiesa delle Filippine. So che in tutte le Messe sono stati menzionati il mio nome e quello degli altri ostaggi. Hanno pregato per noi”.

Padre Teresito è sempre stato molto impegnato nel dialogo interreligioso nelle Filippine. Questo aspetto importante del suo lavoro come sacerdote è stato ricordato e sottolineato anche quando si è saputo della sua morte. Thomas Heine-Geldern, presidente esecutivo internazionale della Fondazione ACS, in un messaggio di condoglianze inviato al vescovo di Marawi, monsignor Edwin de la Peña, ha ricordato “gli sforzi” di “padre Chito” nella promozione “del dialogo interreligioso e nella costruzione della pace”, evidenti nella “straordinaria testimonianza” vissuta durante il sequestro. Per tutto questo, ha aggiunto, la vita di “padre Chito” è fonte di ispirazione per i cristiani.

La Fondazione ACS ha sostenuto negli ultimi anni vari progetti nella Prelatura di Marawi a sostegno delle vittime della violenza a Mindanao e per la promozione del dialogo interreligioso. Un lavoro che da oggi sarà anche un tributo alla vita di padre Teresito Soganub.

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